Medio Oriente: le responsabilità di Obama
Analisi di Antonio Donno
La presenza politica degli Stati Uniti nel Medio Oriente si è talmente sfilacciata da essere quasi irrecuperabile. La responsabilità è tutta di Obama, che nei suoi otto anni di presidenza ha proceduto a ritirare, giorno dopo giorno, non solo i soldati americanida alcune aree cruciali, proprio dove si sono poi radicati i terroristi dell'Isis, ma soprattutto a rendere sempre più impalpabile il peso politico degli Stati Uniti nella regione.
Se si pone mente a tutta la storia della politica americana nel Medio Oriente a partire dalla fine del secondo conflitto, si resta stupefatti e angosciati nel constatare come nel breve lasso di otto anni Washington abbia dilapidato un capitale politico di immensa importanza regionale, ma con riflessi decisivi a livello globale.
Si tratta di una follia politica che, o per inettitudine o peggio per progetto, ha finito per dare strada a forze antidemocratiche fino a pochi anni fa assenti dallo scenario mediorientale dal punto di vista dell'influenza: Iran, Russia,Turchia.
Come è potuto accadere tutto ciò? Occorre partire dalla situazione interna degli Stati Uniti dopo l'11 settembre 2001. Dopo l'attacco alle Torri Gemelle, l'opinione pubblica americana appoggiò la nuova politica di Bush verso il Medio Oriente, finalizzata ad abbattere i regimi terroristici della regione e dare l'avvio a un "regime change" radicale. Tuttavia, nel corso degli anni, sotto la spinta dell'opposizione del Partito Democratico e dei movimenti pacifisti, interni ed esterni agli Stati Uniti, di una certa stanchezza della stessa opinione pubblica, il progetto di Bush è andato perdendo l'appoggio popolare e l'elezione di Obama è stata la conclusione politica dell'opposizione all'impresa americana mediorientale e l'inizio di una politica di disimpegno dalla regione che ha portato ai drammatici esiti attuali.
Tutto ciò che era stato costruito da Washington nei lunghi anni della guerra fredda in una regione cruciale per gli equilibri internazionali è andato forse definitivamente perduto. Come la storia delle relazioni internazionali ci insegna, se in una qualsiasi posizione del sistema politico internazionale si verifica, per qualsiasi ragione, un "vuoto" politico, esso viene immediatamente "riempito" da una potenza vicina, anche attraverso un conflitto con altre potenze altrettanto vicine e altrettanto interessate a colmare quel "vuoto". Gli esempi sono innumerevoli.
Un bagaglio politico, di prestigio internazionale e anche di sicurezza nazionale è stato dissipato nel volgere di quasi un decennio. Anni e anni di contrasto con Mosca, di relazioni altalenanti con i paesi arabi, di impegno diplomatico ad altissimo livello, di costruzione di un apparato militare nei paesi arabi vicini a Washington e, nel nostro caso, di relazioni stabili, sicure con l'unica democrazia presente nello scenario mediorientale, Israele, è andato perduto.
Nel caso di Israele, per fortuna, i rapporti si sono ristabiliti con Trump, ma per il resto occorre ribadire che il "vuoto" politico regionale intorno allo Stato ebraico è stato "riempito" da tre potenze dittatoriali, il cui interesse per l'area è ora sotto il segno di una spartizione. Il Medio Oriente, come lo abbiamo conosciuto politicamente e dal punto di vista della divisione statuale per tutto il secondo dopoguerra sino a pochi anni fa, oggi non esiste più.
Talvolta, a leggere la stampa e le analisi dei commentatori, si percepisce quasi una scarsa attenzione e valutazione non tanto dei fatti quotidiani che avvengono nella regione, quanto delle pericolose prospettive che si delineano nel futuro e del pericolo mortale che Israele dovrà affrontare.
Nella lotta contro l'Isis gli Stati Uniti hanno fatto il lavoro sporco. Hanno combattuto e, in definitiva, stanno per eliminare dalla scena mediorientale il terrorismo islamista sunnita dell'Isis. Ma sarà il terrorismo sciita iraniano a sostituirlo, per quanto sotto una sorta di copertura internazionale, in virtù dello stolto accordo che Washington e altre capitali occidentali hanno stipulato con Teheran.
L'astuta politica iraniana ha legato a sé l'Occidente in un patto incontrollabile, ricevendo di fatto, sotto il mantello di un consenso internazionale, una specie di lasciapassare per "normalizzare" il cuore del Medio Oriente intorno a Israele.
Così, mentre gli Stati Uniti facevano il lavoro sporco, Mosca, Teheran e Ankara lavoravano politicamente, in accordo con Assad, per rimettere in piedi la Siria sotto la loro protezione e da lì procedere a spartirsi la regione, eliminando la fastidiosa pretesa curda.
L'incontro di Sochi tra Putin, Erdogan e Rohani sta a dimostrare che queste tre potenze controlleranno il Medio Oriente nel prossimo futuro. Su questo punto, il ritardo di Washington sembra ormai incolmabile. Israele è isolato.
Antonio Donno
Già Prof.Ordinario di Storia dell'America
Università del Salento,Lecce.
Storia delle Relazioni Internazionali,Università
Luiss,Roma.
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