Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 15/11/2017, a pag. 18, con il titolo "Calenda e Padoan vogliono gli investimenti in Iran. Ma la Cdp di Gallia si sfila", la cronaca di Paolo Baroni.
Carlo Calenda e Pier Carlo Padoan spingono per gli investimenti italiani in Iran. Non interessa la natura terrorista e criminale del regime fondamentalista di Teheran, ma solo il volume degli accordi commerciali che potrebbe crescere. Lo stesso comportamento tenuto dagli stati democratici negli anni '30 nei confronti del nazismo. Complimenti!
Ecco l'articolo:
Paolo Baroni
Carlo Calenda Pier Carlo Padoan
Su un fronte ci sono il ministero dell’Economia e quello dello Sviluppo, con Carlo Calenda che ancora nei giorni scorsi sosteneva di «non essere soddisfatto di come operano Sace e Simest insieme, perché dopo quattro anni non sono ancora riuscite a dar vita a quella Export-import bank come hanno tutti i grandi paesi» frenando così gli affari di tante nostre imprese. Sul fronte opposto c’è la Cassa depositi e prestiti, società controllata dal Tesoro ma anche dalle fondazioni bancarie, e azionista delle due società che operano nel campo dei crediti all’export. In ballo c’è la strategia economica del governo in campo internazionale compresa la riconquista di quote sul mercato iraniano, ricco di opportunità per tante nostre imprese dopo la fine dell’embargo, ma classificato ad altissimo rischio. Tanto più alla luce delle nuove sanzioni Usa. In Iran il «polo export» di Cdp non può operare, sostengono dal quartier generale di via Goito, se non mettendo a forte rischio i capitali privati con cui opera e la propria reputazione internazionale oltre ad esporsi a possibili pesanti sanzioni.
Il tira e molla tra Cdp, Tesoro e Sviluppo è andato avanti per diverso tempo, sino a quando Padoan e Calenda, hanno calato la carta Invitalia, che con la nuova legge di bilancio riceve 120 milioni di euro e l’incarico formale di operare come istituzione finanziaria per finanziamenti, garanzie e assicurazione dei rischi «non di mercato» nei paesi ad alto rischio inseriti nella lista Gafi, il Gruppo di azione finanziaria internazionale. L’obiettivo è evitare di disperdere un potenziale enorme per le nostre imprese, alcune delle quali tra l’altro si sono già assicurate ricchi contratti in Iran (come Fs, Saipem e Maire) o potrebbero farlo a breve (Eni).
Da qualche giorno il braccio di ferro si è spostato in Senato, dove tra i 4 mila emendamenti alla legge di Bilancio ben 19 riguardano l’articolo 32 riservato all’operazione-Invitalia. Stefano Lucidi dei 5stelle propone di sopprimerlo. Punto e basta. Lucio Malan di Forza Italia, parla di «proposta totalmente scandalosa» e per questo di emendamenti ne ha presentati ben 13. «Se vogliamo fare i filantropi - sostiene - aiutiamo i paesi poveri, se vogliamo fare gli imprenditori privilegiamo quelli con particolare crescita, ma fare affari coi stati canaglia no». Per questo con le sue proposte di modifica il senatore azzurro punta a chiarire che le nuove garanzie non potranno essere concesse né a paesi «che abbiano pubblicamente minacciato di usare armi di distruzione di massa», né a favore di attività «in cui sono coinvolti direttamente o indirettamente i Guardiani della rivoluzione» o che sono sottoposti a sanzioni Usa. «Tra l’altro i 120 milioni stanziati sono sottratti ai fondi per l’occupazione giovanile – segnala - E noi ora li vogliamo dare ai pasdaran? Roba da matti».
«La norma su Invitalia – spiega Cinzia Bonfrisco (Fdl), presidente della Commissione di vigilanza su Cassa depositi – ha maglie troppo larghe e dimentica le leggi italiane ed europee che impediscono a chiunque di operare con paesi che sostengono il terrorismo». Per questo la senatrice fittiana, a sua volta, ha depositato due emendamenti per tagliar fuori sia l'Iran che la Corea del Nord. Anche a costo di perdere tanti buoni affari, lasciando campo libero ai concorrenti stranieri? «Siamo tutti impegnati a sostenere le nostre imprese - risponde - ma con limiti ben precisi da rispettare: innanzitutto le leggi, e quindi il vincolo morale e politico che ci impedisce di fare affari con questi stati canaglia mettendo a rischio il risparmio postale degli italiani». Quanto alla Cassa, a suo parere, sul fronte dell’export ha operato bene. «Giovedì scorso è venuto in commissione l’ad Fabio Gallia per illustrare il piano industriale – conclude Bonfrisco - e bisogna dire che Cdp in questo campo ha brillato».
Negli ultimi 18 mesi, infatti, la Cassa ha mobilitato una mole notevole di risorse passando dai 17 miliardi del 2015 ai 22 del 2016 (+30%). Nei primi 6 mesi di quest’anno ha poi toccato quota 7,8 contro i 6,6 del 2016, un ulteriore balzo del 19% che diventa del 98% conteggiando anche i 5,3 miliardi dell’«operazione Qatar» conclusa a luglio.
Per inviare la propria opinione alla Stampa, telefonare 011/65681, oppure cliccare sulla e-mail sottostante