|
|
||
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli Cari amici, è possibile in tempi ragionevoli una soluzione per il conflitto fra gli arabi e gli ebrei residenti nella terra di Israele che dura ormai da cent'anni? E più specificamente, è possibile un accordo in questo senso fra lo stato di Israele e l'Autorità Palestinese, che fu costituita venticinque anni fa proprio come soggetto di questo futuro accordo? Al di là di qualunque ideologia, utopia, speranza, l'esperienza dice di no. Se non proprio l'Autorità Palestinese, che è un'interfaccia artificiale creata per le trattative, l'Organizzazione per la Liberazione della Palestina e le forze politico-militari che costituiscono il movimento palestinista hanno chiarito in ogni occasione possibile che il loro obiettivo è la conquista del territorio "dal fiume al mare", che implica la totale cancellazione dello stato di Israele, e il "ritorno" dei "rifugiati", magari con il passo intermedio di uno sgombero degli insediamenti al di là della linea verde, inclusa la città vecchia di Gerusalemme e molti suoi quartieri, condizioni che già sarebbero economicamente, militarmente e politicamente impossibili da sostenere per Israele.
In sostanza Israele vuole restare vivo e potersi difendere, mentre i palestinisti lo vogliono prima indifendibile e poi morto. Nessun leader politico israeliano, dopo l'esperienza di questi trent'anni, potrebbe ripetere il gesto di Rabin (che fu immensamente controverso anche allora e si realizzo con la maggioranza di un solo voto alla Knesset, inclusi i partiti arabi e con un deputato strappato all'opposizione con promesse di vantaggi personali) e cedere anche solo i territori rivendicati dai palestinisti per la fase intermedia, senza essere sfiduciato dal parlamento. Nessun leader arabo potrebbe firmare un accordo, anche nei termini molto favorevoli offerti a suo tempo da Barak e Olmert, senza essere immediatamente deposto e ucciso. Insomma, il buon senso dice che per il momento non c'è modo di chiudere il conflitto; il massimo che si può fare è lasciarlo decantare, diminuendone il più possibile la violenza, di modo che lo sviluppo dell'economia e la lunga convivenza permettano di convincere tutti che la situazione attuale, con un autogoverno non statale delle zone abitate dalla popolazione araba, la garanzia di sicurezza dell'esercito di Israele e la spinta produttiva della sua economia, convincano tutti che la convivenza è possibile e può eventualmente essere migliorata ancora facilitando gli scambi e la crescita economica e giuridica di tutta la popolazione. Per far questo la sola soluzione per la comunità internazionale è lasciar fare ai diretti interessati, evitare le trappole dell'interventismo e dell'urgenza artificiale creata dal terrorismo, reagire solo per impedire ondate terroristiche. Era quel che si sperava capisse Trump. E invece lo si vede procedere ora sulla strada dei suoi predecessori, cercando di elaborare e poi di imporre alle parti un piano di pace, come ha annunciato in pompa magna il New York Times, nostalgico anche in questo dei tempi di Obama (https://www.nytimes.com/2017/11/11/world/middleeast/trump-peace-israel-palestinians.html). Parte del governo israeliano si è allarmata (ma certamente Netanyahu sapeva quel che bolliva in pentola) e i più ingenui dei filopalestinesi si sentiti rinascere la speranza di un percorso analogo a quello di Clinton, Bush, Obama, che avrebbe messo in difficoltà Israele. Ma poi sono uscite anche delle indiscrezioni sul piano di Trump (http://www.lphinfo.com/grandes-lignes-plan-trump-revelees/) il cui aspetto più vistoso era la promessa di non prevedere espulsioni di popolazione né araba né ebraica e di tener conto delle esigenze di sicurezza di Israele, come la continuazione del controllo sul confine del Giordano (https://www.israelnationalnews.com/News/News.aspx/238207). Il risultato ovvio è stato che la parte palestinese non solo ha rifiutato la proposta, ma ha messo in moto la macchina dell'indignazione (http://malaassot.over-blog.com/2017/11/les-membres-de-l-olp-rejettent-la-proposition-de-paix-au-moyen-orient-de-jared-kushner-0.html), in verità senza ottenere la vecchia vasta eco nel mondo. Tanto più che in applicazione di una legge approvata dal Congresso, l'amministrazione Trump ha deciso di chiudere la sede di rappresentanza palestinista a Washington (http://edition.cnn.com/2017/11/18/politics/state-department-palestinians-washington-mission-israel/index.html), a meno che l'Autorità Palestinese non cambi atteggiamento e si sbrighi a partecipare alle trattative. La reazione palestinista è stato il classico colpo di megalomania della pulce che minaccia l'elefante: se ci chiudete l'"ambasciata", peggio per gli Stati Uniti, vuol dire che non collaboreremo più con loro (https://www.israelnationalnews.com/News/News.aspx/238220). Poco male, visto che in questa maniera Trump potrà destinare a miglior causa le molte centinaia di milioni di dollari che servono a tenere in piedi l’Autorità Palestinese, ma anche ad arricchire le famiglie della nomenklatura palestinista e (peggio) a pagare i terroristi catturati, processati e incarcerati dalla giustizia israeliana. Resta il fatto che la vita dell’ennesima proposta di pace si mostra accidentata fin dall’inizio. Non era difficile capirlo, per le ragioni che ho detto. Ma qualcuno dovrebbe dire a Trump che, con tutti i pasticci che deve affrontare in Medio Oriente e altrove, farebbe meglio a risparmiarsi l’inglorioso percorso di Kerry.
http://www.informazionecorretta.it/main.php?sez=90 |
Condividi sui social network: |
|
Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui |