L’inferno in Terra
Analisi di Mordechai Kedar
(Traduzione dall’ebraico di Rochel Sylvetsky, versione italiana di Yehudit Weisz)
Ho iniziato la mia ricerca nel mondo arabo e islamico più di cinquanta anni fa, quando rimasi affascinato dal corso tenuto dal mio insegnante di arabo, il compianto Dov Iron, al liceo Zeitlin di Tel Aviv. Sin dalla prima lezione, agli inizi di settembre del 1966, compresi di trovarmi davanti ad una cultura che differisce totalmente da quella in cui ero cresciuto. Mi resi conto che la lingua araba è la chiave di lettura per entrare in un mondo completamente nuovo, che pensa, ragiona e si comporta in un modo che può essere compreso soltanto con uno studio di tipo percettivo. La sensazione che il mondo arabo sia una cultura totalmente diversa mi è diventata sempre più evidente durante i 25 anni trascorsi nell'Intelligence dell’IDF, ma solo quando ho iniziato a lavorare nel mondo accademico ho potuto approfondire questa cultura. Lo studio accademico consente ai ricercatori di scavare alle radici, di rivelarne le origini dei problemi, di sondare in profondità le problematiche, ma anche trovare l’origine da cui potrebbero giungere le soluzioni.
Nelle mie analisi, cerco di condividere le idee con le conclusioni che ho raggiunto a seguito della mia ricerca.
La scorsa settimana, l’ultima di novembre del 2017,ci ha offerto un'altra dolorosa e triste opportunità di porci un’inquietante domanda sulla cultura: “Come si spiega l'indifferenza che i musulmani hanno manifestato nei confronti degli eccidi in Medio Oriente? E’ stato perpetrato dai seguaci dell'Islam o da poteri ad esso estranei?” Venerdì scorso c'è stato un gravissimo attacco terroristico nella città di Bir al-Abd, situata vicino a El Arish nel nord del Sinai, un'area popolata da beduini. Un gruppo armato di terroristi, probabilmente appartenente al ramo dell'ISIS del Sinai, ha usato bombe e proiettili per attaccare centinaia di persone riunite nella moschea di Al-Rawda (Giardino) per le preghiere di mezzogiorno, la preghiera più importante della settimana islamica. Hanno massacrato 305 uomini, donne e bambini a sangue freddo, sradicato intere famiglie e ferito più di cento persone. In quel crudele bagno di sangue ci sono stati episodi scioccanti: si è sparato ancora sulle vittime ferite, a distanza ravvicinata, per assicurarne la morte.
La notizia del massacro è stata riportata sui media arabi per soli due giorni, anche se nel suo discorso, il Presidente egiziano Al-Sisi aveva dichiarato tre giorni di lutto nazionale, minacciando "una violenza terribile" contro i jihadisti nel Sinai. Nei commenti si è detto che l'attacco è avvenuto perché i fedeli appartenevano alla setta islamica dei Sufi , che i salafiti considerano eretici. Un altro motivo citato è stato il rifiuto degli abitanti della città di cooperare con i jihadisti, poiché loro stavano dalla parte dell’esercito egiziano. Lo scrittore Sharif Badi Al-Noor , in un articolo apparso il 28 novembre sul quotidiano arabo Al Ahram ha affrontato questo problema. Il titolo era: "Perché agli egiziani non importa nulla delle vittime di El Arish?"
Nell’articolo, descrive le reazioni del pubblico egiziano durante i due giorni seguenti l'attacco: strade traboccanti di gente, negozi pieni di clienti, migliaia di persone sedute in caffè e ristoranti, a guardare le partite di calcio. Tutto come al solito, nessuna dimostrazione, neppure un cartello di protesta contro gli assassini di massa che, per l’ennesima volta, hanno macchiato di sangue l'Egitto in un modo così orrendo.
Lo scrittore paragona l'apatia del pubblico per quanto riguarda l'attacco nel Sinai, alla tempesta che sarebbe scaturita se fosse stato Israele ad aver ucciso dieci fedeli, non trecento. Chiede retoricamente: “Quanti si sarebbero riversati nelle strade in quel caso? Allora, perché nessuno sta protestando per quello che è successo nel Sinai? Perché viene percepito come una terra lontana? I beduini non sono cittadini egiziani? Perché non ci importa di cosa succede a Bir al-Abd? Se ci fosse stato un attacco al Cairo, che avesse tolto la vita a solo sei persone, non avremmo tremato tutti per la paura?” “Il problema non sta nel governo – continua - né nei servizi d'intelligence né nell’esercito egiziano (come sostengono gli esperti) ma in noi, il popolo egiziano, perché noi, in quanto persone, dobbiamo essere i primi a bloccare il terrorismo. Perché non abbiamo a scuola insegnanti che mettano in evidenza le idee negative e dannose del jihadismo e ci spieghino come proteggerci? Perché non ci sono corsi obbligatori nelle scuole e nelle università che insegnino agli studenti l’appartenenza nazionale, capace di sradicare quelle idee pericolose?” “Il discorso religioso in Egitto - continua lo scrittore - si concentra su temi ridicoli come l'aldilà, i segni che la fine del mondo è vicina, le caratteristiche del Messia, le descrizioni di Satana, le interpretazioni dei sogni e il potere sulle donne. Si chiede: chi dice che è questo l'Islam? Chi è responsabile della mancanza d’intelligenza e saggezza nell'attuale discorso religioso? L'unica speranza, ritiene, risiede nell’intelligenza dei giovani, essendo l'educazione l'unica barriera che impedisce agli estremisti (che considerano l'intelligenza come una eresia) di realizzare le loro speranze. Ma non solo l'istruzione tecnica, non solo le aree di conoscenze fondamentali come la medicina e l'ingegneria (Al Qaeda è guidata da Ayman al-Zawahiri, un fisico), ma è lo studio delle idee che raggiunge il profondo dell’anima e forma un carattere forte, in grado di far fronte alle distruttive idee islamiche che albergano in molti cuori.”
