Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 04/12/2017, a pag. II, il commento dal titolo "Cosa ci dice l’11/9 egiziano" tratto dal Jerusalem Post.
L’attentato contro i fedeli della moschea al-Rawdah nella città di Bir al-Abed, nel Sinai settentrionale, perpetrato durante le preghiere del venerdì, ha causato la morte di 305 persone e ne ha ferite almeno altre 128. Le crude immagini di morti e feriti hanno invaso i social network arabi sin dai primi minuti dopo la strage. Rappresentanti egiziani hanno parlato dell’attacco terroristico più letale nella moderna storia del paese, e alcuni commentatori l’hanno già definito “l’11 settembre dell’Egitto”. Ma perché l’Isis avrebbe dovuto sferrare un attacco così orribile e contro quell’obiettivo in particolare? I motivi sono sia strategici che ideologici. Sul piano strategico, l’Isis ha recentemente perso tutto il territorio che prima controllava in Iraq. Oltre a questa logica strategica, l’Isis ha deliberatamente preso di mira una moschea conosciuta per la sua popolarità tra i fedeli sufi. Benché il sufismo, una forma mistica dell’islam, sia parte dell’islam ortodosso da secoli e sia ampiamente diffuso in molte parti del mondo musulmano, i salafiti-jihadisti lo considerano un’eresia e accusano i sufi di politeismo e di innovazione: due peccati imperdonabili agli occhi di un salafita-jihadista.
L’Isis, che ha una consolidata tradizione di attacchi contro santuari sufi in Pakistan, Iraq e Siria, aveva chiarito che considera anche i sufismo in Egitto un bersaglio obbligato: in un’intervista del gennaio scorso su Rumiyah, la rivista in inglese dell’Isis, il comandante della forza Hisbah (polizia religiosa) di Wilayat Sinai aveva affermato: “Il nostro obiettivo principale è condurre una guerra contro le manifestazioni di shirk (politeismo) e bid’ah (innovazione), come: sufismo, stregoneria, divinazione e adorazione dei santi”. L’in - tervista aveva persino promesso di “sradicare” specificatamente la moschea di al-Rawdah, quella dell’attac - co di venerdì scorso. Nel quadro di questa campagna anti-sufismo, l’Isis aveva decapitato un anno fa Sulayman Abu Hiraz, un noto sceicco sufi quasi centenario accusato di “divinazione”. Tuttavia, sebbene l’Isis abbia compiuto l’attacco come una dimostrazione di forza per terrorizzare gli abitanti del Sinai e mettere in imbarazzo il regime di al-Sissi per l’incapacità di sconfiggere l’insurrezione nella penisola, un tale attentato a una moschea e il numero senza precedenti di vittime potrebbero potenzialmente segnare un punto di svolta nella lotta dell’Egitto contro il terrorismo. La condanna universale dell’attentato e l’indignazione pubblica contro i responsabili potrebbero mobilitare l’opinione pubblica in Egitto contro i jihadisti e aiutare il regime di al-Sissi a schiacciare Wilayat Sinai e gli elementi che lo sostengono. Benché si faccia un vanto della sua crudeltà, il movimento jihadista è ben consapevole dell’importanza del sostegno pubblico per la sua sopravvivenza a lungo termine e per il suo successo: Ayman al-Zawahiri, vecchio jihadista egiziano e attuale capo di al-Qaeda, ha messo in guardia che “senza sostegno popolare, il movimento islamico dei mujahidin verrebbe schiacciato nell’ombra”. L’orribile attacco di venerdì contro musulmani non combattenti in un sacro luogo di culto potrebbe unificare il pubblico egiziano contro l’Isis e aiutare i servizi di sicurezza egiziani a schiacciare il ramo locale dell’orga - nizzazione.
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