Riprendiamo dal PICCOLO online, con il titolo "Ugo Volli: 'Trieste è sola' ", l'intervista di Mary Tolusso a Ugo Volli.
http://ilpiccolo.gelocal.it/tempo-libero/2017/11/25/news/ugo-volli-trieste-e-sola-1.16164806?ref=search
Ugo Volli
Sono passati cent’anni dalla dichiarazione di Balfour, ovvero la possibilità di creare un “focolare ebraico” in Palestina. Un focolare che oggi conta otto milioni di abitanti. Certo la questione ebraica non conosce pace. Con la presidenza Obama è ritornata alla ribalta per le tensioni tra il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e l’ex presidente americano. Chi se n’è occupato è anche il semiologo triestino Ugo Volli, che lunedì sarà all’Associazione Italia-Israele di Trieste per un incontro proprio centrato sul centenario di Balfour.
Dopo Obama, cosa si può prevedere dalle nuove logiche politiche ed economiche di Donald Trump? «A me sembra - risponde Volli -che le dichiarazioni di Trump siano le più favorevoli che si siano viste a Israele da molto tempo. In effetti anche l’opinione pubblica israelita è bendisposta. Non è ben chiaro però quello che farà l’amministrazione, nel senso che il Dipartimento di Stato e in parte anche il Pentagono sono rimasti sostanzialmente in mano alle stesse persone di prima. C’è insomma una tensione, un’attesa molto forte che è stata un po’ delusa come il trasferimento dell’ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme».
Il sogno europeo sembra minacciato da una nuova ondata di antisemitismo. Dove, secondo lei, è maggiore il rischio di questa rinascita? «L’antisemitismo più importante e più pericoloso in questo momento è quello islamico. Nel senso che i morti più importanti e più numerosi sono stati fatti dagli arabi, dagli emigrati di origine araba, in parte di seconda generazione e questa è una cosa su cui dovremmo riflettere, dai residenti in Francia, Germania, Belgio. Ciò non vuol dire dimenticare quel tanto di neonazismo anche folcloristico che ogni tanto viene fuori, come la storia di Anna Frank, ma indubbiamente il pericolo più grande è l’altro».
L’antisemitismo di matrice islamista è il più evidente, attraverso gli occhi della stampa, ma ci sono alcuni mass media cattolici che non esprimono proprio simpatia, nonostante in tutto il Medio Oriente la pratica cristiana sia libera… «Sono assolutamente d’accordo, nel senso che spesso le pagine dell’Avvenire o dell’Osservatore Romano assomigliano a quelle del Manifesto. Questo forse in parte deriva dall’illusione che si possa rabbonire un mostro feroce come l’islamismo attuale. Però al di là del giudizio morale è un’illusione che non funziona. Diciamo che l’esperienza storica aiuta a capire che una cosa sono quelli poco amici e altra quelli che ti sgozzano. Ed è una differenza che non va dimenticata»
Da questo punto di vista l’Italia come si colloca? È un paese razzista secondo lei? «No, non credo che l’Italia sia un paese razzista. Credo che in Italia ci sia una buona quota di imbecilli, equamente divisi in tutti gli ambienti. L’Italia non è stata molto razzista neppure nei tempi durissimi della Shoah, Trieste in tal senso è stata un’eccezione, ma è una questione molto complicata. Direi invece che l’Italia di oggi è un paese in cui non si avverte un malanimo di massa nei confronti sia degli ebrei che di tutti gli altri. C’è nella cultura italiana una capacità straordinaria che è quella di pensare agli individui e non alle categorie».
Lei è nato a Trieste ma vive a Milano. Che percezione ha della città di Saba? «Ho vissuto a Trieste a lungo, fino all’università, poi qui c’è la mia famiglia, ci torno spesso, per cui è una città che sento mia. Trieste per certi versi si è aggraziata nel senso che è meno scontrosa, ha fatto molto restauri, ha eliminato un bel po’ di polvere. A me continua a sembrare una città seducente che in fondo cerca una sua missione. Per una certa fase si pensava potesse essere il ponte con i Balcani e poi ciò non è avvenuto, per cui credo che la città sia profondamente in difficoltà sul piano economico, ma che abbia grandi potenzialità»
Oggi parlare di comunicazione è arduo. Come si inserisce il fenomeno dei social sulla questione? «I social fanno parte di un processo contemporaneo che è quello della disintermediazione, hanno rotto un certo monopolio della stampa e l’hanno fatto a volte in bene. In realtà i social hanno una dose di disinformazione e propaganda che è di poco superiore a quella che c’è nella stampa. Il problema è l’educazione, che la gente capisca come si usa Internet, come si possono riconoscere le fonti affidabili. Bisogna che tutti quanti, compresi i giornalisti, imparino a distinguere e a usarli perché sono strumenti ormai necessari».
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