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La Stampa Rassegna Stampa
30.10.2017 Kurdistan, si dimette Barzani, arrivano gli iraniani
reportage di Giordano Stabile

Testata: La Stampa
Data: 30 ottobre 2017
Pagina: 11
Autore: Giordano Stabile
Titolo: «Kurdistan: Barzani si dimette 'resterò un peshmerga. Indipenndenza sempre più lontana»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 30/10/2017, a pag.11, con il titolo "Kurdistan: Barzani si dimette 'resterò un peshmerga. Indipenndenza sempre più lontana" l'analisi di Giordano Stabile.

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Giordano Stabile      il presidente dimissionario Barzani

Il presidente curdo lascia dal 1° novembre. Non si ricandiderà Scoppiano gli scontri a Erbil. I giovani assaltano il parlamento Il presidente curdo lascia dal 1° novembre. Non si ricandiderà Scoppiano gli scontri a Erbil. I giovani assaltano il parlamento È un triste tramonto in una Erbil oscurata dalla tempesta di sabbia. Il presidente Massoud Barzani si rivolge al Parlamento riunito in seduto d’emergenza, per formalizzare le sue dimissioni. Fuori ragazzi armati di bastoni attaccano la troupe della tv Nrt, una delle voci dell’opposizione, e minacciano alcuni deputati diretti verso l’aula, in particolare Rabun Maruf, colpevole di aver «offeso i peshmerga». Altri cercano di entrare nell’edificio presidiato dalla polizia, la temuta asaysh, spara in aria. La tensione è alta, ma la delusione è ancora più forte. Il Kurdistan è passato dall’euforia di un referendum che sembrava spalancare le porte all’indipendenza alla resa. Il suo leader resterà in politica, a capo dell’Alto consiglio, e soprattutto nelle file dei peshmerga «per difendere le conquiste del Kurdistan». Barzani però non gestirà, da capo dello Stato, la disfatta. Un mese fa, mentre si contavano i voti, il Kurdistan si estendeva su 80 mila chilometri quadrati, includeva Kirkuk e i suoi ricchi pozzi di petrolio, produceva 800 mila barili di greggio al giorno. Oggi la superficie si è ridotta a 50 mila chilometri quadrati, la produzione di petrolio a 200 mila barili, la popolazione da sette a quattro milioni. Un Kurdistan dimezzato che non ha più neanche i mezzi per chiedere l’indipendenza, figuriamoci per strapparla con la forza. L’esercito iracheno, meglio armato e addestrato, e le milizie sciite addestrate dall’Iran, si sono ripresi quasi tutto quello che volevano. Restano da cedere i posti di frontiera e poi i curdi iracheni saranno rinchiusi nel loro territorio sulle montagne. Il mandato era scaduto nel 2013 ed era stato rinnovato fino al primo novembre 2017 per «condurre la guerra contro l’Isis». Ora la minaccia islamista non c’è più, ma le milizie Hashd al-Shaabi sono alle porte di Erbil. Barzani, abbattuto dal voltafaccia del partito rivale Puk, che si è accordato con Baghdad e con l’Iran, non ha più la forza per combattere. Le funzioni della presidenza saranno assolte dal governo e dal Parlamento. «Rifiuto di continuare nella posizione di presidente - ha precisato Barzani nel suo discorso - ma continuerò a battermi per i diritti della nazione e proteggerla, resterò un peshmerga». Poi ha accusato il governo di Baghdad di «aver programmato l’offensiva su Kirkuk», che sarebbe scattata «anche senza il referendum», e puntato il dito contro gli sciiti per i loro «crimini contro la popolazione civile». Barzani ha assunto la presidenza della Regione autonoma del Kurdistan nel 2005, dopo l’approvazione della nuova costituzione irachena, post Saddam Hussein. È stato eletto nel 2009 e doveva affrontare un nuovo voto nel 2013, poi il suo mandato è stato prolungato per due volte. Figlio del leggendario Mulla Mustafa, che andò a un passo dal conquistare l’indipendenza nel 1975, Barzani non lascerà la politica. Resta la figura più influente, per lo meno nelle province di Erbil e Duhok, e membri della sua famiglia, a cominciare dal figlio Masrur, hanno tutte le leve del potere. Ma le sue dimissioni, una richiesta non esplicita del premier iracheno Haider Al-Abadi, possono spianare la strada a una soluzione pacifica del conflitto. Sempre che non esploda la rabbia di Erbil.

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