Perché ci offendiamo
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli
a destra:
Tal Flicker
Cari amici,
voglio tornare sulla storia dei campionati di Judo negli emirati arabi, anche se è stata commentata benissimo qualche giorno fa da Deborah Fait (http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=115&sez=120&id=68094 ).
Come certamente avete letto, ad Abu Dhabi si è svolta la settimana scorsa la più importante competizione di judo dell’anno, in cui gli atleti israeliani sono andati benissimo, conquistando una medaglia d’oro e quattro altre medaglie (http://www.jpost.com/Israel-News/Sports/Fourth-medal-for-flagless-Israel-at-Abu-Dhabi-judo-Grand-Slam-508663 ). Ma non è stato consentito loro né di vestire la divisa con lo stemma del proprio paese come tutti gli altri, né l’alzabandiera del vessillo nazionale durante le premiazioni, né l’inno e neanche l’indicazione sul tabellone della nazione di appartenenza. Ogni cosa che dicesse che si trattava di atleti israeliani è stata accuratamente cancellata e sostituita dai simboli della federazione internazionale di judo (trovate qui le immagini piuttosto impressionanti di questa censura: http://edition.cnn.com/2017/10/27/sport/judo-abu-dhabi-grand-slam-tal-flicker-israel-national-anthem-flag/index.html ).
La Federazione aveva scritto una lettera ufficiale ad Abu Dhabi per imporre che tutte le nazioni fossero trattate alla stessa maniera, ma non ha reagito in alcun modo alla disobbedienza dell’emirato, in particolare non ha fatto quel che era suo dovere fare: annullare le gare tenute in una condizione così irregolare ed espellere gli organizzatori ribelli (http://abcnews.go.com/International/wireStory/judo-federation-chastises-abu-dhabi-israeli-treatment-50709319 ), accontentandosi della ridicola giustificazione che la discriminazione contro Israele sarebbe stata dettata da motivi di sicurezza. Vale la pena di aggiungere che Tal Flicker, il judoka vincitore che non ha avuto il diritto di sentire il suo inno ha avuto la bellissima trovata di cantarselo da sé sul podio, mostrando autocontrollo e amor di patria (https://www.timesofisrael.com/boycott-defying-judo-champ-says-he-sang-israeli-anthem-from-the-heart/ ).
Vergogna!
Un’altra aggiunta è che la squadra israeliana non è stata boicottata solo dagli organizzatori di Abu Dhabi, ma anche dalla Turchia, che pure teoricamente avrebbe raggiunto teoricamente un modus vivendi con Israele dopo la chiusura delle vertenza sulla flottiglia un anno fa (http://www.telegraph.co.uk/news/2016/06/26/israel-and-turkey-end-six-year-stand-off-with-deal-on-gaza-floti/ ) - ma anche gli emirati sono i paesi arabi teoricamente più aperti a Israele, almeno per gli affari. I turchi infatti hanno impedito all’ultimo momento il passaggio della nazionale israeliana per l’aeroporto di Istanbul, costringendoli a cercarsi all’ultimo minuto un’altra coincidenza. Va detto anche che esiste un’intera pagina di Wikipedia che elenca una quarantina di episodi di boicottaggio sportivo ai danni di Israele: https://en.wikipedia.org/wiki/Boycotts_of_Israel_in_sports .
E guardate qui gli avversari che hanno rifiutato la stretta di mano di prammatica con gli israeliani che li hanno battuti: https://twitter.com/twitter/statuses/924617723426066432
Ma sono molti di più e se n’è resa colpevole anche l’Italia, che quando ha organizzato i Giochi del Mediterraneo a Pescara nel 2009, escluse Israele per indicazione dei paesi arabi.
Perché torno su quest’episodio? Dopotutto c’è molto di peggio: il terrorismo, innanzitutto, ma anche il boicottaggio economico, i tentativi di sanzioni e processi internazionali. Dopo tutto la gara c’è stata, gli atleti israeliani hanno potuto gareggiare bene, non sono stati minacciati fisicamente… Il punto è simbolico, ma proprio per questo importantissimo. Quel che caratterizza le diverse forme di antisemitismo, quello razziale, quello religioso, quello politico, è il tentativo di estirpare l’identità ebraica, il che può avvenire sia con esplicita brutalità in forma fisica, sia in maniera apparentemente più sofisticata, distruggendone la cultura. Un bambino ebreo ad Auschwitz o in Polonia e in Russia o in Marocco o a Damasco durante i pogrom veniva ucciso. Un bambino ebreo rapito dagli agenti del papa a Bologna nel 1858 (il caso Mortara) e tante altre volte prima e talvolta anche dopo, per esempio ai danni di alcuni bambini ebrei rifugiati in case religiose cristiane mentre i loro genitori erano vittime della Shoah, sopravviveva, magari diventava anche prete, come accadde a Edgardo Mortara, ma il suo ebraismo era eliminato (e se per caso sopravviveva nel cuore delle famiglie, ci pensava l’Inquisizione a estirparlo).
L'identità che vorrebbero cancellare
Tutte le cacciate degli ebrei dagli stati dell’Europa moderna – tragedie umane oltre che economiche – furono fatte con la clausola che potevano restare a casa loro coloro che si fossero convertiti; molte volte l’alternativa era semplicemente la conversione o la morte. Lo stesso ricatto fu messo in opera durante le persecuzioni musulmane. Il senso di fondo di questi crimini è cancellare Israele, cancellare quell’identità che oggi è simboleggiata dalla stella a sei punte che gli “sportivi” di Abu Dhabi hanno proibito. E ancora oggi, quando il mondo cristiano ha ridiscusso in maniera critica la sua azione passata contro gli ebrei, quello islamico ribolle di incitamenti al genocidio e rifiuta di accettare il semplice diritto di autodeterminazione nazionale ebraica nel loro piccolo spazio storico.
L’origine del conflitto detto israelo-palestinese sta in questa fondamentale negazione; terminerà solo quando essa sarà rimossa. Per questo la cancellazione dei simboli di Israele ci offende così tanto, al di là del suo contenuto concreto: perché è la promessa (e la premessa) della continuazione del genocidio.
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