Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 23/10/2017, con il titolo "Siria, forze speciali Usa e curdi strappano i pozzi di petrolio all’Isis", l'analisi di Giordano Stabile.
Il tradimento di quei kurdi che si sono schierati con l'Iran, insieme all'abbandono dei kurdi iracheni da parte dell'Occidente, è la causa della sempre più difficile lotta per la sopravvivenza di questo popolo. Gli annunci di Rex Tillerson e i silenzi di Donald Trump non servono a fermare l'Iran, l'unico modo per farlo è ricorrere alla forza.
Ecco l'articolo:
Giordano Stabile
Una manifestazione a sostegno del Kurdistan
In Siria i curdi strappano all’Isis il più grande giacimento petrolifero del Paese, con l’aiuto delle forze speciali statunitensi, e anticipano l’esercito di Bashar al-Assad sulla strada verso il confine con l’Iraq. A Riad il segretario di Stato americano Rex Tillerson accorre al summit fra il premier iracheno Haider al-Abadi e Re Salman e lancia un nuovo monito all’Iran: «Vie le sue milizie dall’Iraq». La controffensiva degli Usa in Medio Oriente si è concretizzata ieri con un doppio blitz militare e diplomatico ma ancora non basta a controbilanciare le posizioni perse nel Kurdistan, passato dal sogno dell’indipendenza alla lotta per sopravvivere nel giro di una settimana.
I due fronti siriano e iracheno sono intrecciati più che mai, quasi che i confini di Sykes-Picot siano ormai cancellati nella realtà. Su entrambi la carta americana è quella dei curdi. In Siria continua a dare soddisfazioni. A quattro giorni dalla liberazione di Raqqa dall’Isis, le Syran democratic forces, per circa tre quarti formate da curdi addestrati dagli Usa, sono entrate nel giacimento di Al-Omar, il più ricco della Siria, con una potenzialità di 100 mila barili di greggio al giorno. Raid aerei e incursioni delle forze speciali americane hanno permesso l’avanzata oltre il fiume Khabur e la conquista dei pozzi.
A questo punto i curdi controllano una fetta consistente anche della provincia di Deir ez-Zour, a Sud-Est di Raqqa. Il petrolio di Al-Omar è essenziale perché il Kurdistan siriano, il Rojava, possa autofinanziarsi. Ma la regione è strategica anche dal punto di vista geografico, nel bel mezzo del corridoio sciita in fase di realizzazione da Baghdad a Beirut. Per questo i governativi, e le milizie sciite alleate, continuano a spingere verso Est, lungo l’Eufrate, con l’aviazione russa che li sostiene nell’assedio dei quartieri ancora in mano all’Isis a Deir ez-Zour e verso Al Bukamal.
Sono due «congiunzioni» in lotta l’una con l’altra: quella fra curdi siriani e iracheni, ora difficoltosa per l’avanzata delle milizie sciite nel Nord dell’Iraq, e quella fra gli eserciti siriano e iracheno, che dovrebbe concludersi proprio ad Al-Bukamal. Per frenare l’esuberanza degli sciiti, appoggiati dall’Iran sempre più apertamente, Tillerson è arrivato ieri a Riad. L’occasione era importante. Un summit fra Iraq e Arabia Saudita ai massimi livelli, dopo quasi tre decenni di relazioni diplomatiche interrotte. Il premier Al-Abadi è arrivato soprattutto per discutere di aiuti finanziari in vista della ricostruzione delle città distrutte nella guerra all’Isis ma il Segretario di Stato americano ha messo sul tavolo la questione iraniana.
I curdi iracheni sostengono che il blitz scattato lunedì contro il Kurdistan sia stato guidato dall’Iran e che Sorhab Suleimani, fratello del leader dei Pasdaran Qassem, abbia guidato di persona le milizie Hash al-Shaabi. Tillerson ha ammonito Teheran: «Ora che la lotta all’Isis si sta avviando alla fine, le milizie iraniane dovrebbero lasciare l’Iraq, tutti i combattenti stranieri devono tornare a casa». Tillerson però deve fare i conti anche con un premier iracheno sempre più abile, in grado di gestire le pesanti influenze del vicino sciita e nello stesso tempo di riallacciare i rapporti con la più importante potenza sunnita araba.
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