Giordano Stabile
Benjamin Netanyahu l’ha detto a Vladimir Putin, a Donald Trump, e l’ha ripetuto ieri al ministro della Difesa russo Sergei Shoigu in visita nello Stato ebraico. Israele «non accetterà mai una presenza militare permanente dell’Iran in Siria». È una linea rossa tracciata con il fuoco. Lunedì i caccia con la stella di David hanno distrutto una batteria anti-aerea siriana S-200 che aveva lanciato un missile mentre sorvolavano lo spazio aereo libanese, non senza aver prima avvertito i russi. L’aviazione israeliana osserva le mosse dell’esercito di Bashar al-Assad, degli Hezbollah, dei «consiglieri» iraniani sul Golan, dove si apprestano a schiacciare l’ultima sacca di ribelli e a riprendere la città di Quneitra.
Benjamin Netanyahu con il Ministro della difesa russo Sergei Shoigu
Le forze israeliane e siriane si troveranno presto quasi a contatto, per la prima volta dal 1967, perché il cuscinetto dei Caschi Blu dell’Onu, cacciati dai jihadisti nel 2014, non c’è più. Il Mossad è convinto che Teheran sta costruendo una base aerea a proprio uso vicino a Damasco e si appresta a realizzare un attracco navale accanto a quello russo a Tartus. Una presenza «permanente» e ben radicata. L’Iran «deve capire che Israele non lo consentirà», ha ribadito il premier israeliano a Shoigu. E per questo appoggia la decisione di Trump di «decertificare» l’accordo sul nucleare firmato da Obama: «Teheran avrà comunque l’atomica fra otto, dieci anni», è la previsione di Netanyahu. Shoigu ha ascoltato le preoccupazioni, detto di lavorare per «una migliore comprensione reciproca in Medio Oriente», ma soprattutto annunciato la «prossima fine» delle operazioni in Siria. L’Isis è in ginocchio, Assad sta per vincere, Mosca sorveglia. Ma le rassicurazioni russe non bastano a Israele.
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