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Il Giornale--La Stampa-Il Foglio Rassegna Stampa
25.11.2017 Strage nel Sinai: i commenti
di Fiamma Nirenstein,Giordano Stabile,Daniele Raineri

Testata:Il Giornale--La Stampa-Il Foglio
Autore: Fiamma Nirenstein-Giordano Stabile-Daniele Raineri
Titolo: «Un attacco ad Al Sisi e all'islam moderato-Foreign fighters e reduci dalla Libia-Stragew in Sinai.La cena a Roma dei servizi di Egitto e Israele per la guerra all'Isis»

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Sulla strage nel Sinai tralasciamo le cronache, riprese con abbondanza da tutti i media. Riprendiamo invece tre commenti, di Fiamma Nirenstein sul GIORNALE a pag.1/15, sulla STAMPA di Giordano Stabile a pag.3, sul FOGLIO di Daniele Raineri a pag.1.

Il Giornale-Fiamma Nirenstein:" Un attacco ad Al Sisi e all'islam moderato"

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Fiamma Nirenstein

L' attacco di len dell'Isis è un attacco all'Egitto, una scelta strategica e programmatica tesa a minare alle fondamenta il potere del presidente al Sisi, un'affermazione tracotante e decisa: «Credevate di averci sconfitti, sarete voi a morire». Una ambiziosa scelta di sovversione rispetto alle nuove alleanze antiterroriste che comprendono Egitto, stati arabi moderati e tutto l'Occidente compreso Israele. Allineati e coperti alla bell'e meglio, morti a centinaia mentre recitavano la preghiera del venerdì alla moschea di Bir al Abd a Razwa, poco lontano da Al Arish, a metà strada simbolicamente fra il Cairo e Gerusalemme, ieri sono state massacrati in numero abnorme, 235 più 190 feriti, i poveri sufi egiziani. Abituati con i copti a soffrire della loro debolezza numerica e della loro mitezza religiosa, oggi sono le vittime della guerra vigliacca che l'Isis dopo la sconfitta territoriale si ingegna a proseguire. L'Isis ha senz'altro perso il suo territorio, quella porzione di Siria e Iraq che gli aveva fornito una popolazione di otto milioni di persone, banche, armi, pozzi di petrolio, business criminali di vario genere, un'industria di comunicazione da fare paura, con blogger, twitter, film didattici. Ma non è morta e sta elaborando una strategia che gli consenta di terrorizzare il mondo intero sovvertendolo col suo esercito segreto diffuso. Il Sinai è tuttora una zona di grandi risorse terroristiche, il suo territorio è sotterraneamente parte del dominio dell'Isis dal 2014 quando la sua sezione Ansar bait al Maqdis dichiarò fedeltà a Abu Bakr al Baghdad. Prima, da quando il presidente eletto, capo della Fratellanza Musulmana, fu deposto nel 2013 da Abdel Fattah al Sisi, la forza eversiva sempre strisciante nel Sinai, con le sue staffette cammellate, i suoi armati provenienti anche da Gaza, ha cominciato un attacco contro al Sisi stesso, che ha tutte le caratteristiche di una guerra. E da allora che quella magnifica penisola di sabbia e palme ornata dal mare azzurro è inzuppata del sangue dei moltissimi agguati alle forze di sicurezza egiziane, ma anche ai civili e ai turisti, ritenuti portatori del virus edonista dell'Occidente corrotto. Nell'ottobre del 2015 un aereo dell'aviazione russa che doveva riportare a casa 224 persone esplose nell'aria col suo prezioso carico. Dal luglio del 2013 ad oggi si calcola che siano stati uccisi ben 1000 membri delle forze di sicurezza egiziane, le ultime 16 in ottobre. I copti e tutti i cristiani nelle chiese sono uno dei bocconi favoriti quando si parla di civili. Ma anche i musulmani se non sono del tipo che piace all'Isis vengono ammazzati senza pietà. Ieri da parte di Israele sono venute parole di particolare solidarietà all'Egitto. Giusto quarant'anni fa il suo presidente Anwar Sadat tenne il suo famoso discorso alla Knesset in cui si disegnò la pace. Sadat ha pagato con la sua vita la grandissima impresa a causa di gruppi islamici estremisti la cui fede collegata alla Fratellanza Musulmana li spinge a sognare per l'Egitto un ruolo estremista e di Islam incontaminato, a capo della guerra sunnita contro l'Occidente. Sisi sembra avere intenzioni completamente diverse, è parte di uno schieramento che con l'Arabia Saudita fa parte di un antiterrorismo con un rapporto indispensabile con l'Occidente, gli Usa e in particolare con Israele. Per l'Isis dunque la presenza eversiva, grandiosa nei suoi risultati letali, la sfida diretta a Sisi e chiaramente diretta a minarne la forza internazionale e locale, è il tentativo di portare all'eversione un popolo spaventato.

