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La Stampa Rassegna Stampa
21.11.2017 Libano: cresce la paura degli sciiti
Commento di Giordano Stabile

Testata: La Stampa
Data: 21 novembre 2017
Pagina: 13
Autore: Giordano Stabile
Titolo: «Libano, nella roccaforte dei sunniti sotto assedio: 'Sono tutti contro di noi'»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 21/11/2017 a pag. 13, con il titolo "Libano, nella roccaforte dei sunniti sotto assedio: 'Sono tutti contro di noi' " l'analisi di Giordano Stabile.

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Giordano Stabile

La pittura blu sui condomini sgarrupati della via centrale del quartiere Al-Tabbani si sta già scrostando. Era un «regalo» di Saad Hariri per il rinnovamento dell’area più povera di Tripoli, la città nel Nord del Libano roccaforte dei sunniti e del suo partito, Future. «Il quartiere doveva essere rimesso a nuovo - spiega Mohammed, 36 anni, percussionista dilettante che campa dando un mano all’officina meccanica dello zio - ma gli imprenditori che hanno preso l’appalto si sono mangiati i soldi, hanno dato una mano di blu ed è finita lì». Il blu è anche il colore del partito Future e l’idea era di fare della strada un grande spot elettorale in vista del voto parlamentare, rimandato di anno in anno, e che ora si dovrebbe tenere a maggio. Sempre che i venti di guerra, come si è visto alla riunione della Lega araba, non mandino tutto all’aria. Hariri oggi volerà in Egitto a incontrare Abdel Fateh Al-Sisi; domani sarà in Libano per la festa dell’Indipendenza e il colloquio, molto più problematico, con il presidente Michel Aoun. Le posizioni su Hezbollah, e il suo «strapotere», sono distanti. Tira aria di una lunga crisi.

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Saad Hariri

«Hezbollah, la Siria, l’Iran si sono presi il Libano, pezzo dopo pezzo - continua Mohammed -. Ora comandano loro. Solo l’esercito resta ancora nazionale, non so per quanto. Per il resto, se sei sunnita, sei un terrorista, non troverai mai un lavoro decente. Scuole, ospedali, anche le ditte private: assumono solo sciiti. Avevo la barba lunga, da salafita, me la sono accorciata ma non è servito, appena arrivo a un posto di blocco la polizia mi ferma e perquisisce». Tripoli e Al-Tabbani in particolare sono la base elettorale dei partiti sunniti. Ma sono anche il covo di movimenti salafiti estremisti, che ruotano attorno allo sceicco Salim Rafei, sospettato di essere vicino al gruppo Al-Nusra, l’Al-Qaeda siriana. Nella centrale piazza Al-Nur i cartelli recitano: «Qalat al-muslimin», Fortezza dei musulmani. La Siria è a quaranta chilometri e l’impatto della guerra civile si è fatto sentire. Fra il 2008 e il 2014, ad Al-Tabbani si è combattuto un conflitto a bassa intensità, fra i sunniti e gli sciiti che vivono nel quartiere accanto, Jabal al-Mohsen.
Mohammed, piccoletto, occhi chiari e in testa il berrettino dei salafiti, fa capire che ha partecipato e si è fatto anche un anno e mezzo di prigione in Siria. Non chiarisce, però, se per i tumulti di Tripoli o perché è andato a combattere là. La longa manus siriana a Tripoli è stata pesante: nel massacro di Al-Tabbani, nel 1984, sono morte 400 persone. La voglia di vendetta non si è placata: fra il 2011 e il 2015 i gruppi salafiti hanno inviato trecento giovani a combattere contro Bashar al-Assad, ma «solo cento sono tornati». Da quarant’anni ad Al-Tabbani «si combatte e si fa la fame», ammette Mohammed. Eppure, prima della grande guerra civile (1975-1990) era «un quartiere ricco», si chiamava ancora con il vecchio nome Bab al-Zahab, la porta dell’oro, «c’era molto commercio, depositi, magazzini». Ora i condomini Anni Settanta, anneriti, cadono a pezzi. Fra le officine misere e luride, i banchetti che vendono succo d’arancia e melograno, ci sono le postazioni, in cemento armato, dell’esercito. Uno Stato sotto assedio. «Non abbiamo nulla contro l’esercito ma il governo, Hariri o non Hariri, ci ha lasciati all’abbandono, si ricorda di noi solo prima delle elezioni: un cartone con un po’ di cibo e cento dollari».

La stessa sensazione di abbandono la dà, in alto sulla collina, il quartiere sciita di Jabal a-Mohsen. Le facciate dei palazzi sono ancora crivellate dai proiettili. Un massiccio check-point filtra gli ingressi all’imbocco della strada che porta in alto. A Tripoli gli sciiti sono circa l’8 per cento, i cristiani il cinque. «Ho amici cristiani, e sunniti - spiega Khalil, 27 anni, al lavoro nella ferramenta dello zio ma con il sogno di diventare architetto - ma qui è così, oggi non succede niente, domani cominciano a sparare». Per questo ora gli sciiti tengono un profilo basso: «Non esponiamo più i ritratti di Bashar (al-Assad) perché basta un niente per far riesplodere la guerra», conferma lo zio. Tripoli, e il Libano, sono appesi a una scintilla che può far saltare tutto, e ai contrasti settari si aggiungono quelli sociali. Accanto alla miseria di Al-Tabbani ci sono i quartieri residenziali dove stanno alcune delle famiglie, sunnite, più ricche del Libano, come quello detto Mia Mia, «cento per cento». Le vie alberate sono punteggiate dai cartelloni con il ritratto di Saad Hariri sorridente e le scritte «Natrinak». «Ti aspettiamo». Tutti, forse no.

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