Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 03/12/2017, a pag.14, con il itolo "Al Jubair: 'L'Iran resti in Persia, basta interferire con gli arabi" l'intervista di Francesca Paci con il ministro degli esteri saudita Al Jubair
Francesca Paci Al Jubair
Brava Francesca Paci, ecco delle domande che ricordano un interrogatorio dal taglio inquisitorio. E' così che si deve fare! Il ministro degli esteri saudita ha risposto senza dare segni di impazienza, bravo anche lui. Ma a Francesca Paci chiediamo di non mettere da parte il tono che ha usato con questo interlocutore il giorno in cui intervisterà, diciamo un ministro iraniano o siriano o libanese o russo, altrimenti il suo gioco mostrerà la corda, con l'Arabia Saudita che adesso è amica dell'Occidente e di Israele tutto è lecito, con i nemici della democrazia è meglio andare cauti.
Solo per fare un esempio, invece di chiederlo a Al Jubair, perchè non lo va a chiedere a Hezbollah "Come sta il premier libanese Hariri ora che è tornato a casa?"
Prima di essere nominato ministro degli Esteri nel 2015, Adel bin Ahmad al Jubeir è stato per molti anni il volto liberal attraverso cui l’Arabia Saudita si è interfacciata con l’occidente e soprattutto con l’America, dove, nella fase finale del suo lungo mandato ha avversato fortemente l’accordo nucleare con Teheran. Fu proprio Washington nel 2011 ad allertare Riad di un complotto iraniano per assassinarlo. Abito tradizionale sui mocassini eleganti, Al Jubeir incontra un ristretto numero di giornali a margine della Conferenza Med: si presenta come un grande sponsor della ormai citatissimo programma di riforme Vision 2030, non si sottrae ad alcuna domanda, offre datteri e tè.
Scoppierà una guerra tra Riad e Teheran o è possibile un cambio di passo? «Nessuno vuole davvero la guerra, ne usciremmo tutti sconfitti. Penso piuttosto al rischio delle “proxy war”. Non vedo alcun cambiamento nel comportamento dell’Iran. Dopo l’accordo sul nucleare la sua presenza in Siria è aumentata, i missili balistici lanciati verso Riad dallo Yemen sono roba di questi giorni e non di 5 anni fa. È dal ’79 che aspettiamo il momento del dialogo ma la risposta di chi comanda a Teheran è stata solo violenza».
Nel suo discorso a Med ha ribadito come Riad sia intervenuto in Yemen su richiesta del legittimo governo locale, ma è esattamente l’argomentazione con cui Iran e Russia spiegano la loro presenza in Siria. Dov’è la differenza?
«L’Iran non ha nulla a che fare con i paesi arabi, dovrebbe tenersene fuori. Perché viene a interferire? Stia in Persia».
Parliamo di Yemen. Quasi 9 mila morti in meno di tre anni, 50 mila feriti, 20 milioni di persone bisognose di aiuti umanitari. Cosa replicate all’Onu che oggi puntano l’indice contro di voi?
«Hanno iniziato gli houthi sponsorizzati dall’Iran, noi siamo arrivati dopo. La carestia è nella zona sotto il loro controllo, sono loro che rubano gli aiuti umanitari e li rivendono, loro che hanno in mano il porto di Hodeidah e da lì fanno passare le armi. Non neghiamo la crisi ma abbiamo 40mila zone “no strike”, lavoriamo per il dialogo nazionale e vogliamo che gli houthi abbiano un ruolo ma proporzionato: è impensabile che 50 mila persone tengano ostaggio 28 milioni di yemeniti».
Come sta il premier libanese Hariri ora che è tornato a casa?
«Speriamo che lo facciano lavorare. Tutti hanno accusato l’Arabia Saudita di trattenere Hariri dimenticando che lui era entrato nel governo con la promessa di avere spazio e non ne aveva. Non è un segreto che noi sostenessimo lui e prima suo padre ma il problema è dentro al Libano, si chiama Hezbollah ed è un’organizzazione terroristica: finché non deporrà le armi il Paese non sarà in pace».
Sta per riunirsi il Consiglio di cooperazione del Golfo: a che punto è lo scontro con il Qatar?
«Le nostre richieste a Doha sono chiare, tolleranza zero verso il terrorismo. Anche noi affrontiamo la radicalizzazione, loro negano. E al Jazeera diffonde il verbo degli estremisti».
La pubblicistica che ha alimentato il radicalismo islamico che oggi sfida l’Europa aveva però radici wahhabite-saudite.
«Ci stiamo facendo i conti. All’Europa diciamo che se ha un predicatore radicale straniero lo espella, se è nativo lo arresti, se una moschea incita i kamikaze la chiuda. Non si tratta di libertà religiosa ma di odio».
Guardare avanti è il motto di Vision 2030: e se gli arresti massicci anti-corruzione spaventassero gli investitori stranieri?
«Perché mai? Ci avete criticato per la corruzione: uno straniero dovrebbe sentirsi garantito dalla pulizia che stiamo facendo. In Arabia Saudita il giro di vite è popolare. Vision 2030 punta a cambiare la psicologia del Paese, si vuole passare da uno stato di infanzia viziata dal petrolio a uno imprenditoriale, donne e giovani che lavorano, rischiano, si divertono».
Sarà una rivoluzione anche per i diritti umani e per dissidenti del pensiero come Raif Badawi?
«Se la società evolve tutto evolverà, anche i diritti umani. Il caso Badawi dipende dai giudici. Ma se evolviamo sarà in ogni aspetto».
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