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Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


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La Stampa Rassegna Stampa
12.11.2017 Caos in Medio Oriente e la saggezza di Israele
Editoriale di Maurizio Molinari

Testata: La Stampa
Data: 12 novembre 2017
Pagina: 1
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «L'esile intesa nella giungla siriana»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 12/11/2017, a pag.1/21 con il titolo "L'esile intesa nella giungla siriana" l'editoriale del direttore Maurizio Molinari.

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Maurizio Molinari

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I presidenti di Stati Uniti e Russia hanno raggiunto a DaNang, in Vietnam, un accordo minimo sulla Siria che punta a scongiurare il rischio incombente di un conflitto militare regionale di vaste dimensioni fra Iran e Arabia Saudita. Genesi, formulazione e testo del comunicato congiunto Casa Bianca-Cremlino evidenziano le difficoltà del momento. Donald Trump e Vladimir Putin hanno parlato a voce due tre volte, concordando - grazie al contributo del mediatore delle Nazioni Unite, Staffan de Mistura - un documento di pochi paragrafi che prevede tre impegni assai delimitati: continuare la guerra allo Stato Islamico (Isis), evitare scontri diretti fra i partner della coalizione anti-Isis, riprendere i negoziati a Ginevra per arrivare all'intesa sulla fine del conflitto mantenendo l'integrità della Siria. Per comprendere il tipo di «scontri diretti» fra i partner della coalizione enti-Isis che Mosca e Washington vogliono evitare basta guardare a quanto sta avvenendo sul terreno siriano.
Nell'Est, a cavallo dell'Eufrate si trovano a pochi km di distanza le unità curde-siriane sostenute da Washington, reduci dalla vittoria di Raqqa, e quelle siriane-iraniane sostenute da Mosca, protagoniste della liberazione di Deir ezZhor e Bukamal. A cavallo del confine Siro-iracheno, attorno d Al-Qaim, si fronteggiano le unità americane della «Task Force Lion» guidate dal colonnello dei Marines Seth Folsom e le milizie sciite irachene - le Forze di mobilitazione popolari - agli ordini del generale iraniano Qassem Soleimani, emanazione diretta del Leader Supremo di Teheran, Ali Khamenei. Come riassume un veterano occidentale della campagna anti-Isis: «Se finora il conflitto era tutti assieme contro lo Stato Islamico, ora è diventato tutti contro tutti». La possibilità di scontri a fuoco fra le opposte milizie sostenute da Mosca e Washington è immanente e poiché entrambe le aviazioni militari operano nello stesso spazio aereo il rischio di corto circuito è nei fatti.
Ma a rendere incandescente - e reale - il rischio che tutto ciò porti ad un conflitto regionale sono le mosse dei grandi rivali regionali: Teheran e Riad, rispettivamente alleate di Mosca e Washington nonché interpreti della frattura dell'Islam fra sciiti e sunniti che risale all'eredità di Maometto. L'Arabia Saudita di re Salman è stata obiettivo di un attacco missilistico dei ribelli sciiti yemeniti sostenuti da Teheran contro il proprio aeroporto internazionale - a oltre 1100 km dal confine - ed ha parlato di «atto di guerra»: minacciando ritorsioni contro gli Hezbollah libanesi, perno strategico della coalizione militare filo-Assad in Siria, ed obbligando il premier di Beirut, Saad Hariri, alle dimissioni. Ovvero, Riad è pronta a estendere il conflitto per procura con Teheran dalla Siria al Libano per impedire che gli ayatollah riescano a realizzare la «Mezzaluna sciita» ovvero la continuità territoriale fra l'Iran e gli alleati in Iraq, Siria e Libano.
La risposta di Teheran è arrivata con l'accusa a Riad di «aver commesso il più grande degli errori alleandosi a Israele», definendo per la prima volta con chiarezza lo scenario di un possibile conflitto fra due schieramenti: il fronte sciita guidato dall'Iran e quello sunnita guidato dai sauditi in crescente convergenza strategica con Israele.
Lo Stato Ebraico in effetti teme quanto Riad una Siria nelle mani dell'Iran, ed a dimostrarlo sono le rivelazioni sulla costruzione di una base militare dei pasdaran ad Al-Kiswa, appena 13 km a Sud di Damasco. Nelle ultime settimane Israele ha fatto trapelare nomi e fotografie di alti ufficiali iraniani ed Hezbollah impegnati in Siria, avvalorando i timori sauditi sul progetto degli ayatollah di trasformare il regime di Assad in un possedimento. Se a ciò aggiungiamo che la Turchia di Erdogan punta a creare una propria enclave nella regione siriana di Idlib e minaccia l'intervento nel Rojava contro i curdi sostenuti da Washington non è difficile comprendere l'urgenza che ha spinto Trump e Putin ad inviare a tutti i contendenti in Medio Oriente un messaggio tanto essenziale quanto brusco: la guerra al Califfato jihadista ancora non è finita dunque non è il momento di iniziare altri conflitti.
L'intento è esercitare assieme una inedita formula di deterrenza e guadagnare margini per cercare di concordare a Ginevra una fine della guerra civile in Siria capace di evitare lo scontro fra sauditi ed iraniani. Ma il tempo gioca contro la vulnerabile intesa Trump-Putin. In Medio Oriente infatti le percezioni contano più dei fatti ed in questo momento l'impressione prevalente è che Teheran e Riad siano in aperta rotta di collisione.

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direttore@lastampa.it

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