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Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli A destra: Meretz, partito di sinistra israeliano Cari amici, è possibile essere di sinistra ma sionisti o sionisti e di sinistra? Una volta questa domanda non si sarebbe neanche posta. Il sionismo, è vero, nacque con Herzl come movimento liberale e nazionale, su un terreno analogo a quello che in Italia fu il pensiero di Mazzini, come ha mostrato anche di recente un libro di Luigi Compagna (http://www.archiviostorico.info/libri-e-riviste/4650-theodor-herzl-il-mazzini-disraele). Una posizione in polemica sia con i tradizionalisti religiosi, sia con il socialismo del Bund, movimento che fu sempre antisionista e oggi viene stranamente rivalutato dagli antisionisti dopo decenni di oblio dovuti alla sua doppia sconfitta ad opera del bolscevismo e del sionismo. Herzl venne a patti un po’ con tutti e dunque lasciò spazio nel movimento sionista anche a una sinistra, che dopo la sua morte prevalse. Il movimento sionista fra gli anni Trenta e gli anni Sessanta fu socialista, sempre democratico a differenza di quello sovietico, ma spesso molto ideologico e rigido, padrone dello stato, grazie all’identità ideologica fra partito, sindacato, governo, movimento dei kibbutz, esercito, diplomazia. A questo sionismo di sinistra e in particolare a Ben Gurion che lo guidò con mano molto ferma, va il merito della fondazione dello stato.
Ma gradualmente, a partire dagli anni Settanta, il socialismo israeliano si mostrò inadeguato economicamente e portatore di un ideologismo che era sempre più estraneo all’elettorato. L’iperinflazione esplosa alla fine degli anni Settanta e la stanchezza per la burocratizzazione coincisero con l’elezione di Begin (allievo di quel “sionista revisionista” Jabotinsky che Ben Gurion non volle neppure lasciare seppellire in Israele). Negli ultimi quarant’anni la sinistra ha governato per meno di sette, che le bastarono però per mettere a segno il tragico errore degli accordi di Oslo. E però ha continuato a sentire come abusiva l’egemonia della destra: alle ultime elezioni un suo slogan fu “riprendiamoci il nostro stato”. E del resto lo “stato profondo” dell’esercito, della diplomazia e dei servizi è ancora profondamente influenzato da una continuità con la vecchia ideologia laburista, non tanto dal suo utopismo socialista, quanto da quello pacifista, dall’illusione cioè che solo con l’accordo con l’Autorità Palestinese si possa gestire lo spazio geopolitico israeliano e che dunque sia necessario accettare uno stato palestinese e rinunciare agli insediamenti al di là della linea verde. Questa continuità ha indotto la sinistra israeliana, almeno quella maggioritaria e composita (diciamo come il nostro Partito Democratico) a rivendicare il proprio carattere sionista, sia con l’etichetta di “campo sionista” applicata, non senza contrasti, alle proprie liste elettorali, sia con dichiarazioni, come le ultime del suo nuovo leader Gabbai, che ha dichiarato di non voler fare un governo con la lista antisraeliana dei movimenti islamisti e di non volere il ritiro dagli insediamenti in Giudea e Samaria (https://www.alaraby.co.uk/english/news/2017/10/18/settlement-withdrawal-unnecessary-says-key-israeli-opposition-leader). Ma parti importanti della sinistra israeliana non la pensano così, dentro il suo partito e anche fuori. Non solo questa prospettiva è rifiutata dalle Ong filopalestiniste finanziate dai governi europei, come Peace Now, o da giornali di estrema sinistra come Haaretz, ma anche all’interno del suo partito sono emersi forti dissensi. Non a caso i commentatori, che approvassero o condannassero questa mossa l’hanno giudicata come un tentativo di posizionare il partito laburista, non più a sinistra bensì al centro, magari facendo concorrenza a Netanyahu sul terreno nazionale, un po’ come ha provato più volte a fare Lapid. Il che dimostra che non è possibile oggi anche in Israele essere considerati di sinistra senza appoggiare la formazione di uno stato palestinese judenrein esteso fino alla linea verde con piccoli aggiustamenti, con la conseguenza di sradicare un cinque o dieci per cento della popolazione ebraica e di lasciare i terroristi liberi di agire a qualche centinaio da Gerusalemme (o addirittura dentro di essa) e a qualche chilometro, cioè a portata di tiro delle armi leggere da Tel Aviv, l’aeroporto, e tutta la cintura industriale. Sono le posizioni ufficialmente dichiarate dall’Autorità Palestinese e sostenute da Obama, dall’Unione Europea ecc. Sono posizione sioniste queste? Se il sionismo significa difendere l’esistenza e la sicurezza di uno stato ebraico, c’è da dubitarne. C’è chi si dice sionista anche appoggiando queste posizioni, ma a me pare chiaro che si tratta di un trucco di linguaggio, come quando i comunisti dicevano di essere favorevoli alle “democrazie popolari” monopartitiche e non a quelle “borghesi” o “formali” in cui stranamente le elezioni non sono decise da prima e i giudici dipendono dal partito. E infatti la sinistra onesta la ammette. E’ di ieri la notizia che Meretz, l’altro partito socialista che discende dai nobili lombi del Mapam il vecchio partito di sinistra e che molte volte si è presentato nella stessa lista elettorale dei laburisti, ha deciso da tempo di eliminare silenziosamente la parola “sionismo” dalla sua piattaforma, e ora lo ammette pubblicamente perché, come ha scritto la leader Zehava Galon, “Meretz è un partito israeliano, ha membri israeliani e arabi e se il popolo ebraico ha diritto all’autodeterminazione, anche il popolo arabo ha lo stesso diritto” (http://www.israelnationalnews.com/News/News.aspx/237298), il che significa che il partito è neutrale rispetto al progetto politico di uno stato ebraico (autodeterminazione degli ebrei) e della sua distruzione in favore di uno stato “palestinese” (autodeterminazione araba). Non a caso si tratta sostanzialmente di un ragionamento molto simile a quello che ha fatto la più sovversiva dei deputati della lista unitaria araba, Hanin Zoabi, quando ha dichiarato poche settimane fa che gli ebrei non hanno diritto a un’autodeterminazione, dato che non sono un popolo ma una religione ma ce l’hanno invece gli israeliani, e dunque non dev’esserci uno stato ebraico, ma uno stato laico e magari comunista, dato che Zoabi appartiene alla fazione comunista della lista araba. (http://www.israelnationalnews.com/News/News.aspx/236655). Insomma, forse si può essere sionisti di sinistra moderata, con qualche contraddizione. Ma sionisti di sinistra-sinistra, proprio no, neanche in Israele. Per la contraddizion che nol consente.
http://www.informazionecorretta.it/main.php?sez=90 |
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