Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 11/11/2017, a pag.9, con il titolo "Esercito sciita e milizie curde protagonisti del dopo Isis che allarmano Usa e Russia" l'analisi di Giordano Stabile
Giordano Stabile
La guerra all’Isis in Siria sta per finire e Usa e Russia non vogliono ritrovarsi invischiati" in un altro conflitto per procura, al fianco dei rispettivi alleati. È il paradosso della vittoria contro gli islamisti del Califfato, ormai ridotto a qualche striscia di territorio desertico a Nord-Est dell’Eufrate, su entrambi i lati della frontiera fra Siria e Iraq. Con la liberazione di Raqqa, poi la conquista di Deir ez-Zour da parte dell’esercito di Assad, infine la caduta ieri di Al-Bukamal, l’ultima cittadina in mano all’Isis, si è chiuso un ciclo durato quasi quattro anni, durante i quali i seguaci del califfo al-Baghdadi hanno governato centinaia di centri urbani grandi e piccoli. La situazione però non è tornata quella del 2014 e nemmeno quella del 2011, prima dell’inizio della rivolta contro Assad. Due forze sono emerse dalla «ristrutturazione» del Medio Oriente e sono destinate a pesare nei prossimi anni. La loro gestione, e la loro «limitazione», è al centro delle trattative fra Mosca e Washington. Il primo dato, il più impressionante, è la nascita di un esercito transnazionale sciita, libero di muoversi fra Siria e Iraq e connesso con l’Hezbollah libanese. Sono le milizie Hashd al-Shaabi create e modellate dal generale dei Pasdaran Qassem Suleimani. Milizie sciite esistevano anche prima in Iraq e Libano, e in maniera molto limitata in Siria. Ma ora sono organizzate in maniera organica, contano dai 150 ai 300 mila combattenti, hanno imparato a combattere come un esercito regolare: assalti con l’appoggio di artiglieria e aviazione, blitz delle forze speciali, guerra urbana con uso di droni e intelligence. Queste capacità preoccupano l’America e ancor più Israele. Nell’assetto del dopo-Isis, è la prima richiesta di Washington, non ci deve essere «una loro presenza permanente» in Siria, in particolare nella regione al confine con lo Stato ebraico e la Giordania. L’altra forza emersa dalla disfatta dell’Isis è quella dei guerriglieri curdi dello Ypg. Sono loro il nerbo delle Forze democratiche siriane che hanno liberato la provincia di Raqqa, quasi metà di quella di Deir ez-Zour e ora controllano circa un quarto della Siria. Finché c’era il «cuscinetto» dello Stato islamico curdi ed esercito siriano hanno rispettato un tacito accordo: «Io non ti attacco, tu non mi attacchi». Ma ora l’intesa vacilla anche perché Assad ha detto che vuol riprendersi «ogni centimetro quadrato di territorio». Ci sono le premesse per uno scontro che questa volta vedrebbe Mosca e Washington una contro l’altra. In Siria ci sono oltre 10 mila militari russi, almeno 4 mila americani, e nei cieli volano decine di aerei ogni giorno. Per questo l’intesa su cui lavorano le diplomazie prevede prima di tutto di potenziare la «war room» che ufficiali russi e Usa condividono ad Amman, in Giordania, e che serve a comunicare i rispettivi movimenti e a evitare «incidenti». È questo il primo dei tre punti in discussione, fatti trapelare da funzionari della Casa Bianca. Il secondo si incentra su una «riduzione della violenza» nelle zone dove ancora si scontrano i governativi con ribelli non-Isis. Sono in particolare la periferia Est di Damasco e la provincia di Daraa, al confine con la Giordania. Un rafforzamento delle «safe-zone» dove vige la tregua servirebbe anche a creare una «zona cuscinetto» vicino a Israele e a escludere appunto la presenza di milizie sciite. L’ultimo punto prevede «un nuovo slancio» alla missione di pace e di aiuti umanitari condotta dalle Nazioni Unite. I colloqui di Ginevra sotto egida Onu sono stati di fatto scavalcati dall’iniziativa di Astana, in Kazakhstan, dove Russia, Iran e Turchia hanno delineato i futuri assetti della Siria senza tenere conto di Usa e Ue. Ma il segretario di Stato Tillerson ha insistito ieri che è Ginevra la «sede appropriata» per il processo di pace.
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