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La Stampa Rassegna Stampa
10.11.2017 Il cattivo non c'è più
Analisi di Abraham B. Yehoshua

Testata: La Stampa
Data: 10 novembre 2017
Pagina: 26
Autore: Abraham B. Yehoshua
Titolo: «Perché nei romanzi d’oggi il cattivo non c’è più»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 10/11/2017, a pag. 1-26, con il titolo "Perché nei romanzi d’oggi il cattivo non c’è più", il commento di Abraham B. Yehoshua.

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Abraham B. Yehoshua

Da tempo mi pongo il problema, sia come scrittore, sia come lettore e come insegnante di letteratura, del rapporto tra l’arte in generale - la letteratura, il teatro e il cinema, in particolare - e ciò che chiamiamo morale, etica o valori morali. Negli ultimi anni è difficile trovare nelle recensioni di romanzi, storie, testi teatrali o addirittura film un riferimento diretto alle questioni morali sollevate dall’opera, o al giudizio morale buono o cattivo dello scrittore, o alla condotta morale del personaggi.

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Raskol'nikov uccide la vecchia usuraia in "Delitto e castigo"


Molto raramente, al giorno d’oggi, udiamo il grido di protesta o di meraviglia di un lettore per la posizione morale assunta da un personaggio o da un autore in un’opera letteraria. Ancora più raramente s’incontra un lettore o un critico tanto ardito da anteporre il giudizio morale alla valutazione estetica del lavoro. Le parole più comuni nella valutazione di un lavoro letterario sono la credibilità, la complessità, la profondità e, soprattutto, l’originalità. Solo molto raramente è possibile trovare parole come valore, morale, diritto e bene. [...]

Che cosa è successo? Perché nascono tanti dibattiti sull’etica medica, sull’etica giudiziaria, sulla moralità della guerra e così via, mentre la critica letteraria, nelle università e nei media popolari, si rifiuta di affrontate questo tema? E perché la letteratura stessa sta sfocando i conflitti morali nella trama relegandoli sullo sfondo?
Vorrei proporre cinque possibili spiegazioni.

La prima, mi pare, nasce dalla nostra più approfondita comprensione della psicologia, che scopre le fonti degli errori umani. Come recita il detto francese, tout comprendre c’est tout pardonner, capire tutto è perdonare tutto. Più è evoluta la nostra comprensione psicologica, più è difficile per noi esprimere i giudizi morali semplici e ovvi richiesti quando affrontiamo un personaggio come il Tartufo di Molière o lo Iago di Shakespeare o il Fagin di Dickens.

Camus e Dostoevskij
Fino alla fine del XIX secolo, era possibile definire un personaggio letterario come malvagio e corrotto o buono e puro. Oggi, per un romanziere moderno serio, non è così semplice presentare un personaggio importante le cui qualità buone o cattive siano un elemento della trama, che non richiede ulteriori spiegazioni. Nel nostro odierno modo di pensare non esiste una persona che sia semplicemente cattiva o buona. Può essere disturbata, ferita, privata dell’amore, può soffrire di un insieme di complessi ereditati dai genitori o generati da circostanze al di fuori del controllo del personaggio. [...]

Nel romanzo di Camus Lo straniero - un’opera di grande valore che credo abbia segnato l’inizio di una nuova era della letteratura moderna dopo la Seconda guerra mondiale - il protagonista, Mersault, spara e uccide un arabo su una spiaggia algerina senza alcun motivo. Secondo la critica «post-morale», non può essere semplicemente una persona cattiva. È «alienato» o «superficiale», non sa come va il mondo. È la modernità a essere responsabile del suo crimine. In altri casi, i romanzieri chiameranno in causa traumi infantili per comprendere la distorsione morale dell’anima. La società, le condizioni economiche, le relazioni genitore-figlio vengono addotte come concause delle azioni malvagie del personaggio.

In Delitto e castigo Dostoevskij fornisce pochi dettagli sull’infanzia di Raskolnikov, non dà rilievo al fatto che abbia perso il padre quando era ancora bambino e non elabora il rapporto con la madre e la sorella. Compie queste scelte, credo, affinché la psicologia non svii la nostra attenzione dal dilemma morale che è il fulcro del romanzo: un individuo ha diritto a realizzarsi grazie all’omicidio di una cosiddetta parassita? Un assassino di questo tipo non è più possibile in un romanzo contemporaneo.

Naturalmente non credo che le spiegazioni psicologiche eliminino tutti i dilemmi morali che si possono incontrare in un testo, ma ne smorzano la portata e ci costringono a confinare le nostre definizioni di giudizio morale alle aree coperte dalla psicologia. [...]

