Kurdistan: le conclusioni pragmatiche da trarre
Commento di Mordechai Kedar
(Traduzione dall’ebraico di Rochel Sylvetsky, versione italiana di Yeuhudit Weisz)
Masoud Barzani
Quello che è accaduto ai sogni d’indipendenza dei curdi è un segnale di avvertimento di ciò che potrebbe succedere a Israele se si affidasse al mondo.
Condividere Il popolo curdo ha un diritto inalienabile alla propria patria nazionale, proprio come gli altri popoli. I curdi sono la più grande entità etnica del mondo, conta circa 30 milioni di persone ma non ha uno proprio Stato. Più di tre anni fa, ho scritto che il mondo è obbligato a tenerne conto e che la giustizia storica sia riconosciuta ai curdi, sostenendo il loro sogno di essere una nazione libera sulla propria terra. Il mese scorso, tra i curdi iracheni, si è tenuto un referendum sull’opportunità di dichiarare o no l'indipendenza, mentre sullo sfondo si avvertivano minacce provenienti dalla Turchia, dall'Iran, dal governo iracheno e persino da Bashar Assad. Anche altri Paesi del mondo, tra cui gli USA e l'Europa, ammonivano i curdi - e soprattutto il loro leader, Masoud Barzani - a non tentare una dichiarazione di indipendenza unilaterale. Gli Stati vicini temono un effetto valanga sulle altre loro minoranze, compresi i loro curdi, mentre i paesi più lontani temono un'altra guerra nelle regioni ricche di petrolio, come l'Iraq settentrionale, che potrebbe portare a un conflitto molto più ampio. Il referendum ha dimostrato che una grande maggioranza, oltre il 90% dei votanti, sostiene l'indipendenza. Ciò ha portato Masoud Barzani, capo della regione curda, ad acquisire la capacità di esercitare una forte leva contro il governo iracheno, che si era naturalmente preoccupato dei risultati, dopo aver fatto quanto poteva per convincere Barzani a non dichiarare l'indipendenza.
I due temi principali del rapporto tra Barzani e il regime iracheno erano:
1. Delineare i confini della regione curda e definire se i campi petroliferi e la vicina città di Kirkuk siano all'interno di tali frontiere.
2. Cosa succede al petrolio nei territori della regione curda? E i profitti appartengono agli iracheni o ai curdi?
Ma Barzani non è l'unico leader curdo. Jalal Talabani, suo rivale, non ha sostenuto le speranze dell'indipendenza curda enunciata da Barzani, ritenendo che i curdi dovessero rimanere nel quadro nazionale della sovranità irachena. Era stato un tempo Presidente dell’Iraq - un semplice incarico formale – tra il 2005 ed il 2014- ed è morto in Germania due settimane fa, il 3 ottobre 2017. Da buon pragmatico, aveva basato il suo parere sul concetto realistico che una dichiarazione di indipendenza avrebbe avuto un grave effetto negativo sui curdi, perché tutti i Paesi circostanti avrebbero fatto del loro meglio per assicurarne il fallimento, senza tralasciare l'idea di costringere alla fame i curdi, mettendo la loro regione sotto assedio. La disputa tra Barzani e Talabani non è sorta ieri. In realtà, le due famiglie sono in disaccordo da decenni; nella seconda metà del ventesimo secolo vi erano state vere e proprie battaglie tra le due fazioni, con morti e feriti. Il regime iracheno lo sapeva bene e ne approfittò favorendo la formazione di due coalizioni, l’una in lotta contro l'altra. La faziosità ha impedito la formazione di una posizione curda unitaria, e gli Stati confinanti - Turchia, Iran e Siria – hanno saputo sfruttare questa situazione.
