Cattolici e luterani uniti nell'omissione dell'antisemitismo di Lutero Il commento parziale di Stefania Careddu
Testata: Avvenire Data: 20 ottobre 2017 Pagina: 22 Autore: Stefania Careddu Titolo: «Lutero spinto dall'amore per Dio»
Riprendiamo da AVVENIRE di oggi, 20/10/2017, a pag. 22, con il titolo 'La Lutero spinto dall'amore per Dio', il commento diStefania Careddu.
Il Vaticano e Avvenire omagiano Lutero a 500 anni dall'inizio della Riforma protestante, che per secoli hanno combattuto ferocemente - essendo ricambiati da ugual moneta. Ben venga la rappacificazione, bisognerebbe però ricordare l'intera eredità di Lutero, a partire dal violento odio antiebraico, che ha contribuito a diffondere in Germania, con risultati che tutti conosciamo: non a caso ne era un grande ammiratore Adolf Hitler. Il giornale cattolico omette infece i tratti d'ombra della figura di Lutero, ripulendola nel contesto delle celebrazioni di questi mesi e, ancora una volta, non rendendo conto del suo messaggio complessivo.
“Un evento dello Spirito Santo”. Così il vescovo Nunzio Galantino, segretario generale della Cei, ha definito la Riforma avviata da Martin Lutero cinquecento anni fa. «E stato lui stesso a non ritenersene l'artefice, quando ha spiegato che mentre lui dormiva e beveva birra, Dio riformava la Chiesa», ha sottolineato Galantino introducendo i lavori della seconda giornata del Convegno «Passione per Dio. Spiritualità e teologia della Riforma a 500 anni dal suo albeggiare» promosso dalla Pontificia Università Lateranense. Del resto, per Lutero «la teologia non era una questione accademica, ma la lotta interiore con se stesso, e questa, poi, era una lotta riguardo a Dio e con Dio», ha ricordato il segretario generale della Cei citando le parole di Benedetto XVI e di papa Francesco a proposito della «passione profonda di Lutero per Dio che è stata la molla della sua vita e del suo cammino». In quest'ottica, la sua «teologia della croce che obbedisce alla logica del paradosso» implica anche «un'ecclesiologia della croce, dove la Chiesa non guarda alle apparenze, non intende esibirsi né confondersi con le mode mondane, consapevole che la sovraesposizione mediatica corre sempre il rischio del fraintendimento».
“Un evento dello Spirito Santo”. Così il vescovo Nunzio Galantino, segretario generale della Cei, ha definito la Riforma avviata da Martin Lutero cinquecento anni fa. «E stato lui stesso a non ritenersene l'artefice, quando ha spiegato che mentre lui dormiva e beveva birra, Dio riformava la Chiesa», ha sottolineato Galantino introducendo i lavori della seconda giornata del Convegno «Passione per Dio. Spiritualità e teologia della Riforma a 500 anni dal suo albeggiare» promosso dalla Pontificia Università Lateranense. Del resto, per Lutero «la teologia non era una questione accademica, ma la lotta interiore con se stesso, e questa, poi, era una lotta riguardo a Dio e con Dio», ha ricordato il segretario generale della Cei citando le parole di Benedetto XVI e di papa Francesco a proposito della «passione profonda di Lutero per Dio che è stata la molla della sua vita e del suo cammino». In quest'ottica, la sua «teologia della croce che obbedisce alla logica del paradosso» implica anche «un'ecclesiologia della croce, dove la Chiesa non guarda alle apparenze, non intende esibirsi né confondersi con le mode mondane, consapevole che la sovraesposizione mediatica corre sempre il rischio del fraintendimento».
Lutero e il suo testo antisemita
«La Chiesa "reformanda" - ha affermato Galantino - è la Chiesa crocifissa le cui piaghe siamo chiamati a riconoscere e curare, e nelle cui piaghe siamo chiamati a riconoscerci, secondo l'immagine dell'ospedale da campo che ci propone papa Francesco». «Il punto centrale che Lutero propone per la riforma è il Vangelo con la croce di Cristo», ha ribadito Giancarlo Pani, docente all'Università La Sapienza di Roma e vicedirettore de La Civiltà Cattolica, che ha voluto sgombrare il campo da un equivoco: «le Tesi non sono una protesta o sfida all'autorità ecclesiastica, ma rivelano un problema di coscienza posto da un docente di teologia che chiede al proprio vescovo un dialogo e una chiarificazione, sia per se stesso che per il bene della Chiesa». Di fronte al «baccano delle indulgenze», infatti, Lutero decise di scrivere due lettere, una al vescovo della sua diocesi e una all'arcivescovo di Brandeburgo, e di allegare l'elenco delle 95 tesi che volevano «suscitare una conversazione, un dibattito teologico» sulla predicazione delle indulgenze. «Non furono gridate in pubblico» e «non erano destinate alla diffusione, meno che mai ad una diffusione popolare», ha chiarito Pani confermando quindi che «il 31 ottobre 1517, a Wittenberg non accadde nulla di visibile e di clamoroso» in quanto «non vi fu alcuna pubblica affissione delle Tesi».
Tuttavia, ha rilevato Fulvio Ferrario, della Facoltà valdese di teologia di Roma, «le pagine del riformatore immergono in una passione di fede che accende il pensiero e in un pensiero tumultuoso che inquieta la fede fin nelle profondità e, in tal modo, la aiuta a maturare». E possono gettare luce sul dibattito attuale sullo statuto della teologia. «Il pericolo maggiore - ha evidenziato Ferrario è che la teologia si difenda tentando di assimilarsi alle scienze profane che studiano il fatto cristiano. Attuando cioè un'autosecolarizzazione in qualche modo corrispondente a quella che, su piani diversi, si registra a volte nelle chiese». Occorre però guardarsi anche dal «pericolo speculare», quello che, ha concluso, vede «il pensiero credente reagire alla critica secolarista barricandosi in un ghetto religioso e rinunciando alla riflessione critica, o addirittura condannandola come intrinsecamente corruttrice».
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