Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 16/11/2017, a pag. 1, con il titolo "Quando l’Isis capitola", l'analisi di Daniele Raineri.
Daniele Raineri
Roma. Passati i tempi d’oro del motto in arabo “al nasr au al shahada”, o vittoria o martirio, lo Stato islamico è costretto a rassegnarsi al proprio inevitabile declino militare e ora aderisce a un motto più pragmatico e anglosassone: “Live to fight another day”, vale a dire oggi pensiamo a sopravvivere così domani torneremo a combattere. Ora il gruppo terrorista non può più sprecare centinaia di uomini in battaglie di posizione insensate contro avversari superiori e una potenza di fuoco imbattibile, deve anzi tenerseli stretti per impiegarli nella guerriglia o per formare le assai temute cellule dormienti, in attesa che accedano ai tunnel nel deserto nei quali si dice che il gruppo terrorista abbia accumulato riserve di armi, munizioni, esplosivo e medicinali per affrontare il “dopo”. In questo contesto, il servizio che la Bbc ha pubblicato due giorni fa da Raqqa, in Siria, non arriva come una sorpresa: i due giornalisti, Quentin Sommerville e Riam Dalati, raccontano che l’ultima fase della battaglia è stata molto diversa rispetto alle altre due capitali di fatto dello Stato islamico, Sirte in Libia e Mosul in Iraq, dove i combattenti hanno resistito fino all’ultimo uomo e per stanarli è stato necessario radere al suolo una gran parte degli edifici. A Raqqa le forze curde che agivano di concerto con l’aviazione e l’artiglieria (c’erano anche dei cannoni a terra) americane hanno circondato la città da tutti i lati e sono progressivamente avanzate verso il centro per cinque mesi, casa per casa e metro dopo metro. La tattica usata in queste battaglie è sempre la stessa: ogni volta che s’incontra il nemico trincerato troppo bene fra i palazzi, intervengono gli aerei e bombardano. Il problema è che assieme ai combattenti dello Stato islamico ci sono anche migliaia di civili, tenuti in ostaggio.
Per quanto gli aerei non prendano di mira deliberatamente i civili, in questo tipo di operazioni la popolazione è esposta a rischi altissimi. A Mosul un singolo raid contro un palazzo potrebbe aver ucciso più di 150 persone in fuga. A Raqqa, durante la fase finale, i curdi hanno raggiunto un accordo di capitolazione con lo Stato islamico: arrendetevi e potrete abbandonare la città a bordo di bus, assieme con le vostre famiglie e con le armi personali. Ai negoziati erano presenti anche ufficiali occidentali, che sono sul campo come consiglieri militari e non hanno partecipato direttamente. Ma che ci fosse il consenso americano è ovvio, visto che il corteo impressionante che ha lasciato Raqqa era formato da decine di mezzi, con a bordo qualche centinaio di combattenti più le donne e i bambini per un totale di circa quattromila persone e sarebbe stato un bersaglio ottimo per i jet.
La Bbc ha scelto un titolo accusatorio, “Lo sporco segreto di Raqqa”, ma in realtà questi accordi sono meno rari di quanto si pensi. A partire da Fallujah 2016, in Iraq, dove l’accordo fu negoziato dallo stesso Iyad al Jumaili, un leader così potente dello Stato islamico da essere candidato alla successione di Baghdadi, attuale capo dell’intelligence del gruppo terrorista e conosciuto per la sua ferocia (il video in cui i terroristi affogano quattro civili in una gabbia fu un’idea sua). Le battaglie di Manbij e di Tabqa, in Siria, si conclusero nello stesso modo. Ad agosto lo Stato islamico evacuò le montagne del Qalamoun su una fila di bus dopo un accordo con Hezbollah e il governo siriano. I jet americani erano tentati di bombardare i bus, ma alla fine desistettero. Anzi, la strategia d’assedio prevede di lasciare quasi sempre un lato libero, tranne che a Mosul, per tenere aperta una via di fuga ed evitare la distruzione della città.
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