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La Stampa Rassegna Stampa
26.10.2017 Calcio e antisemitismo: le frasi ignobili di claudio Lotito, e la corona finisce nel Tevere
Cronache di Grazia Longo, Flavia Amabile, Ariela Piattelli intervista Lizzie Doron

Testata: La Stampa
Data: 26 ottobre 2017
Pagina: 10
Autore: Grazia Longo - Flavia Amabile - Ariela Piattelli
Titolo: «Cori ultrà contro Anna Frank. E un audio imbarazza Lotito - La corona omaggio finisce nel Tevere: 'È il suo posto, la mangino i pesci' - 'Quando una società è in crisi torna l'odio contro l'ebreo. Lo vediamo in Europa e Usa'»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 26/10/2017, a pag. 10 con il titolo "Cori ultrà contro Anna Frank. E un audio imbarazza Lotito", la cronaca di Grazia Longo; a pag. 12, con il titolo "La corona omaggio finisce nel Tevere: 'È il suo posto, la mangino i pesci' ", la cronaca di Flavia Amabile; con il titolo "Quando una società è in crisi torna l'odio contro l'ebreo. Lo vediamo in Europa e Usa", l'intervista di Ariela Piattelli a Lizzie Doron.

Ecco gli articoli:

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La corona di fiori di Claudio Lotito nel Tevere

Grazia Longo: "Cori ultrà contro Anna Frank. E un audio imbarazza Lotito"

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Grazia Longo

Altro che omaggio alla memoria della Shoah. Non paghi degli adesivi antisemiti di domenica scorsa con Anna Frank che indossa la maglia della Roma, ieri sera alcuni ultrà laziali hanno intonato cori fascisti con tanto di saluti romani. Ospiti dello stadio Dall’Ara di Bologna - nella curva intitolata all’ex allenatore del Bologna, Arpad Weisz, scomparso ad Auschwitz - hanno cantato strofe della «Società dei magnaccioni» e il brano fascista «Me ne frego». Nella curva Sud dell’Olimpico gli ultrà della Roma hanno coperto invece la lettura del libro di Anna Frank con cori per la squadra. Fischi a Firenze, mentre a Torino alcuni ultrà juventini hanno cantato l’inno di Mameli.

Non si spegne intanto la polemica per l’audio di Claudio Lotito con quel «Famo ’sta sceneggiata» - come divulgato dal Messaggero - riferito alla visita alla Sinagoga che si apprestava a fare per depositare una corona di fiori. Il patron dei biancocelesti giura di non aver mai pronunciato quelle parole. Ma un audio pubblicato dal Messaggero mentre telefona dal check in dell’aeroporto prima di prendere il volo da Milano a Roma lo imbarazza: Lotito domanda se il vice rabbino o il rabbino saranno presenti in Sinagoga. «Solo il rabbino c’è?», chiede al suo interlocutore che probabilmente gli risponde che il rabbino è a New York. «Il rabbino e il vice rabbino a New York? Non valgono un c... questi», incalza Lotito. E conclude: «Capito come stamo... Famo ’sta sceneggiata, te ne rendi conto». In sua difesa si schiera il parlamentare Pd Dario Ginefra, suo vicino di posto sull’aereo: «Lotito all’atterraggio a Roma cercava disperatamente un contatto attraverso i suoi con il rabbino di Roma. Ma la frase “facciamo questa sceneggiata”, io non l’ho sentita».
Al momento intanto sono 16, tra cui un 13enne e un 17enne, gli Irriducibili ultrà laziali identificati dalla Digos per gli adesivi antisemiti. Rischiano un Daspo fino a 8 anni e una denuncia per istigazione all’odio razziale che può costare fino a 3 anni di carcere.

Il ministro allo Sport Luca Lotti ha scritto una lettera alla sua omologa israeliana Miri Regev per esprimere «condanna e impegno perché nessun rigurgito antisemita macchi ancora lo sport italiano. Si tratta di un fatto gravissimo che non ha giustificazioni». E il capo della polizia Franco Gabrielli rincara la dose: «In questa vicenda c’è un uso vomitevole dell’immagine di Anna Frank. Non si possono irridere certe tragedie, un conto è l’ironia, un’altra le cose serie». A margine della presentazione del calendario dei funzionari di polizia per gli orfani del terremoto di un anno fa Gabrielli insiste: «La Shoah utilizzata anche lontanamente come oggetto di scherno mi provoca un dolore fisico». Bagarre, invece, per il tweet del consigliere regionale M5S Davide Barillari secondo cui «mentre ci distraggono con Anna Frank, in Senato oggi votano la porcata antidemocratica Rosatellum». Il governatore Zingaretti ha sollecitato le scuse. Arrivate sì, ma con la giustificazione: «Criticavo i media e non Anna Frank».

