"Non vi prometto altro che sangue, fatica, lacrime e sudore": queste le parole con cui Winston Churchill parlava agli inglesi quando fu chiamato al governo, all'inizio della Seconda guerra mondiale.
Al laburista Chamberlain appena tornato dall’accordo di Monaco aveva detto:
«Potevate scegliere tra il disonore e la guerra. Avete scelto il disonore e avremo la guerra».
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 30/11/2017, a pag. 24, con il titolo "Churchill, l'eterno ritorno", il commento di Vittorio Sabadin.
Vittorio Sabadin
La locandina
Oggi verrà proiettato al Torino Film Festival L’ora più buia , il bel film di Joe Wright che narra come la caparbietà, il coraggio e l’eloquenza di Winston Churchill abbiano salvato nel 1940 il mondo dal nazismo. È l’ennesimo film sul più amato dei primi ministri britannici. Le sue biografie sono continuamente ristampate, i libretti con le argute massime che pronunciava sono un classico regalo di Natale. A Londra, nei piccoli negozi delle gallerie di Piccadilly, tra gli oggetti più richiesti ci sono le vecchie statuette di ceramica che lo ritraggono come un bulldog, mentre ringhia con il sigaro in bocca ai nemici dell’Inghilterra.
Una scena del film
Mezzo secolo dopo
Ci deve essere una ragione se a più di mezzo secolo dalla morte Churchill è ancora ricordato con affetto e stima. E forse anche con rimpianto, cosa che potrebbe da sola spiegare tutto. Secondo Andrew Roberts, lo storico inglese che sta per pubblicare la 1.010a biografia dello statista, il perdurante successo di Churchill «è dovuto all’esempio di una leadership che tutti ammiriamo, che lavora a un obiettivo del quale tutti sentono la necessità, che combatte e vince contro lo scetticismo degli altri». Joe Wright ha cominciato a girare L’ora più buia prima della Brexit e dell’elezione di Donald Trump, ma ammette che il collegamento con i tempi che viviamo sarà inevitabile, se non altro perché l’Unione dalla quale la Gran Bretagna ora esce era nata per evitare altre guerre. Anche per Roberts è così: «Nell’anno di Trump e con i dubbi che molti americani hanno sul concetto di leadership, la figura di Churchill è sempre più ammirata».
Churchill è più popolare negli Stati Uniti che in Europa. Nel 1940, l’America isolazionista ascoltava alla radio le cronache da Londra del leggendario Ed Murrow, il quale trasmetteva i coraggiosi discorsi di quel leader inglese che, rimasto solo, annunciava con fierezza: «Noi non ci arrenderemo mai». Da tempo non si sentiva una retorica così incisiva e fulminante. A Chamberlain appena tornato dall’accordo di Monaco aveva detto: «Potevate scegliere tra il disonore e la guerra. Avete scelto il disonore e avrete la guerra».
Nel 2012 la Morgan Library organizzò a New York una mostra dal titolo «Il potere delle parole». Declan Kiely, oggi direttore della Public Library, ricorda la sorpresa che provò nel vedere come i visitatori reagivano ascoltando i discorsi registrati di Churchill. «Molti di loro provavano una tale emozione che si mettevano a piangere». Per Dwight Eisenhower era «l’uomo più vicino alla grandezza che io abbia mai incontrato». John Kennedy gli concesse nel 1963 la cittadinanza onoraria, unico straniero vivente a riceverla. George W. Bush lo citò nel discorso con il quale annunciava la guerra dopo l’11 Settembre, e Churchill ha dato il suo nome persino a un incrociatore americano. Trump ha fatto rimettere nello Studio ovale il busto che Obama aveva tolto e ha telefonato a Theresa May: «È bello riaverlo qui».
Impossibile parlarne male
La storica americana Lynne Olson ha scritto uno dei libri più amati alla Casa Bianca, dedicato proprio a chi si opponeva alla pace con Hitler. Da The Rebels Who Brought Churchill to Power and Helped Save England hanno tratto ispirazione tra gli altri George W. Bush, il suo consigliere Karl Rove e Mike Pence, l’attuale vicepresidente. «Churchill - ha detto Olson - è quasi oggetto di idolatria. In certi ambienti è impossibile parlare male di lui ricordando i suoi errori, che ci sono stati. Ma il senso del dubbio e gli errori sono vitali in ogni vera leadership».
E Churchill di errori ne ha commessi tanti. Nel Galles è ancora oggi poco amato per avere mandato nel 1910 le truppe a sparare ai minatori di Tonypandy. Era contrario al voto alle donne, odiava Gandhi quanto Hitler, era razzista, stava dalla parte di Edoardo VIII nella crisi dell’abdicazione e ammirava Mussolini. Diceva che ogni tanto bisognava versare un po’ di sangue inglese e nel 1915 fu quasi tutta sua la colpa del disastro di Gallipoli. Ma nessuno, salvo qualche storico puntiglioso, lo ricorda oggi per questo.
Quando fu nominato primo ministro scrisse che gli sembrava che tutta la sua vita precedente fosse servita a prepararlo, e forse è proprio così. Arrivato il suo momento, ha resistito al fascismo, al fanatismo e all’odio, e oggi sembra parlare alla Gran Bretagna, all’America e a tutti gli inconcludenti e spocchiosi populisti del mondo. Il 15 settembre 1965, nel 25° anniversario della Battaglia d’Inghilterra, la regina Elisabetta ha fatto collocare all’Abbazia di Westminster, a fianco della tomba del Milite ignoto, una lapide di sole tre parole: «Remember Winston Churchill». E mai nessun invito a ricordare qualcuno è stato più ascoltato.
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