La legge e l’etica
Il secondo motivo per la sparizione del giudizio morale dalla critica letteraria deriva dalla crescente importanza del sistema giuridico nelle nostre vite, che gradualmente oscura il dibattito morale. Sempre più tendiamo a interpretare il mondo attraverso i parametri della legge piuttosto che dell’etica. Accade perché viviamo in società democratiche e abbiamo fede nei nostri sistemi legislativi. Siamo arrivati alla conclusione che il luogo deputato a risolvere le controversie riguardanti il bene o il male è l’aula giudiziaria, dove eloquenti avvocati talvolta riescono anche a dimostrare che un assassino non è esattamente un assassino, ma qualcos’altro.

Identifichiamo il bene con ciò che è conforme al diritto e il male con ciò che la legge ci proibisce. Se è lecito guidare a 160 chilometri l’ora, dev’essere giusto, anche se è evidente che è pericoloso per la vita umana. Le molestie sessuali sono definite per legge e questo ci esime dalla necessità di prendere una posizione personale che definisca l’atto buono o cattivo e lascia la decisione al diritto. E siccome abbiamo fiducia nel sistema giuridico, siamo ben lieti di affidare a questo, e non alla letteratura, il compito di dettarci la condotta morale.

La terza ragione è legata allo straordinario sviluppo che negli ultimi anni hanno avuto i media in tutti i loro aspetti. Media che spesso affrontano le problematiche morali in modo superficiale, ma anche con grande velocità e efficienza. La letteratura invece spesso sembra rimanere indietro nell’affrontare nuove questioni morali - per esempio riguardo alla medicina o allo status delle donne o all’omosessualità - perché i media possono rispondere immediatamente alle esigenze di correttezza politica e di sensibilità morale che richiedono una maggiore parità tra i settori della società e il riscatto dalle antiche ingiustizie. L’ampia esposizione mediatica rende quest’interpretazione della morale tanto popolare quanto immediata e per la letteratura pare non avanzi nulla, salvo nascondersi nel suo piccolo riparo di nevrosi e cercare di salvarsi l’onore svelando qualche altra sfumatura psicologica sconosciuta - o lamentare la superficialità della vita umana.
Il quarto motivo è che l’arte è giudicata per lo più in base a criteri estetici. Qualsiasi discussione di ambito morale. quindi, perde di vista quello che i critici ritengono sia il vero nocciolo del dibattito.

La quinta ragione si fonda sulla paura che ogni discussione a sfondo morale incappi nel rischio di censura o di autocensura. Non necessariamente in Paesi con governi totalitari, ma anche in Paesi che godono della libertà democratica di impegnarsi in tempestosi dibattiti ideologici sulla religione e sulla politica. Gli scrittori israeliani della mia generazione pensavano che i nostri predecessori letterari, che avevano combattuto nella guerra di indipendenza, fossero troppo ideologizzati e moralisti. Noi credevamo che i dibattiti morali tarpassero le ali alla letteratura e le impedissero di librarsi e in più inibissero il lettore, impedendogli di aprirsi a esperienze più profonde che non possono e non devono essere giudicate semplicemente in base al loro valore morale.

Il consenso dei lettori
Oltre a tutte queste ragioni, il problema più grande della critica letteraria morale è se esistano criteri oggettivi per condurre seriamente il dibattito e la ricerca. Il campo degli studi letterari sta facendo del suo meglio per adottare strumenti di ricerca chiari e definiti. Ma ciò che uno scrittore valuta come morale o immorale - o anche amorale - nel comportamento dei personaggi che ha creato non è necessariamente condiviso dai suoi lettori. È particolarmente difficile avere il consenso unanime dei lettori su un giudizio morale quando tendiamo sempre più ad accettare e a rispettare la molteplicità dei codici culturali e morali nella società umana.

Quando la critica letteraria si occupa dell’analisi della filologia o della forma e della struttura di un testo o persino dei moventi psicologici dei personaggi, si appella prima e innanzitutto alla comprensione del lettore e si basa su un consenso che deriva da una lettura condivisa del testo. Ma nel momento in cui inizia a occuparsi della valutazione morale, si trova a considerare temi soggettivi che variano da lettore a lettore. In definitiva, ogni posizione morale è personale. E poiché le variazioni e le sfumature sono ciò che ci interessa in un testo letterario, è difficile trovare un linguaggio comune tra l’analisi del testo e il giudizio morale.

Traduzione di Carla Reschia

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