Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 04/12/2017, a pag. II, il commento dal titolo "Gli ebrei di Francia si sentono soli" tratto da Marianne.
Una manifestazione di ebrei francesi
Lo storico francese Georges Bensoussan, imputato in una causa legale per aver denunciato l’antisemitismo di matrice arabo-musulmana, parla della condizione degli ebrei di Francia. Parla anche del suo processo: “E’ emblematico dello stato della società. In realtà non avrebbe mai dovuto esistere, perché, come ha dimostrato la sentenza che mi ha prosciolto il 7 marzo scorso, nei miei propositi non c’era stata alcuna stigmatizzazione di una popolazione, ma solo e semplicemente la volontà di esprimere, per mettere all’erta, quel che sanno tutti coloro che hanno legami con quel mondo: l’antisemitismo per lungo tempo era parte integrante del codice culturale del Maghreb, dove furono allevati e cresciuti un notevole numero di bambini che, tuttavia, conservano la capacità di liberarsi di questo retaggio, di riacquistare la propria libertà, sull’esempio della bella figura di Abdelghani Merah (fratello di Mohammed Merah, lo stragista di Tolosa). “Non appena sono venute a galla le accuse di aggressioni sessuali contro Tariq Ramadan, i social network hanno evocato un ‘complotto sionista’ e qualificano la prima donna che l’ha denunciato, musulmana di nascita, di essere una ‘puttana sionista’.
La stessa ondata di odio antiebraico contro Charlie Hebdo. Nel frattempo, al processo di Abdelkader Merah, si veniva a sapere che ‘in famiglia, la madre e gli zii hanno sempre ribadito che gli arabi sono nati per odiare gli ebrei’. Questo antisemitismo una parte dell’élite francese si rifiuta di prenderlo in considerazione, come aveva già fatto sessant’anni fa, quando si era rifiutata di ascoltare Albert Memmi, che raccontava come la condizione degli ebrei maghrebini non fosse certo idilliaca”. Bensoussan attacca “la cultura dell’estrema sinistra, minoritaria a livello di opinione pubblica, ma assai potente nei media e nelle università, che ha contribuito a imbavagliare questo paese. Gli ebrei che vivono in Francia, e in particolare quelli dei ceti popolari della comunità, si sentono abbandonati. E lo saranno ancora di più domani, sacrificati sull’altare della pace civile e del vivere insieme. E il loro abbandono è politicamente inscindibile dall’abbandono dei ceti popolari, ignorati da una borghesia integrata e ‘aperta al mondo’. Quando, dopo lungo tempo, ci si è resi conto dell’avvenuto divorzio tra una certa sinistra e i ceti popolari, di rado si è fatto il collegamento tra questo abbandono dei ceti popolari e l’abbandono di una comunità ebraica divenuta ingombrante, come una critica silenziosa ad una vigliaccheria diffusa. Si ha una paura tale che la sua sola presenza fomenta la rabbia dei ‘quartieri sensibili’ e, quindi, costringe a trovare coraggio”. Inoltre, la demonizzazione dello Stato di Israele apre la porta ad ogni forma di violenza. “La giustifica. Nel mentre, passo dopo passo, segue lo schema degli anni Trenta. All’ebreo ‘nemico del genere umano’ o ‘il popolo di troppo’ di ieri, oggi subentra ‘lo Stato di troppo che minaccia la pace del mondo’. Con il pretesto della critica (legittima) alla politica israeliana, la demonizzazione dello Stato suona come la negazione del diritto dello Stato ebraico a esistere”.
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