La Stampa-Giordano Stabile:" Foreign fighters e reduci dalla Libia"

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Giordano Stabile

L'Isis individua nei sufi, la corrente più mistica e tollerante dell'islam, i «nuovi sciiti», i miscredenti da massacrare per allargare il conflitto settario cominciato con le stragi di cristiani, trovare nuovi consensi nelle fasce più conservatrici delle masse sunnite e aprire un nuovo fronte contro il governo di Abdel Fatah al-Sisi. Il generale è arrivato al potere, quattro anni fa, con la promessa di «sradicare» il terrorismo e porre le basi dello sviluppo economico su uno Stato sicuro ed efficiente, dopo il caos della Primavera araba. Ma il punto più importante del suo programma, e più consono al suo curriculum, sta diventando un tallone d'Achille e potrebbe avere ripercussioni sulla sua rielezione alle prossime presidenziali, nel marzo del 2018. Il punto critico è il Sinai, una penisola di 61 mila chilometri quadrati, come Piemonte, Lombardia e Veneto. Circa un decimo è sotto il controllo parziale del Wilaya Sinai, provincia egiziana del Califfato. E una striscia di territorio lungo il confine con Israele, che scende dai monti Eilat fmo alla pianura costiera attorno ad Al-Arish. Dagli accordi di pace fra Egitto e Israele di Camp David, alla fine degli Anni Settanta, l'area era smilitarizzata e le tribù beduine, che vivono su tutti i due lati del confine, si sono abituate a una condizione di semi-anarchia, con discreti introiti che derivano dal contrabbando. In questa situazione si sono inseriti i gruppi jihadisti, nel disordine seguito alla caduta di Mubarak nel gennaio 2011. II più potente, Ansar Bayt alMaqdis, nel novembre del 2014 ha giurato fedeltà al califfo Abu Bakr al-Baghdadi. I jihadisti hanno stretto un'alleanza con alcuni elementi delle tribù beduine Tarabin e Sawarka. I Tarabin controllano le montagne verso la frontiera con Israele, i Sawarka la zona della città di Al-Arish. Qui le cellule dell'Isis hanno condotto una «pulizia etnica» nei confronti delle famiglie copte culminata all'inizio di quest'anno con esecuzioni e assalti alle chiese, fmo alle stragi nel Delta del Nilo il 26 maggio. Ma parallela alla campagna contro i cristiani l'Isis ne ha condotta una contro la minoranza sufi. Ultimo episodio, la decapitazione di due sceicchi, a marzo. Anche se ci sono stati alcuni contrasti con i Tarabin per il traffico di sigarette (nel Califfato fumare è proibito), l'alleanza con i beduini regge ancora ora. Il Cairo ha potuto rafforzare il suo dispiegamento militare, in deroga ai patti di Camp David, ma le basi avanzate si sono rivelate bersagli facili per gli attacchi kamikaze con veicoli sempre più potenti, sul modello di Iraq e Siria. L'Isis egiziano può contare anche sull'expertise di foreign fighter di ritorno, esperti in esplosivi e in tattiche di guerriglia apprese sui fronti siro-iracheni. Non esistono cifre ufficiali, ma i 2 mila uomini di Ansar Bayt al-Maqdis potrebbero essere raddoppiati. Nelle scorse settimane la Coalizione anti-Isis a guida Usa ha fornito all'Interpol 43 mila nomi di foreign fighter andati a combattere nel Califfato, in gran parte dal Nord Africa. Un terzo è tornato nei Paesi d'origine o si è diretto su nuovi fronti «caldi», Libia e Sinai fra tutti. L'esercito egiziano, uno dei più imponenti del Medio Oriente con 310 mila uomini, fatica ad adattarsi. E stato creato come forza di massa per contrastare Israele mentre la contro-insorgenza vuole unità snelle, con addestramento specifico. La lotta ai gruppi terroristici viene affidato spesso a reparti speciali della polizia. Il 20 ottobre oltre cinquanta agenti sono stati trucidati in un agguato in una località nel deserto, 135 km a SudOvest del Cairo. L'attacco è stato attribuito al gruppo vicino ai Fratelli musulmani, Hasm. Ma molti pensano che sia opera dell'Isis. La media valle del Nilo è soggetta a infiltrazioni da parte di gruppi libici. Ministero dell'Interno e della Difesa diffondono regolarmente video di raid con cacciabombardieri su colonne di fuoristrada provenienti dalla Libia. L'enorme area desertica è impossibile da controllare. Al-Sisi è stretto fra due fronti, uno più insidioso dell'altro.

