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La Stampa Rassegna Stampa
12.11.2017 Teheran/Riad: la seconda fase della guerra
Analisi di Giordano Stabile

Testata: La Stampa
Data: 12 novembre 2017
Pagina: 9
Autore: Giordano Stabile
Titolo: «Sciiti e sunniti corrono verso la seconda fase della guerra»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 12/11/2017 a pag.9, con il titolo "Sciiti e sunniti corrono verso la seconda fase della guerra" l'analisi di Giordano Stabile

Nel caos sciita/sunnita mediorientale, l'analisi di Giordano Stabile - chiara e accurata - delinea la varie forze che si confrontano. Su tutte, l'avanzata dell'Iran per il dominio della regione. Attiva, anche se in modo non appariscente, Israele dispiega la propria capacità politica e diplomatica su diversi fronti.

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Giordano Stabile

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Beirut - L'accordo fra Donald Trump e Vladimir Putin può rendere meno cruenta l'ultima fase della guerra civile in Siria ma non risolve nessuno dei nodi che possono portare al prossimo conflitto in Medio Oriente. La distruzione del Califfato, nelle sue fasi finali, e l'emergere di forze militari che non rispondono agli Stati ma a logiche settarie, confessionali o etniche, hanno trasformato in profondità la Mesopotamia, o se vogliamo, quello spazio che gli arabi levantini chiamano il Bilad al-Sham, e che comprende Libano, Siria, Iraq e Giordania. Il nuovo assetto, estremamente fragile, coinvolge tutti questi Stati, e Israele. I due fronti principali, quello sciita e quello sunnita, più lo Stato ebraico, stanno già posizionando le loro pedine per la seconda fase della grande guerra mesopotamica cominciata nel 2011 sull'onda della Primavera araba. Vediamo come.

L'autostrada sciita
L'assetto è fragile prima di tutto perché il fronte sunnita, e tanto meno Israele, non accettano l'esito della prima fase della guerra. Arabia Saudita, Qatar e Turchia hanno giocato male le loro carte. Hanno puntato su una insurrezione sunnita per rovesciare il governo filo-iraniano di Bashar al-Assad e controbilanciare l'Iraq del dopo Saddam, diventato una potenza sciita legata a doppio filo a Teheran.
La situazione è però sfuggita di mano, ed è emersa una forza jihadista sunnita, l'Isis, completamente fuori controllo e che è dilagata sia in Siria sia in Iraq. E stato necessario abbandonare man mano la ribellione anti-Assad, e l'Occidente si è ritrovato alleato obtorto collo dell'Iran e della Russia contro lo Stato islamico.
II risultato è che i sunniti sono stati annientati nel Bilad al-Sham, il raiss siriano saldo a Damasco, l'Iran sta costruendo la sua prima base permanente vicino alla capitale.
Siria e Iraq ora sono uniti come non lo sono mai stati in 70 anni: fra il Mediterraneo e l'Iran, lungo la cosiddetta «autostrada sciita», sono libere di muoversi milizie sciite che contano su centinaia di migliaia di uomini e rispondono principalmente all'Iran.

II fronte libanese

Al di là delle strette di mano fra Trump e Putin in Vietnam, le preoccupazioni degli alleati dell'Occidente nella regione sono a livello d'allerta. Sia per l'Arabia Saudita sia per Israele la priorità è tagliare in qualche modo l'autostrada sciita. Ma le due potenze più attive nel contrastare l'egemonia iraniana in Mesopotamia agiscono su binari diversi. Riad, con l'impulsività che sembra contraddistinguere il principe ereditario Mohammed bin Salman, ha puntato a far esplodere il Libano e a costringere Hezbollah e le altre milizie iraniane a dissanguarsi in una guerra civile. Ma finora il risultato è di aver rinsaldato la debole coscienza nazionale libanese, che pure esiste. Anche i partiti sunniti chiedono il ritorno del premier Saad Hariri a Beirut, e percepiscono come un affronto il fatto che sia trattenuto in qualche modo in Arabia.

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rapito? Non si direbbe

II fronte Nord
La visione israeliana, e delle forze armate americane, è più prudente. Una guerra in Libano avrebbe conseguenze negative anche in Israele. Per tagliare «l'autostrada sciita», in tempi più lunghi, il Pentagono ha posizionato le sue forze sia a Nord sia a Sud dell'asse Baghdad-Deir ez-Zour-Palmira-Damasco. A Nord operano con grande efficacia le Forze democratiche siriane, costituite in gran parte da guerriglieri curdi dello Ypg. Sono a pochi chilometri da Deir ez-Zour, e dalla città alla frontiera siro-irachena di Al-Bukamal, dove l'Isis ha organizzato l'ultima resistenza. Nei territori conquistati, il «Rojava», gli Usa hanno impiantato una dozzina di basi con circa 4 mila soldati.
II punto debole dello schieramento è l'ostilità totale della Turchia, Paese Nato, che considera lo Ypg nient'altro che il ramo siriano del Pkk.
La pressione di Ankara si sta facendo sentire anche in Iraq, perché il presidente turco Recep Tayyip Erdogan chiede a Baghdad di occupare e chiudere il posto di frontiera di Fish Khabour, fra il Kurdistan iracheno e quello siriano, in modo da bloccare i rifornimenti ai curdi.

Il fronte Sud
Sul lato meridionale dello scacchiere l'America dispone di un alleato affidabile come la Giordania, restio però a imbarcarsi in avventure militari. I ribelli addestrati ad Amman dal Pentagono hanno dato scarse dimostrazioni di forza. L'unico obiettivo raggiunto è stato la conquista del posto di frontiera di Al-Tanf, fra Giordania, Siria e Iraq. E' una piccola base con qualche centinaio di uomini delle forze speciali. Una testa di ponte che però potrebbe allargarsi in caso di conflitto generalizzato. Una base di dimensioni simili è stata costruita anche sul versante iracheno, 20 chilometri a Sud della cittadina di confine di Al-Qaim. Lo scopo ufficiale di questi avamposti è di «supporto alla guerra all'Isis», anche perché gli islamisti si muovono ancora nelle zone desertiche a cavallo di Siria e Iraq e lanciano contrattacchi improvvisi. Ma in prospettiva queste sono le pedine che verranno mosse per prime contro «l'autostrada sciita».

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