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Informazione Corretta Rassegna Stampa
22.11.2017 Per i kurdi
Commento di Caroline Fourest

Testata: Informazione Corretta
Data: 22 novembre 2017
Pagina: 1
Autore: Caroline Fourest
Titolo: «Per i kurdi»

Per i kurdi
Commento di Caroline Fourest

(Traduzione di Yehudit Weisz da "Marianne", novembre 2017)

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Una manifestazione pro-kurdi

Il tradimento dei nostri alleati curdi annuncia molto di più di una resa. Una disfatta. Malgrado tutto quel che li differenzia e spesso li oppone, i curdi siriani e quelli iracheni si son battuti contro il Daesh, per noi, in nome degli stessi valori. In Siria, le coraggiose guerriere di YPJ (Unità di Protezione delle Donne, Organizzazione militare fondata il 4 aprile 2013) e i loro fratelli d’armi del YPG (Unità di Protezione Popolare, fondata il 19 luglio 2011) hanno in comune un progetto opposto alla bandiera nera dell’oscurantismo: paritario, ecologista e laico. Malgrado tutti i rischi del dogmatismo connaturati alle utopie, la regione del Rojava ha l’incredibile merito di aver piantato un seme di speranza in un deserto senza avvenire, che ci consente di credere in un progetto alternativo alla scelta mortale tra una dittatura nazionalista e islamica, una gramigna che da decenni rende sterile il più antico granaio del mondo. A pochi chilometri, i dirigenti del Kurdistan iracheno a volte, hanno i difetti degli indipendentisti diventati uomini d’affari, ma bisogna riconoscere che hanno saputo far prosperare la zona di Erbil, una delle poche regioni dell’antica Mesopotamia dove si può vivere in libertà. Non è un caso se arabi e turkomanni di Kirkuk hanno votato SI all’indipendenza.

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La maggior parte dei sunniti dei “territori contesi” preferiscono vivere sotto una democrazia curda che sotto la tutela sciita di Bagdad, schierata con l’Iran, alla mercé delle milizie sciite, agli ordini di un generale iraniano, venuti ad aiutare l’esercito iracheno a rioccupare la città ed i pozzi di petrolio. I peshmerga, che con coraggio avevano difeso la città di Kirkuk dal Daesh, l’hanno ceduta senza combattere. Per paura di versare sangue inutilmente, dato che Il rapporto di forze era già perso in partenza. Purtroppo un ramo dell’Unione patriottica del Kurdistan (PUK) ha permesso di aprire le porte della città, in cambio di un mercanteggiamento vergognoso. Tradito da ogni parte, Massoud Barzani si è dimesso. Molti gli hanno rimproverato di aver sostenuto questo referendum col rischio di fallire. C’era forse un momento migliore per invocare non la propria indipendenza, ma almeno il proprio desiderio di libertà? Come hanno ripetuto gli amici dei curdi, Frédéric Tissot, Bernard Henry-Lévy, Bernard Kouchner, “non è mai il momento giusto, e nel contempo lo è sempre”. Tutti avevano intuito che una volta liberata Raqqa, il mondo avrebbe abbandonato i curdi al loro destino: un padrone iracheno che non avrebbe mai rispettato gli accordi previsti dalla Costituzione. Erbil era convinta che Bagdad stava pianificando questa riconquista da mesi.

Da qui la corsa contro il tempo per strappare un SI all’indipendenza, chiaro e forte, prima di avviare delle trattative. Bagdad,invece, ha inviato milizie e carri armati - forniti dall’esercito americano per schiacciare Daesh - ad abbattere i peshmerga. I loro cingolati si sono fermati a pochi chilometri da Erbil. Un atto di forza per imporre un’unità irachena a cui più nessuno crede. I carri armati non hanno mai conquistato i cuori. Non faranno mai dimenticare il 92,7% di SI in favore dell’indipendenza del Kurdistan. Questa cifra rimarrà impressa nella memoria, come in un forziere della Storia. Per aprirlo, ci vorrà la rivolta dell’opinione internazionale ed una nuova generazione di leader curdi, animati da un nuovo spirito di unità. Se la più grande diaspora del mondo non ha ancora una Nazione o una Confederazione, è proprio a causa delle divisioni interne – culturali, economiche e politiche – che impediscono di opporre un fronte unico alle due potenze pronte a infrangere il sogno curdo: l’Iran e la Turchia. Non c’è nulla di più inquietante di questa alleanza tra il regime dei mullah, risoluto a tracciare un potere sciita fino al mare, e Recep Tayyip Erdogan, che si erge a nuovo califfo.

L’America, eleggendo Trump, lascia fare. Sull’orlo di una “fitna” – scisma, divisione – senza precedenti, il mondo si ritrova senza alcuna garanzia di sicurezza, più instabile che mai. Cosa farà l’Europa, mentre il Kurdistan soffre in silenzio? E la Francia? L’ideale sarebbe quello di sostenere il riconoscimento del Kurdistan al Consiglio di Sicurezza. Abbandonare i nostri alleati, a cui siamo così riconoscenti, a farsi divorare non ci porterà la pace. Questo segno di debolezza non farà altro che ingigantire l’orco del dopo Daesh. Che minaccia anche noi.

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Caroline Fourest


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