Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 25/10/2017, a pag. 35, con il titolo 'GrazieTutti pazzi per Nicole Krauss la scrittrice amata da Philip Roth', la recensione di Antonio Monda.
Antonio Monda
La copertina dell'edizione americana
Per la pubblicazione del nuovo romanzo di Nicole Krauss, uscito negli Stati Uniti presso HarperCollins con il titolo Forest Dark, si è scomodato persino Philip Roth, il quale è uscito dal ritiro che si è autoimposto per dichiarare con entusiasmo: «È un romanzo brillante: sono pieno di ammirazione». Il libro, pubblicato con due settimane di anticipo nel Regno Unito, è stato accolto da ottime recensioni: Publishers Weekly lo ha definito «elegante, provocatorio, ipnotico: il migliore dell’autrice». E Library Journal ha scritto: «La Krauss riesce a importi di ascoltarla: un lettore serio la applaudirà ». La scrittrice, che è anche l’ex moglie di Jonathan Safran Foer da cui ha avuto due figli, ha dedicato sette anni alla stesura del testo, a cui ha dato un titolo che allude alla selva oscura di Dante: è un libro quindi che racconta un viaggio intrapreso per affrontare una crisi esistenziale. Quello che colpisce, sin dalle prime pagine, è un ammirevole e spesso dolente senso di necessità, che si fonde con un approccio a volte cerebrale ma che riesce a evitare i rischi di uno sterile intellettualismo.
Nicole Krauss
La storia segue le vicende parallele di due personaggi: Jules Epstein, un miliardario ebreo che divorzia dalla moglie dopo trentacinque anni di matrimonio e si ritira in Israele dove decide di finanziare un film su re David e quindi un bosco di 4mila alberi, e Nicole Krauss, la quale si reca a sua volta a Tel Aviv dove incrocia Epstein nell’Hotel Hilton della città. Il secondo personaggio è omonimo dell’autrice e ne possiede molte caratteristiche (è descritta come una scrittrice con un matrimonio in crisi che vive a Brooklyn con i due figli), ma non coincide del tutto con lei. Per comprendere il cuore di questo romanzo affascinante e ambizioso, è inevitabile ripercorrere l’itinerario umano e professionale dell’autrice, che ha 43 anni e ha pubblicato i suoi testi sin da quando era adolescente.
Philip Roth
La Krauss proviene da una famiglia ebraica di origine bielorussa, tedesca e ungherese, che ha coltivato costantemente la frequentazione dello Stato di Israele: il padre portava la famiglia ad alloggiare all’Hilton di Tel Aviv. Questo senso di appartenenza va letto insieme alle scelte culturali: la scrittrice ha studiato e si è espressa in primo luogo in poesia, sotto l’influenza Josif Brodskij. Nei suoi romanzi, ma in particolare nel più celebre, La storia dell’amore, compaiono i temi rivisitati anche in Forest Dark: il rapporto con le proprie radici, la necessità di indagare il cuore dell’ebraismo e la costatazione dolorosa della fallacia dei rapporti umani e dei sentimenti. Il libro, che si segnala anche per inaspettati momenti di umorismo nero, conferma che la Krauss è una scrittrice alla ricerca: della identità ebraica, innanzitutto, ma anche della propria realtà di donna e narratrice. Non è un caso che gran parte delle domande poste rimangano aperte, ed è sintomatico che alcuni degli elementi maggiormente autobiografici comunichino la necessità di una epifania catartica. È il caso ad esempio della passione per la danza, condivisa dall’autrice, e per Kafka, modello letterario temuto e venerato. Per non parlare degli spasmi con cui vive «il blocco dello scrittore », che diventa la molla per tentare di cambiare la vita con l’esperienza in Israele: nel suo soggiorno all’Hilton la Krauss incontra un professore in pensione che la convince che Kafka in realtà è morto in Israele e che quello dovrebbe essere l’argomento del suo prossimo libro.
Non è meno sintomatico che Jules Epstein risulti narrativamente più espresso e articolato dell’alter ego della scrittrice. È un miliardario che ha tutto ma sente una profonda insoddisfazione, e vede all’interno della sua crisi la via di una possibile redenzione. Affascinato dalle parole di un carismatico rabbino, sente di poter partecipare a una fantomatica riunione di tutti i discendenti di Davide, mentre la figlia dell’uomo di fede, bellissima e seducente, lo convince a finanziare il film su una figura centrale della storia del loro popolo. A volte l’indubbia maestria narrativa lascia la sensazione di qualche virtuosismo intellettuale, ma il romanzo trova la propria forza nel senso di responsabilità dei due protagonisti. A una lettura attenta, che superi la superficie postmoderna, si individua una dimensione puramente etica, che porta il lettore a farsi le stesse domande dell’autrice sugli obblighi morali nei confronti di se stessi e della propria storia. È una scoperta che consente di uscire dalla selva oscura.
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