Lo scrittore non entra nei dettagli, ma sembra voler dire che le idee distruttive - sbagliate, secondo lui - incorporate nell'attuale discorso religioso islamico, considerano i Sufi come eretici e raffigurano il jihadista come il vero combattente islamico, le decapitazioni come parte del ritorno dell'Islam alla sua antica gloria, gli assassini di massa come qualcosa che riporta alle vittorie del 7 ° secolo, che l'Islam dovrebbe ripetere nuovamente nel 21 ° secolo. Questo spiega perché, quando i terroristi uccidono oltre 300 musulmani Sufi che pregano in una moschea, non sia poi così sconvolgente e il resto della giornata può continuare come al solito. Il profeta Maometto, è citato in un Hadith che dice: "Il mio popolo si scomporrà in 73 gruppi, ma solo uno di loro si salverà dall’andare all'Inferno". Questo Hadith è stato scritto avendo come sfondo i conflitti nel mondo musulmano e la tendenza di ciascun gruppo a sostenere che i suoi membri sono i veri fedeli mentre tutti gli altri sono eretici. Ne consegue che il primo gruppo finirà nel Giardino dell'Eden e gli altri nell'Inferno. Il problema sta nel fatto che ogni gruppo musulmano afferma di essere il vero Islam e che sono gli altri a sbagliare, i gruppi violenti sono loro a mandare tutti gli altri all'inferno. Immediatamente.
Questo è il modo in cui il falangismo violento è diventato la “ massima aspirazione “ nel mondo islamico, perché , dopo tutto, coloro che si sono auto-eletti, hanno un sigillo di approvazione da parte del profeta stesso. Il fatalismo, la credenza nell’inevitabile sottomissione a un destino predeterminato, il Qada ' Wa-Qadar in arabo, è un altro problema che affligge l'Egitto.
Questa convinzione afferma che qualunque cosa accada è già stata determinata in cielo e che l'uomo non ha alcuna possibilità di cambiare la volontà celeste. È vietato opporsi alla fede, sfidarla o mettere in discussione le decisioni prese da un Dio onnisciente, anche se queste comportano di essere assassinati dagli stessi fratelli musulmani. L'uomo non può comprendere la logica celeste, non è consapevole delle decisioni di Dio e non può comprendere le Sue azioni. Ecco perché se i musulmani sono costretti a vivere in condizioni impossibili (un terzo della popolazione egiziana vive in quartieri non pianificati, privi di acqua corrente, fognature, elettricità, servizi telefonici, occupazione e reddito) quelle condizioni di vita appartengono al destino, non c'è nulla da fare al riguardo.
Questa, quindi, è l’origine dell'apatia del pubblico nei confronti delle sofferenze disumane di milioni di cittadini egiziani e la ragione per cui non reagisce agli orribili omicidi avvenuti la scorsa settimana. Questa sottomissione al destino è anche il risultato del pensiero religioso islamico, la cui totale sottomissione a Dio e al suo libro, al profeta, alla religione, alla legge della Sharia, alla volontà di chi comanda; libera l'uomo da ogni responsabilità della sua condizione, cancella il carattere del singolo e lo trasforma in un essere privo di libero arbitrio, di indipendenza di pensiero, importanza e valore. Ecco perché non è importante quando 300 musulmani vengono uccisi mentre pregano, mezzo milione di musulmani vengono uccisi in Siria nel corso di sei anni, o un milione di musulmani vennero uccisi nella guerra tra Iran e Iraq verso la fine dell'ultimo secolo. Il mondo continuerà a soffrire per questi risultati dal contenuto religioso finché continuerà a controllare il pensiero islamico.
L'Islam ha disperatamente bisogno di una profonda riforma della propria dottrina, dell'arrivo di qualcuno che ridefinisca la missione dell'uomo in questo mondo, il significato della vita, la salute,il successo e la sua felicità. Finché si continuerà a considerare giusto che l'umanità venga sacrificata al terrorismo, alla mercé di un destino immutabile, il mondo islamico continuerà a soffrire per i suoi fallimenti culturali, mentre i profughi - i rifugiati in fuga dai conflitti interni e dispersi in tutto il mondo - considerano l'uomo nient'altro che la polvere sollevata dalle ruote dell’inferno, che rotolano sulla Terra.
Mordechai Kedar è lettore di arabo e islam all' Università di Bar Ilan a Tel Aviv. Nella stessa università è direttore del Centro Sudi (in formazione) su Medio Oriente e Islam. E' studioso di ideologia, politica e movimenti islamici dei paesi arabi, Siria in particolare, e analista dei media arabi.
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