Flavia Amabile: "La corona omaggio finisce nel Tevere: 'È il suo posto, la mangino i pesci' "

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Alcuni calciatori in allenamento con la maglietta con il volto di Anna Frank

«Ai nostri morti portiamo i sassi, non i fiori. Quella corona per noi non aveva alcun significato. Il Tevere è il suo posto, almeno la mangiano i pesci, noi non amiamo gli sprechi». Non c’è rimorso né voglia di cambiare discorso tra gli ebrei romani: la corona di fiori deposta dal presidente della Lazio, Claudio Lotito, due giorni fa di fronte alla Sinagoga è stata gettata nel fiume, e non era un caso. È quella che, in modo informale, la stessa Comunità di Roma definisce «una doverosa pulizia» come «reazione alle parole indegne pronunciate».

A occuparsi della «pulizia» sarebbe stato, infatti, un gruppo di giovani della Comunità dopo la pubblicazione da parte del quotidiano «Il Messaggero» di una frase pronunciata da Lotito mentre sta andando alla cerimonia di deposizione dei fiori «Famo ’sta sceneggiata», dice.

Un’offesa che si aggiunge a quella delle figurine antisemite con il volto di Anna Frank . «Giravano da mesi, quelle figurine, domenica la questione è scoppiata ma noi l’avevamo già vista e abbiamo fatto finta di nulla», spiega Marco, uno degli ultimi eredi di una famiglia di commercianti ebrei del Ghetto. Perché non avete detto nulla? «Siamo stanchi, non ci piace alimentare un clima che di anno in anno peggiora. Ho moglie e due figli, non voglio ritrovarmi con le vetrine spaccate dai tifosi. Sono orgoglioso delle mie origini e della mia famiglia ma voglio vivere e lavorare in pace. Da qualche tempo inizio ad avere paura e a capire quello che hanno vissuto i nostri nonni».

Marco, infatti, chiede di non pubblicare il suo cognome. Lo stesso fa Giovanni, cinquantenne, storico commerciante ebreo di via dei Giubbonari: «Chiunque sia stato ha fatto bene a buttare nel Tevere la corona di Lotito. Noi siamo a Roma da duemila anni, gli altri non so dove fossero. Noi siamo la storia e le radici di questa città, offendere noi vuol dire offendere gli ultimi veri romani».

Ma chi conosce il mondo degli ebrei di Roma sa anche che per loro lanciare qualcosa nel Tevere è qualcosa di più che nutrire alcuni dei pesci più grassi che si siano mai visti in giro. Non a caso la Comunità usa la parola «pulizia» per definire un gesto che si usa per lavare le offese subite. Nel Tevere finì Donato Carretta, ex direttore di Regina Coeli, per il suo ruolo nell’eccidio delle Fosse Ardeatine.

Ieri mattina, quindi, la nuova offesa è stata lavata ma senza dubbio ci troviamo di fronte a uno scontro sempre più evidente. Una parte degli ebrei di Roma ora teme la risposta dei laziali, prova a immaginare quali simboli potrebbero colpire, le loro tombe, i luoghi della memoria, le pietre d’inciampo o le persone che si espongono. Nessuno infatti vuole parlare in prima persona, ma le autorità sanno che non si deve lasciar correre. Due giorni fa il rabbino capo Riccardo Di Segni aveva chiarito: «La Comunità non è una lavatrice, né un luogo dove si presenta un omaggio floreale e si risolve tutto». Ieri la presidente della Comunità Ruth Dureghello aggiunge: «Un rappresentante di una società di calcio che si esprime nel modo in cui abbiamo sentito esprimersi alcuni di loro in questi giorni, e non voglio personalizzare, mi fa inorridire».

L’offesa delle figurine di Anna Frank, infatti, è solo l’ultima puntata di una storia difficile, quella tra gli ebrei romani e la tifoseria laziale. C’è stata la scritta «Auschwitz la vostra patria, i forni la vostra casa...» Oppure sei anni fa, il giorno l’anniversario della deportazione degli ebrei della capitale, allo stadio fu intonato il coro «giallorossi ebrei», un canto ripetuto in molte altre partite. La Comunità ebraica protestò, denunciò. Senza alcun risultato. All’inizio di quest’anno una sentenza ha assolto i responsabili da ogni accusa. «Un precedente allarmante per la giustizia di questo Paese che legittima l’utilizzo dell’aggettivo ebreo in forma dispregiativa e razzista e comunque come strumento di derisione durante gli eventi sportivi», avverte la presidente. Gli insulti infatti sono andati avanti.

