Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 29/10/2017, a pag.20 il commento di Massimo Firpo dal titolo "La purezza della fede in un mondo corrotto".
Massimo Firpo scrive un elogio di Lutero, ma dimentica di citare le posizioni violentemente antisemite del padre della Riforma protestante. "Degli ebrei e delle loro menzogne", un infamante libello scritto da Lutero, è uno dei testi di base dell'antisemitismo in Europa: non a caso ad esso e al suo autore Adolf Hitler guardava con ammirazione. Le idee di Lutero furono interamente copiate dai nazisti: "Distruggete tutti i loro libri, bruciate le loro sinagoghe!": questo un florilegio delle idee di Lutero in Germania. Ci sembra molto grave che l'analisi di un autore che gode fama di essere storico abbia dimenticato tutto questo. L'antisemitismo della Chiesa cattolica quasi scompare di fronte all'antisemitismo di Martin Lutero.
Ecco l'articolo:
Massimo Firpo
Non è storicamente accertato che Lutero, alla vigilia di Ognissanti del 1517, abbia affisso alla porta della chiesa del castello di Wittenberg le celebri tesi con cui condannava la vendita delle indulgenze.
Un testo in latino con cui sollecitava una discussione tra dotti teologi sui gravi errori impliciti nel credere che con un esborso in denaro si potesse cancellare non solo la pena, ma anche la colpa dei peccati, comprare quindi il perdono divino e addirittura far uscire dal purgatorio le anime dei propri cari. Una dottrina (e ancor più una prassi) aberrante, che trasformava la fede cristiana in un mercimonio e contrastava radicalmente con gli esiti cui era giunta la profonda crisi religiosa che aveva tormentato Lutero negli anni precedenti in cui, lungi dal placare le sue inquietudini religiose, l’ascesi monastica le aveva portate al parossismo.
Per quanto si sforzasse di essere un buon frate, infatti, il timore di dover essere infine giudicato dalla giustizia di Dio lo lasciava sgomento, nella consapevolezza che nulla di ciò che avrebbe potuto fare lo avrebbe reso degno di essere assolto da quella giustizia. Fu l’assidua meditazione delle lettere paoline che gli fece infine capire che la giustizia di cui parla la Bibbia non è quella con cui Dio onnipotente giudica gli uomini, contaminati dal peccato originale e quindi irrimediabilmente peccatori, ma quella che gratuitamente egli dona, «imputa» loro, purché abbiano fede nell’esclusivo valore salvifico del sacrificio della croce, credano cioè che solo la fede nella redenzione di Cristo possa renderli giusti agli occhi dell’Onnipotente.
Sola fides, soltanto la fede può salvare, non le opere, non i presunti e risibili meriti degli uomini, che non possono esistere davanti a Dio. Si comprende come la pratica delle indulgenze gli apparisse non solo scandalosa, ma anche tale da insinuare errori gravissimi tra i fedeli. Di qui la sua clamorosa protesta, che non sarebbe diventata una rivoluzione se i progressi della stampa non avessero consentito di diffondere in tutta la Germania migliaia di copie di quelle tesi incendiarie, subito tradotte in tedesco.
Un successo impressionante, che rivela il discredito in cui la Chiesa romana era sprofondata con le pratiche simoniache della curia e gli infiniti abusi, l’abissale ignoranza, l’endemica corruzione del clero e l’assenteismo pastorale di vescovi e parroci. La difesa di quelle tesi, e più in generale dei presupposti teologici su cui si basavano avrebbero condotto Lutero ad approfondire la sua riflessione teologica e a rendere sempre più netta la sua frattura con il papato, in cui finì con l’identificare e denunciare l’Anticristo.
Nel 1520 la pubblicazione dei testi più celebri di Lutero, La libertà del cristiano, La cattività babilonese della Chiesa e Alla nobiltà cristiana di nazione tedesca, ebbe come conseguenza la sua condanna con la bolla Exsurge Domine, che egli diede alle fiamme sulla piazza di Wittenberg insieme con il codice di diritto canonico. L’anno dopo, convocato alla dieta di Worms, si rifiutò di ritrattare le sue dottrine, pronunciando al cospetto di Carlo V imperatore le celebri parole: «Qui sto io. Non posso fare diversamente». Messo al bando e scomunicato, dovette sparire dalla circolazione, nascosto dall’elettore di Sassonia in un castello, dove avviò la sua traduzione della Bibbia. Sarebbe morto nel 1546, a sessantaquattro anni, dopo aver scritto centinaia di lettere, opuscoli, trattati per difendere la sua dottrina e costruire una nuova Chiesa, dandone il merito solo alla parola di Dio cui egli si era limitato a dare voce: «Dio ha fatto tutto questo, mentre io bevevo la birra a Wittenberg», affermerà poco prima di morire.
Insieme con lui e dopo di lui sarebbero venuti altri riformatori, Zwingli a Zurigo e Calvino a Ginevra, gli anabattisti, le sette radicali di vario orientamento, gli antitrinitari, i sociniani, i puritani, i quaccheri, i metodisti ecc. Lutero aveva pensato di annunciare la vera fede basata solo sull’autentica parola di Dio (sola Scriptura), ma il fronte protestante non tardò a dividersi e disgregarsi. Fu lui a rompere per primo la millenaria unità della christianitas medievale e a dar vita a un cristianesimo plurale. La stessa Chiesa romana, sia pure con grande ritardo, avrebbe tratto nuove energie proprio dalla reazione contro la Riforma. Ne sarebbe scaturito un «secolo di ferro» di dispute, di crudeli lotte intestine, di guerre sanguinose, di atroci persecuzioni, incapaci tuttavia di debellare quella pluralità di sette e confessioni. Sia pure molto faticosamente, la tolleranza avrebbe finito con l’imporsi, e ciò proprio grazie alla solitaria e coraggiosa protesta di Lutero che mai avrebbe voluto l’affermazione di quel cristianesimo plurale, diventato infine pluralista.
Ennesima conferma, se mai ce ne fosse bisogno, di quell’eterogenesi dei fini che sembra talora configurarsi come una legge inesorabile della storia.
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