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Informazione Corretta Rassegna Stampa
01.12.2017 Il significato vero della strage nel Sinai
Analisi di Zvi Mazel

Testata: Informazione Corretta
Data: 01 dicembre 2017
Pagina: 1
Autore: Zvi Mazel
Titolo: «Il significato vero della strage nel Sinai»

Il significato vero della strage nel Sinai
Analisi di Zvi Mazel

(Traduzione di Angelo Pezzana)

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Forze egiziane nel Sinai

305 fedeli sono stati uccisi a sangue freddo durante la preghiera del venerdì nella moschea Rawda nel villaggio di Bir Abed nel Sinai del nord. Non perché alcuni di loro erano sufi o appartenenti alla ribù Sawarka, come è stato dichiarato. Sono stati attaccati da altri musulmani – militanti Daesh o membri di altri gruppi terroristici rivali – seguaci di Sayed Qutob e Hassan el Banna, fondatori della Fratellanza Musulmana. Quindi non solo Daesh, ma tutte le altre organizzazioni estremiste islamiche, da Al Qaeda a Al Shaab, Boko Haram e altri seguaci dei pensatori musulmani sin dai tempi di Maometto. Se una società musulmana non segue strettamente la Sharia, è colpevole di Takfir –apostasia- per cui è legittima la pratica violenta dell’Jihad per reinstaurare in pieno le leggi islamiche. Per raggiungere questo obiettivo, questi gruppi estremisti hanno ucciso più di un milione e mezzo di uomini,donne e bambini sin dagli anni ’80 non solo nei paesi musulmani ma anche in Africa e in Occidente.

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Terroristi affiliati allo Stato islamico nel Sinai

Il mese scorso sono state uccise 350 persone da Al Shabab durante l’attacco a un albergo a Mogadiscio. Mumbai, Nairobi, Istanbul, Londra, Parigi, Boston sono soltanto alcune di una lunga lista di città colpite da attentati. Come vi sono guerre in Afghanistan, Iraq e Siria, conflitti etnici e religiosi senza fine. I terroristi jihadisti nel Sinai del Nord hanno giurato fedeltà allo sconfitto Califfato, ma continuano a rappresentare una minaccia per il Presidente Abdel Fattah al Sisi e all’intera regione. Subito dopo la sua elezione nel 2014 aveva chiesto l’aiuto dell’America per l’addestramento del proprio esercito al fine di elaborare una strategia globale contro il terrorismo internazionale. Malgrado l’Egitto sia stato da sempre un fedele alleato e un esponente di primo piano del pragmatico fronte sunnita contro l’Iran, Obama oppose un rifiuto, sospendendo persino in parte gli accordi per una assistenza militare. La strage di Rawda dovrebbe svegliare l’Occidente, che oppone ancora resistenza ad aiutare l’Egitto. Senza alternative, Sisi si è rivolto alla Russia, ben felice di inviargli armamenti e istruttori. Sfortunatamente la tattica dell’esercito russo non è preparata a combattere la guerriglia nel deserto. Putin aveva infatti sconfitto la rivolta islamica in Cecenia con massicci bombardamenti che hanno distrutto quasi completamente la capitale Grozni.

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La situazione nel Sinai è totalmente differente. È probabile che vi sia una cooperazione fra l’intelligence egiziana e quella israeliana per combattere il terrorismo islamico che opera vicino al confine comune, ma il rapporto avviene in modo discreto, a causa del contesto regionale. L’attacco alla moschea Bir el Abed è la cruda dimostrazione dei problemi che l’esercito egiziano deve affrontare. Innanzi tutto la mancanza di intelligence. Secondo i rapporti, cinque fuori strada, equipaggiati con armi e esplosivi, si sono diretti verso la moschea, dopo aver attraversato decine se non centinaia di kilometri in pieno deserto. Qualcosa di serio non ha funzionato in merito alla sicurezza. Appena due settimane prima Sisi aveva nominato un nuovo comandante con l’incarico di riorganizzare l’apparato della sicurezza nel Sinai per affrontare i ribelli, peraltro senza grandi risultati. I servizi di sicurezza, un tempo famosi, hanno perduto ogni efficienza dalla caduta di Mubarak nel 2011. Insultati e aggrediti nelle strade da una popolazione infuriata, senza alcun aiuto da parte della polizia, essa stessa sotto attacco, potendo ricorrere unicamente alla autodifesa, molti sono scappati, in special modo nel Sinai. In questa regione il terrorismo è cresciuto rapidamente; gruppi jihadisti hanno cercato di creare degli emirati di breve durata a El Arish e Sheikh Zuweid, sconfitti a caro prezzo.