Ieri sera, però, la Lazio giocava a Bologna. I calciatori sono scesi in campo durante il riscaldamento con una maglietta con la scritta «No all’antisemitismo» e la foto di Anna Frank. E con la speranza di restituire al calcio il suo ruolo di gioco e non di serbatoio di violenze. Ma i pochi sostenitori al seguito entrano allo stadio cantando «Me ne frego...», il canto fascista.
 
Ariela Piattelli: 'Quando una società è in crisi torna l'odio contro l'ebreo. Lo vediamo in Europa e Usa'
 
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Ariela Piattelli
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Lizzie Doron
«Ho visto, non deve raccontarmi nulla. Forse le sembrerà strano, ma quello che è successo in Italia è arrivato immediatamente anche qui in Israele». La scrittrice israeliana Lizzie Doron, figlia di una sopravvissuta alla Shoah, ha letto della vergognosa vicenda degli adesivi raffiguranti Anna Frank con la maglia della Roma nella sua casa di Tel Aviv. Lei ha iniziato a raccontare la sua storia per necessità, quando a scuola la figlia dovette fare una ricerca sulle proprie radici familiari. Nacque «Perché non sei venuta prima della guerra», prima di una grande serie di opere dedicate alla Shoah. «Qui hanno dato la notizia senza aggiungere dettagli, commenti o approfondimenti. Anna Frank è per tutti noi un simbolo. In Israele non abbiamo bisogno di commentare questi eventi, toccano le nostre memorie vive sulla Shoah. Ne abbiamo così rispetto che sono ancora un tabù».

Come spiega ciò che è accaduto allo Stadio Olimpico di Roma?
«Mi piacerebbe pensare che la causa che può spingere delle persone a un gesto del genere sia solo l’ignoranza e la stupidità. Ma non può essere solo questo e, sarò sincera, non ho spiegazioni. Però sono certa che non sia un gesto circoscritto, fine a se stesso, ma un sintomo di qualcosa di più ampio. Esso rappresenta il momento della legittimazione dell’odio. Non va visto come una bravata, è “solo” una celebrazione di odio. Quando una società è in crisi si ritirano fuori le memorie del passato, in questo caso l’odio contro l’ebreo. Lo abbiamo visto negli Usa e in Europa».

Ma come è possibile vedere in Anna Frank un veicolo di odio?
«Anna Frank non è solo un simbolo ebraico, ma lo è per tutta l’umanità: una bambina a cui è stata strappata prima l’infanzia e poi la vita, che voleva un’esistenza normale e che a suo modo ha combattuto sino all’ultimo per averla. E non era neanche un simbolo contro qualcuno. Guardatela. Come fa a suscitare odio? È molto interessante che sia diventata un’icona per chi odia. Lei è una figura così spirituale, una bambina, che non ha nulla a che fare con l’immagine della forza o della minaccia. È innocenza pura, anche a livello iconografico. Vorrei veramente incontrare gli autori di questo gesto».

Cosa direbbe loro?
«Sembra assurdo, ma mi viene da dire che oltre a un gesto orrendo è anche una stupida scelta! Se guardi il viso di questa bambina non è possibile odiarla. Gli chiederei, veramente per comprendere, il senso del loro gesto. Racconterei loro la mia storia personale, di persona cresciuta senza una famiglia a causa della Shoah. Da una storia così triste si potrebbe trarre qualcosa di buono».

Capita spesso che il seme dell’antisemitismo e del razzismo si annidi nel calcio. Perché?
«Guardi, penso che il campo di calcio sia una sorta di laboratorio scientifico, di competizione non sempre sana e positiva. Spesso è anche territorio di brutalità, in cui le persone hanno bisogno di un nemico. E questa visione spesso si riflette sugli spalti».

Claudio Lotito è andato a deporre una corona davanti alla Sinagoga. Un gesto efficace?
«Ho sentito la ferma condanna del mondo dello sport e della politica, e della corona di Lotito. Bei gesti, ma fine a se stessi e inutili. Non ho soluzioni, e non sono ottimista, è difficile cambiare. Ciò che si dovrebbe fare con questo tipo di odiatori è fare nascere in loro una forma di empatia ed educarli: io li manderei ad aiutare le persone sole, magari i nuovi immigrati e i loro bambini. Credo nelle relazioni umane, e credo che solo attraverso di esse si possa cambiare».
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