Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 26/11/2017, a pag.14, con il titolo "Trump, favore a Erdogan: stop alle armi ai curdi in Siria" l'analisi di Francesco Semprini.
Per la serie " Trump delude " ecco una nuova puntata.
Francesco Semprini parole, parole, parole
Tecnicamente è chiamato «aggiustamento del supporto militare garantito agli alleati in territorio siriano». Di fatto è l'interruzione della fornitura di armamenti ai curdi che hanno combattuto nel NordEst del Paese sino a liberare Raqqa, la prima capitale dello Stato islamico. Un cambio di passo voluto da Donald Trump, almeno a giudicare dal suo colloquio telefonico di venerdì con il leader turco Recep Tayyip Erdogan, durante il quale il presidente americano ha assicurato di aver dato «chiare istruzioni» affinché i curdi non ricevano più armi. La Casa Bianca rilancia con una nota dal linguaggio sibillino nel quale si parla di «aggiustamenti in merito al supporto militare dato ai nostri alleati sul territorio siriano». Una mossa che viene definita «in linea con la politica» in essere prima del conflitto, e che torna ad essere valida dopo la caduta di Raqqa e la sconfitta dello Stato islamico in Siria e Iraq. Sconfitta alla quale, le Unità di protezione popolari curde (Ypg), sotto l'ombrello delle Forze democratiche della Siria, hanno avuto un ruolo fondamentale. E su cui l'America ha scommesso per guadagnarsi un posto da protagonista nella guerra contro le bandiere nere in Siria, anche in virtù dello storico sostegno garantito da Washington ai curdi e al loro progetto di autonomia etnica e territoriale. Appoggio che però è venuto a mancare sia in occasione del referendum sull'indipendenza del Kurdistan iracheno, sia ora con l'interruzione del sostegno militare alle forze Ypg. Un cambio di passo con cui Trump tenta di ricucire con Erdogan, alleato complicato in ambito Nato che considera Ypg terroristi, al pari dei curdi del Partito del lavoratori di Ocalan (Pkk) che si battono per l'indipendenza da Ankara. Un modo per entrare nel dialogo sul futuro della Siria che vede la Turchia assieme a Iran e Siria tra gli interlocutori privilegiati grazie nell'ambito dei negoziati di Astana. Proprio per far sentire la propria voce nella partita del dopoguerra siriano, gli Usa hanno fatto trapelare la notizia di aver sul territorio almeno 2000 militari, più di quanti ne erano stati dichiarati sino a ieri. Una scelta muscolare e al contempo di realpolitik, che la Casa Bianca chiama di «fase di aggiustamento e stabilizzazione per garantire che l'Isis non torni più nel Paese». Fase di cui però Pentagono e Dipartimento di Stato - rivelano fonti interne - non erano stati informati.
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