La conduttura che trasportava il gas naturale a Israele era stata bombardata più volte con l’esercito incapace di difenderla, finchè venne chiusa definitivamente. Nel passato, nel Sinai in ogni abitazione o tenda vi erano informatori; oggi non più, malgrado gli sforzi di Sisi di riprendere in mano la situazione. Molti beduini non stanno dalla parte del regime che non fa nulla per loro, privandoli delle infrastrutture più indispensabili. Il Parlamento ha affrontato il problema ma il programma di sviluppo della regione è bloccato per la mancanza di fondi. L’esercito non è riuscito a bloccare l’arrivo nel Sinai di mezzi di trasporto, esplosivi, equipaggiamenti sofisticati, persino missili anti-tank Cornet destinati a Daesh attraverso intricate strade di contrabbando di provenienza libica, reso possibile alla caduta di Gheddafi dal saccheggio dei suoi vasti depositi. L’esercito nazionale libico del Generale Haftar collabora strettamente con il Cairo per controllare il lungo confine comune. Convogli per il Sinai recanti armi,esplosivi e mezzi di trasporto vengono regolarmente individuati e distrutti, ma molti altri riescono a entrare, così sembra, dal Canale di Suez, con l’aiuto di funzionari lautamente ricompensati. Il Presidente Sisi ha giurato di vendicare la strage di Bir Abed, inviando l’aviazione all’inseguimento dei terroristi. Due dei veicoli usati sono stati distrutti con i loro occupanti e i siti dei terroristi bombardati. Forse un nuovo impulso è stato immerso nella lotta contro il terrore. Ma il massacro a sangue freddo della moschea solleva un problema più grande. Daesh, come le altre organizzazioni terroristiche sostengono che le loro azioni sono autorizzate dalla Sharia, cioè il Corano, la Sunna, come dalla vita del Profeta. Daesh esibisce testi antichi per dimostrarlo.

I saggi musulmani e le autorità religiose più alte trovano difficoltà a confutarli. Condannano i massacri con parole molto forti, ma dato che chi li commette crede nello stesso Dio, nel Corano e nei principi dell’islam, si guardano bene dal chiamarli infedeli che non seguono le via dell’islam. Nessuna voce si è alzata per dire che gli atti barbarici che erano la norma all’inizio del Medio Evo devono essere respinti; malgrado ci sia un inizio di dibattito – tanto necessario – tra le autorità religiose su questo tema, finora è stato tenuto con toni bassi e velati. Nello stesso tempo non c’è stato nel mondo islamico alcun cambiamento sull’insegnamento della Sharia nelle scuole e negli istituti superiori, anche se in Egitto il Presidente Sisi ha tentato in tutti i modi di eliminare le affermazioni estremiste nei testi scolastici. Il suo sforzo di includere l’Università Al Azhar in queste riforme finora è fallito. Va detto che quasi tutti i commenti dopo la strage di Bir Abed sono stati puntati sul fallimento dell’esercito ad avere informazioni attendibili, essendo arrivati al luogo del massacro trenta lunghi minuti dall’inizio del massacro, ma non è riuscito ad affrontare il vero problema. Lo Stato Islamico sarà anche stato sconfitto, ma l’islam estremista è ancora qui fra noi.

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Zvi Mazel è stato ambasciatore in Svezia dal 2002 al 2004. Dal 1989 al 1992 è stato ambasciatore d’Israele in Romania e dal 1996 al 2001 in Egitto. È stato anche al Ministero degli Esteri israeliano vice Direttore Generale per gli Affari Africani e Direttore della Divisione Est Europea e Capo del Dipartimento Nord Africano e Egiziano. Collabora a Informazione Corretta


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