Riprendiamo da LIBERO di oggi, 27/10/2017, a pag. 26, con il titolo "La vera storia degli ebrei che sconfissero Hitler", la recensione di Beppe Braga.
La copertina (Newton Compton ed.)
Troppo fuori mano per essere riciclato in qualche funzione militare, oggi Fort Ritchie, un campo di addestramento costruito nel 1926 ai piedi delle pittoresche montagne del Maryland e dismesso definitivamente vent'anni fa, ha trecento abitanti e aiuole fiorite, 98 baracche ristrutturate in appartamenti in affitto, e si mantiene ospitando feste di matrimonio e altri eventi insignificanti. Negli ultimi settant'anni nessuno si è interessato della sua storia, e se non fosse stato per il giornalista e scrittore californiano Bruce Henderson, non sapremmo niente di una delle più straordinarie vicende umane della Seconda guerra mondiale. Fort Ritchie, racconta Henderson nel docu-romanzo Fratelli e Soldati (Newton Compton, 383 pagine, 10 euro) è stato la culla, dal 1942 a fine conflitto, di uno dei più determinati, fantasiosi e efficaci gruppi di soldati americani destinati a combattere in Europa: poco meno di duemila ebrei tedeschi, fuggiti oltreoceano dalla Germania nazista da metà anni Trenta, spesso in maniera rocambolesca, per lo più lasciando le famiglie in patria, e già arruolati nell'esercito Usa, che per otto settimane (31 corsi in tre anni) furono addestrati come corpo speciale agli ordini dell'intelligence. Vennero sparpagliati nei battaglioni destinati alla prima linea, mischiati agli altri soldati nelle operazioni più sanguinose e decisive della guerra di liberazione, paracadutati sulla Francia durante lo sbarco in Normandia, nel mezzo della battaglia delle Ardenne e su tutti i fronti di sfondamento, fino a un traumatico ingresso nei lager tedeschi (nel libro è descritta la drammatica scoperta del "campo di collegamento" di Wobbelin). La loro storia fa pensare subito alla trama del film Bastardi senza gloria di Quentin Tarantino.
La locandina del film di Quentin Tarantino
Il compito di questo gruppo era di raccogliere informazioni tattiche sulle forze tedesche, sui movimenti delle troppe, sulle postazioni difensive e sul morale del nemico, correndo ogni volta rischi mortali: anche se molti di essi ricevettero documenti che omettevano la loro origine ebraica (alcuni, per orgoglio, si rifiutarono), se fossero caduti in mano nemica certamente sarebbero stati passati per le anni. Ma, soprattutto, erano dei veri specialisti nello spremere i prigionieri. I Ritchie boys, così vennero chiamati, erano di madrelingua tedesca, motivati come nessun altro americano avrebbe potuto essere, animati da patriottismo e desiderio di vendetta, e più intelligenti che sanguinari. Ma non fu un'operazione semplice, a partire dagli umori nella loro patria adottiva: in un clima di caccia alle streghe, che aveva colpito anche più aspramente i giapponesi, nel dicembre 1941 i tedeschi residenti negli Usa erano stati dichiarati «stranieri nemici», non importava che fossero giovani gagliardi ormai integrati negli Stati Uniti, guidati dall'educazione ricevuta nel Vecchio mondo all'orgoglio e all'etica del lavoro. Guardati con sospetto anche quando il Congresso consentì loro di prestare servizio militare, ci volle quasi un anno perché Roosevelt e il Pentagono capissero quale formidabile risorsa fossero.
Così, poco dopo il loro arrivo al forte, nel Maryland si diffuse la voce che i nazisti avevano invaso l'America, quando due operai si intrufolarono ai confini del campo top secret e videro un plotone marciare obbedendo a comandi impartiti in tedesco: «Licht, zwei, drei!»... Secondo un rapporto rimasto riservato fino a pochi anni fa, il 60 per cento delle informazioni attendibili sul nemico furono ottenute dai Ritchie boys. I quali, per raggiungere lo scopo, non ebbero scrupolo di utilizzare ogni sorta di trucco. Ecco due episodi. Guy Stern era a capo di una squadra di boys. Aveva capito che i tedeschi temevano di più di finire nelle mani dei russi - e di essere spediti in un gulag, di cui si dicevano terribili cose - che in quelle degli americani. Così, per interrogare alcuni ufficiali nazisti particolarmente reticenti, Stern fece allestire una tenda "alla russa", prendendo a prestito le divise di alcuni soldati sovietici appena sfuggiti alla Wehrmacht e spille, insegne, gradi e altri trofei di guerra con falce e martello recuperati via via dalle tasche dei tedeschi imprigionati. I boys inventarono quindi il personaggio del Commissario Krukov Ufficiale di Collegamento, ispirandosi al "russo matto" di uno show radiofonico americano, che Guy ascoltava ogni sera a casa dei suoi zii a St. Louis, e inscenarono violentissimi siparietti in cui il russo matto perdeva sistematicamente il controllo. Minacciati di essere mandati al cospetto di Krukov, i prigionieri, terrorizzati, dissero tutto.
In un'altra occasione, il Ritchie boy Stephan Levy aveva a che fare con un ufficiale delle SS che rifiutava di dire altro tranne il suo nome e il suo grado. Esausto, Levy prese una pala e ordinò al prigioniero di seguirlo all'esterno della tenda. Gettò la pala al suolo, gli puntò in faccia la sua colt 45 e gli ordinò: «Ein Loch graben», fai una buca. Poi la volle più larga e profonda, infine ordinò al tedesco di sdraiarvisi dentro per controllarne le misure. Infine Levy lo fece uscire, lasciò che si ripulisse, gli porse due asticelle di legno e gli disse di scrivere il suo nome e il suo grado su una delle due, per la croce da mettere sulla sua tomba. Il tedesco crollò. In seguito, Stephan confessò di essersi pentito: maltrattare un prigioniero era un reato da corte marziale, ma soprattutto perché aveva consentito alla sua rabbia di prendere il sopravvento. La fantasia con cui i Ritchie boys costruirono il loro successo bellico rischiò anche di combinare pasticci: un giorno, in calce al suo rapporto quotidiano, il Ritchie boy Fred Howard si inventò di aver catturato tale caporale Joachimstatler, attendente responsabile della latrina di Hitler, il quale aveva confessato di aver avuto modo di osservare che «il Fuhrer ha lo scroto avvizzito».
Tutti sapevano che si trattava di una burla, e perfino da vari quartier generali arrivarono divertite chiamate di approvazione. Ma la faccenda arrivò a Washington, e lì non capirono: così, gli alti ufficiali del comando europeo dovettero faticare per evitare che un «esperto di Hitler» venisse prontamente inviato loro dagli Stati Uniti. In quanto membri dell'intelligence militare, i Ritchie boys mantennero il riserbo sulle loro imprese anche dopo la fine del conflitto, e furono sempre poco inclini anche a riunirsi fra loro. Il silenzio e il pregiudizio, quindi, li ha accompagnati comunque, almeno fino alla pubblicazione di questo libro. E’ una storia bellissima e importante che tutti faremmo bene a leggere, inclusi i numeri uno dell'Unesco, benemeriti devoti alla tutela dei valori umani che però hanno in grande antipatia Israele: di recente hanno promulgato una risoluzione in cui si nega perfino il legame storico e religioso dei discendenti di re Salomone con Gerusalemme.
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