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La Repubblica Rassegna Stampa
26.11.2017 Abu Mazen: una intervista in ginocchio
Un esempio di cattivo giornalismo. Complimenti direttore Calabresi

Testata: La Repubblica
Data: 26 novembre 2017
Pagina: 12
Autore: Fabrizio Anzolini
Titolo: «Abu Mazen:Siamo pronti alla pace, se Trump ci aiuta»

Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 26/11/2017, a pag.12, con il titolo " Abu Mazen:Siamo pronti alla pace, se Trump ci aiuta " l'intervista ad Abu Mazen di Fabrizio Anzolini.

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Abu Mazen con Arafat             Mario Calabresi, direttore di Repubblica

Una intervista in ginocchio, peggio di una velina, nella peggior tradizione filo palestinista di Repubblica.  Le risposte di Abu Mazen sono quelle ovvie, sono le domande a suscitare indignazione. Leggerle per crederlo.

Presidente Abbas, lei è presidente dell'Autorità nazionale palestinese dal 2005. Qual è il suo bilancio di questi anni?
«La Palestina è stat, r riconosciuta come Stato dalle Nazioni Unite nel 2012, con il voto favorevole di 138 Stati. Questo importante passo avanti si è compiuto durante il mio mandato. Detto questo, il nostro lavoro è frutto di un impegno costante nel tempo e sono fiero di tutte le conquiste fatte a partire dal 1965, quando cominciammo la rivoluzione che mi vide tra i suoi promotori. Quello che siamo riusciti a diventare oggi è un obiettivo raggiunto in maniera collettiva».
Quali sono stati i principali risultati ottenuti durante la sua presidenza?
«Ci sono stati importanti risultati diplomatici, oltre a quello già menzionato del 2012. Si pensi al riconoscimento della Palestina come Stato membro a pieno titolo dell'Unesco, all'innalzamento - perla prima Riaffermiamo il nostro impegno a cessare le ostilità e il desiderio di raggiungere un accordo. Spero che l'Italia riconosca lo Stato di Palestina volta - della bandiera palestinese di fronte al Palazzo delle Nazioni Unite e alla decisione degli Stati Uniti di non porre il veto sulla risoluzione 2334 del Consiglio di sicurezza dell'Onu, (che reputa inammissibile l'acquisizione di territori con la forza da parte di Israele, ndr). Rispettiamo il diritto internazionale e per questo ho firmato l'adesione a molte convenzioni e trattati. Sul fronte interno c'è stato il continuo sviluppo delle istituzioni statali, con ministeri e agenzie governative che funzionano ad alto livello, anche secondo i report della Banca mondiale».
Ha qualche rimorso in merito alle politiche di questi anni?
«Le nostre decisioni vengono prese sempre dopo approfondite discussioni con le parti coinvolte. Siamo anche soliti valutarne l'impatto e l'attuazione dopo un certo periodo di tempo, quindi non posso rammaricarmi per nessuna di esse».
II conflitto tra Palestina e Israele continua da molti anni. Quale può essere la soluzione dal suo punto di vista?
«Stiamo cercando di raggiungere una pace giusta e integrale, nel rispetto delle risoluzioni e della legittimità internazionale, dell'iniziativa di pace araba e degli accordi sottoscritti. Vogliamo arrivare alla "soluzione dei due Stati": Palestina e Israele che vivono uno accanto all'altro. In pace e sicurezza. È chiaro che il governo di Israele, sotto la leadership del primo ministro Benjjamin Netanyahu, non crede più nella soluzione dei due Stati. Ciò rappresenta un rischio significativo per il processo di pace, dal momento che la reale *** situazione sul campo, oggi, è quella di uno Stato che pratica un sistema di apartheid. Una realtà che non può essere accollata né mantenuta. Da parte nostra, invece, riaffermiamo l'impegno per cessare le ostilità e il desiderio di raggiungere un accordo storico con il supporto del presidente americano Donald Trump. Vogliamo vivere liberamente e con dignità, nel nostro Stato indipendente e sovrano, come tutti gli altri Paesi del mondo. Uno Stato palestinese indipendente, con i confini del 1967. Con Gerusalemme Est capitale».
Alcune persone oggi pensano a un unico Stato multiculturale, con un'unica cittadinanza. Può essere considerata una soluzione?
«La Palestina, con la sua storia multiculturale, non potrebbe mai essere uno Stato religioso. Siamo in disaccordo con l'idea che ci sia qualunque Stato religioso nella nostra regione. Rispettiamo profondamente ogni credo e religione. Tutti i palestinesi sono uguali sotto alla legge. Io personalmente partecipo ogni anno alla Messa di Natale della città santa di Betlemme».
Hamas, recentemente, ha dichiarato di voler collaborare attivamente con Al Fatah. Siamo pronti ad assistere ad una nuova era nei rapporti tra Hamas e Al Fatah?
«Hamas fa parte del popolo palestinese e noi per questo trattiamo con loro. Recentemente Hamas e Al Fatah hanno sottoscritto al Cairo un accordo per porre termine alle loro divisioni. Ora siamo nella fase di attuazione di questo accordo che porterà ad un'unica Autorità, un'unica legge e un unico sistema di sicurezza legittimo». Che cosa pensa delle relazioni tra Palestina e Italia?
«Italia e Palestina hanno relazioni storiche. L'Italia ha sostenuto il riconoscimento dell'Olp da parte dell'Unione europea nel 1980, abbiamo relazioni diplomatiche strette, un sistema di consultazioni politiche, e un comitato interministeriale che si è riunito nelle ultime settimane raggiungendo accordi a livello ministeriale».
Come può, l'Italia, rafforzare questo rapporto?
«Speriamo che l'Italia riconosca lo Stato di Palestina secondo le raccomandazioni espresse dal suo Parlamento tre anni fa. Noi crediamo che i Paesi che auspicano la "soluzione dei due Stati" dovrebbero riconoscere entrambi gli Stati e non solo uno di essi».
Lei è stato tra I fondatori di Al Fatah nel 1959. Ha individuato qualcuno che possa portare avanti la sua eredità?
«Abbiamo sempre lavorato perché ci fosse più partecipazione nella leadership. I palestinesi sono pronti a difendere con responsabilità la nostra nobile causa e si potrà sempre trovare qualcuno che porti avanti la leadership, ma naturalmente dovrà essere fatto attraverso un processo democratico».

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