Questa settimana, la controversia ha spinto l'esercito iracheno, sostenuto dalle milizie sciite, a spostarsi verso Kirkuk e i soldati curdi Peshmerga hanno lasciato la città senza combattere. In soli due giorni gli iracheni hanno conquistato la città e il suo campo petrolifero adiacente senza ricorrere alla violenza, neutralizzando una parte importante della leva finanziaria che Masoud Barzani sperava di utilizzare durante le trattative con il governo iracheno. Sembra che le forze Peshmerga non siano unite e riflettano la controversia interna in corso tra le due fazioni curde. Alcuni ubbidiscono a Barzani, altri agiscono sotto l'influenza di Talabani. Le forze che custodivano Kirkuk erano sotto l'influenza di Talabani e hanno rinunciato alla lotta contro l'attacco dell'esercito iracheno, contro gli ordini di Barzani. La guerra interna tra i curdi li allontana dal loro sogno d’indipendenza, un sogno il cui avverarsi sarà sempre più difficile se non raggiungeranno un accordo.
La tragedia che ha colpito i curdi è ancora più grande perché i loro combattenti, che fanno parte della coalizione guidata dagli Stati Uniti, rappresentavano la forza più importante che combatteva l'ISIS. Sono stati forniti loro armamenti, munizioni, finanziamenti e formazione da parte dei loro partner della coalizione, ma sono loro e non gli altri combattenti della coalizione, che mettono a repentaglio la loro vita, casa per casa, stanza per stanza lottando contro ISIS. Centinaia di combattenti Peshmerga sono stati uccisi e feriti nella lunga e faticosa battaglia per liberare Mosul dai jihadisti dello Stato islamico. I curdi si aspettavano che il mondo, guidato dagli Stati Uniti, li appoggiasse una volta che ISIS fosse stato sconfitto, ricordandosi del loro grande contributo a questa sconfitta e sostenendo la loro richiesta di indipendenza. Queste speranze si sono infrante molto in fretta quando la posizione ufficiale statunitense è uscita allo scoperto affermando che “non abbiamo intenzione di interferire negli affari interni iracheni “, ossia gli Stati Uniti non sostengono la richiesta curda per l'indipendenza guidata da Masoud Barzani, questo nonostante il referendum e i loro diritti storici. Quei curdi che desideravano l'indipendenza sono rimasti delusi e si sentono traditi dalla nazione con cui, per la quale e nel cui nome, hanno combattuto per un lungo e sanguinoso periodo, partecipando a un’infinità di battaglie, con tante vittime curde sacrificate nella guerra contro l'ISIS. È possibile che la posizione americana si sia trovata d’accordo con la posizione di Talabani, che ha ritenuto di non aver bisogno - certamente non immediatamente - di dichiarare l'indipendenza e ha preferito che i curdi si integrino nello stato iracheno. Naturalmente, la fedeltà di Talabani al regime iracheno è spiegata da sospetti di corruzione, posti di lavoro e altri vantaggi che lui e i suoi uomini avevano ricevuto dall'Iraq e dall'Iran. D'altra parte, voci dicono che Barzani ha ricevuto anche lui dei favori dai Sauditi, che sono interessati a minare un asse sciita guidato dall'Iran. Le fonti di notizie in Medio Oriente sono piene di queste storie difficili da provare (chi pensa che Trump abbia inventato il concetto di “fake news”- le notizie false- non conosce la politica e i media mediorientali…)
Conclusioni: Israele non deve far conto sugli aiuti altrui
Negli ultimi anni, ma soprattutto dopo la firma dell'accordo nucleare tra l'Iran e le potenze mondiali, si è assistito ad un avvicinamento tra Israele e i Paesi arabi che si sentono minacciati dall'Iran. Questi comprendono l'Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti, il Kuwait, l'Egitto e la Giordania. Di conseguenza, ci sono esperti israeliani, funzionari dell'esercito e politici che vedono l'attuale situazione regionale come un'occasione d'oro da cui Israele deve trarre vantaggio accettando le proposte arabe di pace, stabilendo uno Stato palestinese e intraprendendo una nuova era di cooperazione con il " moderato asse sunnita " , per portare pace e sicurezza a Israele e all'intera area. Il motivo? Perché tutti questi Paesi temono l'Iran come, e forse più, di Israele. Ma ipotizziamo che la minaccia iraniana scompaia perché Israele riesce ad attaccarne le strutture nucleari. Di conseguenza, la guerra scoppia tra Israele e l'Iran (incluso Hezbollah), Israele sacrifica centinaia di militari e civili - e il problema iraniano cessa di esistere.
