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Trump alle Nazioni Unite: un intervento fondamentale Analisi di Antonio Donno Oggi su molti quotidiani italiani Donald Trump viene attaccato per il recente piano fiscale. "Tagli ai ricchi, ancora poco chiaro l'impatto sul ceto medio", è il catenaccio del Corriere della Sera a pag. 11. Corretto invece il titolo scelto dal Giornale a pag. 13: "Trump tenta il rilancio: giù le tasse alle imprese", e quello della Stampa, a pag. 13: "Trump, giù l'aliquota massima per dare la spinta alle aziende". Come la manipolazione di una notizia serve per delegittimare una riforma. Di Trump, naturalmente. Ecco l'articolo di Antonio Donno: Il discorso tenuto da Donald Trump alle Nazioni Unite, il 19 settembre 2017, è un esempio di realismo politico quale non era dato ascoltare da molto tempo, in particolare durante gli anni di Obama. Forse occorrerebbe risalire ai discorsi di Richard Nixon per rintracciare un realismo così schietto come quello messo in campo da Trump. Tuttavia, gli accostamenti ai discorsi di precedenti presidenti lasciano, in genere, il tempo che trovano. La scena politica internazionale, dalla fine della guerra fredda, si presenta così variabile nel tempo da rendere impossibile qualsiasi facile assimilazione. La prima considerazione di Trump fotografa una realtà negativa: dalla fine della seconda guerra mondiale si è assistito al tentativo continuo da parte di alcune potenze di alterare la pace. Trump non cita mai la guerra fredda e il contrasto con l’Unione Sovietica: si mantiene sul generico, con un fugace riferimento all’Ucraina, perché probabilmente egli spera che un riavvicinamento alla Russia gli consentirebbe di gestire meglio la questione mediorientale, in cui gli Stati Uniti sono in una posizione di ritardo rispetto alla stessa Russia e, soprattutto, all’Iran. Con questo riferimento, egli entra subito nel centro del problema, tanto che il suo intervento può essere definito prevalentemente un discorso di analisi della situazione internazionale.
Il terrorismo islamico e gli “Stati canaglia” sono il pericolo più grande per la stabilità del sistema politico internazionale. Dagli inizi del Novecento – per non andare troppo lontano – fino a oggi, non si era mai assistito ad una situazione in cui forze terroristiche, statali e non, determinano buona parte della politica internazionale. La prima e la seconda guerra mondiale furono guerre tra Stati; ora, invece, la diffusione planetaria del terrorismo, della più varia natura, mette in grave pericolo la stessa stabilità del sistema politico internazionale. Trump: «Il realismo ci spinge a confrontarci con un problema che è di fronte ad ogni leader e nazione presenti in questa sala», riferendosi ai gruppi terroristici e agli “Stati canaglia” che «violano ogni principio su cui si basano le Nazioni Unite». Il richiamo è evidente: ogni nazione deve impegnarsi singolarmente e collettivamente a contrastare le forze che insidiano la stabilità internazionale. Il presidente americano riconosce esplicitamente nelle Nazioni Unite il momento collettivo in cui occorre prendere decisioni comuni per combattere il terrorismo e i “Rogue States”. Ma ognuno deve fare la sua parte. Gli Stati Uniti vantano un grande (“eternal”) credito in molte parti del mondo, in cui i suoi giovani hanno combattuto per la libertà di altri popoli. Ora, non possono, e non vogliono, sobbarcarsi di problemi di altri e sprecare ricchezza. Il discorso di Trump su questo tema ha risvolti che riguardano anche altre questioni. Il passaggio del suo intervento al riguardo è chiarissimo: «Come Presidente degli Stati Uniti, io metterò sempre al primo posto l’America [“America First”], proprio come voi […] porrete i vostri paesi al primo posto». Questa frase di Trump ha implicazioni importanti, che il presidente americano spiega con estrema chiarezza: «Noi abbiamo una politica di giusto realismo, fondato su finalità, interessi e valori condivisi». Questo realismo è bivalente: gli Stati Uniti penseranno a se stessi (e gli ultimi dati, riferiti da Trump, danno una crescita dell’economia e un netto calo della disoccupazione, «al livello più basso degli ultimi 16 anni»), ma anche alle altre nazioni, purché assecondati e sostenuti paritariamente. Gli Stati Uniti «difenderanno i loro interessi sopra ogni altra cosa», e combatteranno le minacce provenienti da altri paesi o gruppi. Comunque, in questi passaggi del suo discorso Trump evidenzia una certa sfiducia nella collaborazione delle istituzioni internazionali. Benché non con i toni dei primi mesi della sua carica, il presidente americano, nell’atto di sostenere il principio dell’“America First”, mette in guardia gli alleati dal ritenere che Washington possa sostenere nuovamente gli oneri più pesanti – dal punto di vista politico, ma anche economico – per la difesa dell’Occidente. La Corea del Nord e l’Iran rappresentano le minacce più gravi per la pace mondiale, ma il problema dell’immigrazione, per altri versi, rappresenta una grave sfida all’Occidente: «Abbiamo imparato che una migrazione prolungata nel tempo e incontrollata è pericolosa sia per i paesi di partenza sia per quelli di arrivo». D’altro canto, a tutto questo si aggiunge il fatto che in seno allo Human Rights Council delle Nazioni Unite siedano rappresentanti di paesi che violano sistematicamente i diritti umani. Occorre una profonda riforma dell’ONU e forse Trump allude ad un’Organizzazione costituita soltanto da paesi democratici, visto che la presenza dei paesi antidemocratici all’interno delle Nazioni Unite non modifica le politiche dittatoriali e nemiche dei diritti umani di quei paesi, anzi fornisce loro una vera e propria copertura. Comunque, si tratta di un implicito richiamo alle origini dell’Organizzazione. Il caso dell’Iran è emblematico: l’accordo tra Stati Uniti e Iran ai tempi di Obama è addirittura «imbarazzante» per un paese democratico come gli Stati Uniti. L’Iran è un “Rogue State” e va isolato a livello internazionale. Cuba e Venezuela rientrano in questa categoria. Il nocciolo del forte intervento di Trump insiste su un concetto fondamentale: il mondo è diviso tra democrazie e Stati antidemocratici, che violano i più elementari diritti umani. Per molto tempo si è trascurato questo elemento divisivo dello scenario internazionale, permettendo alle forze antidemocratiche di sviluppare senza intoppi la propria azione destabilizzante in alcune aree cruciali del mondo. Il discorso del presidente americano rappresenta una svolta nell’atteggiamento di Washington verso i problemi internazionali presenti. Per Trump i pericoli per la pace mondiale sono oggi distribuiti su vari scenari solo apparentemente diversi uno dall’altro; in realtà, essi si coniugano, minacciando la fragile stabilità internazionale. Le migrazioni massicce verso l’Occidente, che comportano conflitti tra sistemi di valori diversi, spesso inconciliabili; il terrorismo internazionale, di varia natura; la minaccia proveniente da paesi dotati di armi nucleari, come la Corea del Nord e l’Iran, quest’ultimo proteso alla conquista del Medio Oriente e intenzionato a distruggere Israele, l’unica vera democrazia della regione. Ma, soprattutto, nel discorso del presidente americano è sottesa una sorta di condanna delle politiche di quei paesi occidentali che hanno sottovalutato per troppo tempo le minacce presenti. L’Europa deve fare la sua parte e guardare in faccia la realtà di oggi. Il richiamo di Trump a riconsiderare realisticamente la presente situazione internazionale rappresenta un nuovo monito per il mondo libero dopo la fine della guerra fredda.
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