Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 20/10/2017, a pag. 2, con il titolo "In Kurdistan è il tempo delle vendette, fra tradimenti e rappresaglie", il commento di Adriano Sofri.
Adriano Sofri
La notte tra mercoledì e giovedì è stata vissuta come un riscatto dalle migliaia di giovani inermi che sono scesi in strada nelle città curde, e soprattutto a Kirkuk, Sinjar, Khanaqin, Tuz Khurmathu, oltre che a Erbil. Il giorno era stato segnato da prepotenze e violenze degli occupanti Ashd al-Shaabi, e da una nuova fuga di famiglie curde verso la sola Suleymanyah, perché gli iracheni avevano chiuso la strada di Erbil. Ma era successo un piccolo episodio, nel centro di Kirkuk. Un pick-up della sicurezza militare curda passata agli ordini iracheni si muoveva lentamente fra la gente. Un giovane ha apostrofato gli armati chiedendo che cosa fosse la bandiera – irachena – che sventolava sull’auto al posto della curda. D’un tratto un ragazzo dalle scarpe scalcagnate ha preso la rincorsa ed è saltato sul cofano, ha strappato la bandiera ed è ruzzolato giù mentre la camionetta accelerava, protetto e applaudito dai passanti. Qualcuno ha ripreso la scena che da allora è dilagata sui telefoni e sui social, e nella notte è diventata un ritornello della tv Rudaw, mentre mostrava le dimostrazioni e la cacciata degli Hashd al-Shaabi, ormai ordinata anche dal governo di Baghdad. Il ragazzo, rintracciato, aveva detto con la più gran naturalezza quello che si dice in queste circostanze – “E’ pieno di persone molto più coraggiose di me. Si muore una volta sola, meglio farlo degnamente. Siamo pronti a ripetere quel gesto, io e i miei amici, in tutti i quartieri di Kirkuk. Hanno umiliato la nostra bandiera, ci hanno ballato sopra. Noi non abbiamo avuto paura di Daesh, non abbiamo paura di questi altri barbari”. La ribellione aveva trovato il proprio video. A Qanakhin (città curda eppure a maggioranza sciita) era cominciata con un uomo anziano che camminava con la bandiera ed era stato aggredito e picchiato da tre miliziani Shaabi. La gente è intervenuta a difenderlo e in breve lo sdegno si è mutato in rivolta. C’erano state testimonianze di uccisioni, saccheggi, stupri compiuti sotto gli occhi dei famigliari.
A Khurmathu una dozzina di case curde sono state fatte esplodere. Era difficile immaginare da dove potesse venire un riscatto al disastro dell’invasione irachenoiraniana, spalleggiata dalla famosa coalizione internazionale e favorita dalla complicità di una fazione di notabili curdi di Suleymanyah e Kirkuk. I giochi sembravano fatti, i curdi di Kirkuk e Khurmathu in fuga e braccati. Avevo ricordato che il Kurdistan ha più di metà della sua popolazione di giovani sotto i vent’anni, e che magari loro avrebbero potuto “darsi un appuntamento”: se lo sono dato la notte di giovedì. Ora avranno qualcosa cui affidare la propria memoria. Alle figure classiche dell’epopea (e del mito) curda, i peshmerga e i volontari armati, si è aggiunta quella dei giovani inermi e risoluti, gli stessi delle partite di calcio vinte o perse o vendute, armati di una sola bandiera e telefonino – hanno due mani. Mancano su queste scene pubbliche le donne, enorme differenza dal Rojava di Kobane e Raqqa, benché siano decisive fuori campo. Nei convogli di fuggiaschi che lasciano le case minacciate, sono le loro facce e le loro voci a farsi vedere e sentire ben sopra quelle dei loro uomini. All’indomani, ieri, era come se tutti aspettassero qualcosa.
A Kirkuk i quartieri curdi erano disertati dagli occupanti, nei loro gli arabi rimasti e i turcmeni sciiti festeggiavano, le vessazioni Shaabi si dirottavano sui turcmeni sunniti. Vicino a Prde, lungo la strada da Erbil a Kirkuk, l’avanzata di un reparto di Shaabi è stata fermata dai peshmerga che ne hanno uccisi dieci e distrutto alcuni blindati. Soprattutto è successo che la Corte Suprema di Baghdad – cioè il governo, cioè l’Iran – ha spiccato un mandato di cattura per Ali Rasul Kosrat, vicepresidente del Kurdistan e veterano comandante peshmerga che i benemeriti lettori di questa mia posta conoscono.
Kosrat, 65 anni, ha conosciuto le prigioni e la tortura del Baath di Saddam, è stato più volte ferito in battaglia e una volta, nel 1985, così gravemente che ne è rimasto invalido e sofferente, benché si faccia ancora accompagnare sulla prima linea contro al Qaida o l’Isis o il prossimo nemico della sua gente, perse due figli piccoli in un attacco aereo nel 1987. E’ stato condannato a morte più volte. Ha compiuto imprese leggendarie, come la liberazione di Erbil nel 1991. Ora su lui pende un mandato di cattura per aver definito, nel discorso di denuncia della viltà di suoi compagni di partito che ho riferito ieri, “invasori” gli iracheni militari, le milizie sciite irachene Ashd al-Shaabi, i loro accompagnatori e patroni iraniani (c’erano anche i turchi, si è sentito ieri). Reato, specifica la notizia da Baghdad, che prevede la condanna a sette anni.
C’è dell’umorismo in tutto ciò. Aveva sollevato molta attenzione qui la notizia della telefonata di Netanyahu a Putin, mercoledì. I curdi sono più all’erta e competenti di un collaboratore di Limes, e nella notte delle ribellioni avevano attecchito voci di bombardamenti di aerei sconosciuti, dunque israeliani, sulla base di Kirkuk occupata dagli Shaabi. Non era vero, ma ieri la Turchia ha chiuso completamente il suo spazio aereo e Damasco ha dichiarato che qualunque sorvolo del proprio spazio sarebbe stato considerato un atto di guerra. I curdi hanno cose cui riflettere. Intanto si prospetta un incontro fra il governo curdo e il primo ministro iracheno Abadi, il moderato che l’euforia rende sempre più ingordo.
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