Gli arabi e gli occidentali saranno grati a Israele e agiranno per proteggerne gli interessi? La risposta è semplice: quello che è accaduto ai curdi accadrà ad Israele. I curdi combatterono l'ISIS, sacrificarono i loro soldati e il loro popolo e furono abbandonati perchè non più necessari. Questo è esattamente quello che le nazioni del mondo faranno a Israele dopo essere stati liberati dal problema iraniano. Perché? Ciò che fa girare il mondo sono gli interessi immediati di ogni Paese e non i diritti morali dei curdi e degli israeliani. Israele sarà infatti il prediletto dell' “asse moderato sunnita" – questo è certo- almeno finché c'è una minaccia iraniana. Una volta che questa si sarà dileguata, con la frantumazione dell'Iran in componenti etniche ( sulla falsa riga dell'ex URSS, della Jugoslavia e della Cecoslovacchia) Israele non rivestirà più alcun interesse. Per questo motivo, sarebbe bene che Israele non rinunciasse ai suoi territori in cambio di un pezzo di carta con la parola "pace", perché quella carta può facilmente volare via nel vento del deserto. Ci sono due prove incontestabili a conferma di questo fenomeno: la prima è la pace con l'Egitto. Era stato il risultato della necessità di Sadat di avere l'assistenza economica europea e dell'insistenza dell'Europa che voleva che la pace con Israele precedesse la concessione di questo aiuto, in modo che i suoi finanziamenti non venissero più investiti in guerre. Ma quel trattato di pace non è stato messo in atto da Mubarak quando ha permesso a Hamas e ai suoi sostenitori di contrabbandare le armi dal Sinai a Gaza; perché era nell'interesse di Mubarak favorire una guerra tra Israele e Hamas, permettendo a Israele di fare il lavoro sporco con il ramo palestinese della Fratellanza Musulmana.
Non appena il Sinai è diventato Jihadistan e cominciò a combattere l'Egitto, cessò bruscamente il passaggio delle armi che dal Sinai venivano fatte entrare a Gaza. In sintesi: la pace tra Israele e l'Egitto esiste finché favorisce gli interessi egiziani. La seconda prova è la pace con la Giordania, basata sull'interesse comune di Yitzhak Rabin e re Hussein di impedire il formarsi di uno Stato palestinese. Questo interesse comune ha creato una vasta cooperazione tra i due Paesi. Il figlio di Hussein, Abdullah II, ha cambiato le politiche di suo padre ed è un forte sostenitore dell'idea di uno Stato palestinese in Giudea e Samaria, con capitale Gerusalemme Est. Ecco perché agisce contro Israele in tutti i forum internazionali, come se fosse uno dei più grandi nemici di Israele. Considera il Trattato di pace come un accordo per astenersi dalla guerra e nulla più, godendo dei benefici economici che ha ottenuto. La chiara conclusione che deriva dalle situazioni curde, egiziane e giordane è che Israele non deve mettere a repentaglio esistenza, sicurezza e interessi, affidandoli a compagnie di assicurazioni arabe in bancarotta. Israele deve assolutamente rafforzare la propria posizione nella Terra d'Israele, creare emirati governativi locali per le potenti famiglie arabe delle città in Giudea e Samaria, mantenendo il controllo israeliano delle aree rurali. Nessun Trattato di pace può dare a Israele una polizza assicurativa di lunga durata e il più velocemente Israele e il mondo interiorizzano questa verità, tanto meglio sarà.
Mordechai Kedar è lettore di arabo e islam all' Università di Bar Ilan a Tel Aviv. Nella stessa università è direttore del Centro Sudi (in formazione) su Medio Oriente e Islam. E' studioso di ideologia, politica e movimenti islamici dei paesi arabi, Siria in particolare, e analista dei media arabi.
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