Il Foglio-Daniele Raineri:"Foreign fighters e reduci dalla Libia"

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Daniele Raineri

Ieri uomini a bordo di quattro veicoli hanno attaccato con bombe e raffiche di mitra una moschea suf9, a ottanta chilometri a ovest di al Arish, la città più grande del Sinai, e hanno ucciso 235 persone. I sufi sono considerati un bersaglio dallo Stato islamico perché praticano una versione mistica dell'islam che li rende "eretici", così come un bersaglio sono i cristiani che—secondo il Wilayat Sainà, come si fa chiamare il gruppo qui, in arabo vuol dire "provincia del Sinai"—a partire dall'anno scorso non possono più avere nemmeno lo status di sottomessi all'islam, come vorrebbe la visione del mondo degli islamisti, ma devono essere uccisi ovunque sia possibile perché "collaborazionisti del governo del tiranno al Sisi". il presidente egiziano. Ma forse c'era un altro motivo per attaccare quella moschea: lo Stato islamico ha voluto punire con brutalità i Bani Sawarka, un clan beduino locale che assieme ad altri aveva cominciato a fare resistenza contro i terroristi. In teoria gli egiziani non potrebbero operare nel Sinai con armi pesanti ed elicotteri da guerra, perché è una zona demilitarizzata dopo i conflitti arabo-israeliani, ma lo fanno grazie a un nuovo accordo con il governo di Gerusalemme. La settimana scorsa una delegazione del Mossad israeliano s'è incontrata in un ristorante vicino a Roma con una delegazione dei servizi segreti egiziani per un incontro al vertice — secondo quanto risulta al Foglio. 0 meglio, l'incontro non era proprio al vertice, perché non erano presenti i direttori, ma era appena sotto perché c'erano i loro vice. Delegazione asciutta per gli israeliani, quattro persone, e molto nutrita invece per gli egiziani, dodici, che alla fine hanno voluto pagare il conto. Questo tipo di incontri confidenziali in paesi terzi, e l'Italia è una destinazione scelta spesso, fanno parte di quella diplomazia sotterranea tra i paesi arabi e Israele che negli ultimi tempi sta facendo parlare di sé più del solito, soprattutto da quando l'Iran ha conquistato una posizione dominante in medio oriente e l'Arabia Saudita è diventata più attiva. Ma uomini d'intelligence egiziani e israeliani sono vecchie conoscenze e sono in contatto da molto prima dell'attuale fase convulsa e quella sera erano a cena assieme per fare il punto della situazione su altri fronti che hanno in comune, due in particolare. Uno è la Striscia di Gaza, dove il gruppo islamista llamas sta progressivamente cedendo il controllo ai rivali politici di Fatah in virtù di un accordo di riconciliazione nazionale palestinese firmato il 12 ottobre che è molto delicato perché potrebbe rompersi da un momento all'altro per tanti motivi. L'altro fronte—che non è slegato da quello che succede a Gaza — è appunto la lotta contro lo Stato islamico nella penisola egiziana del Sinai, che confina sia con Israele sia con la Striscia. Gli egiziani hanno mandato l'esercito per sradicare il gruppo terrorista con una campagna militare molto dura, e a tratti è sembrato che funzionasse e fosse vittoriosa. Poi però arrivano rappresaglie terribili, come ieri. II ruolo degli israeliani non si limita a questo permesso di effettuare massicce manovre militari contro i terroristi: ci sono casi di bombardamenti con i droni da parte di Israele contro lo Stato islamico nel Sinai, e sono certamente concordati con gli egiziani

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