'L’incantesimo', di Emanuel Bergmann
Recensione di Giorgia Greco
La copertina (La nave di Teseo ed.)
“Siamo i portavoce degli dei e i custodi di una verità senza tempo….Gli uomini desiderano essere ingannati. Vogliono credere a qualcosa di più grande. La magia è una meravigliosa menzogna”
E’ un’opera di qualità l’esordio narrativo dello scrittore ebreo tedesco Emanuel Bergmann che arriva nelle librerie italiane col titolo “L’incantesimo” edito da La nave di Teseo, un romanzo corposo che si legge d’un fiato grazie ad una trama piena di ritmo, di mistero e di tensione narrativa. Nato a Saarbrucken nel 1972 e trasferitosi a Los Angeles per studiare cinema e giornalismo l’autore, che ora insegna tedesco e pubblica articoli per varie testate, ha scritto “L’incantesimo” dieci anni fa e solo dopo vari tentativi il romanzo è stato pubblicato dalla casa editrice Diogenes di Zurigo riscuotendo ottime recensioni.
Due sono i temi, in parte autobiografici, che percorrono il libro: l’attrazione per la creazione delle illusioni e la consapevolezza del valore della famiglia da cui deriva il profondo disorientamento di un bambino che vede spezzarsi l’unione fra i suoi genitori. Da qui ogni tentativo per ripristinare una situazione di armonia e serenità è consentito, compreso il ricorso alla magia. L’intreccio che si sviluppa su due filoni narrativi e abbraccia due diversi archi temporali ci conduce dapprima nella Praga degli anni Trenta dove incontriamo Mosche Goldenhirsch, figlio adolescente di un rabbino che dopo aver conosciuto il Circo Magico resta affascinato dai giochi di prestigio dell’Uomo Mezzaluna e dalla bellezza della sua assistente Julia Klein, al punto da fuggire dall’abitazione paterna per seguirli in Germania. Dopo molte peripezie, fughe e avventure rocambolesche Mosche si lascia alle spalle il Vecchio Continente ma anche l’orrore di Auschwitz da cui è miracolosamente sopravvissuto per approdare in America, la terra dove i sogni si realizzano, e mettendo a frutto gli anni trascorsi come allievo dell’Uomo Mezzaluna diventa un illusionista di successo con il nome de “Il Grande Zabattini”.
L’altro filone narrativo ci porta a Los Angeles nel 2007 dove Max Cohn, un bambino ebreo di dieci anni, nel tentativo di opporsi al divorzio dei genitori scappa dalla finestra della sua camera e si avventura alla ricerca del Grande Zabattini, il mago la cui immagine campeggia su un vecchio vinile del padre. Max è convinto che la sua magia possa compiere il miracolo di far innamorare di nuovo i genitori prima che il divorzio diventi definitivo. Con uno stile poetico e un filo di ironia l’autore tiene sapientemente le fila della duplice narrazione mentre il lettore con crescente suspense scopre, a capitoli alterni, le vicende che coinvolgono i due protagonisti fino al punto che la storia del grande mago si innesta come l’ultimo pezzo di un puzzle alla vicenda di Max. Frutto dell’interesse di Bergmann per la storia della magia e per i giochi di prestigio – sin da bambino era affascinato dalla creazione degli effetti speciali cui assisteva negli studi televisivi dove lavorava il padre – il romanzo affronta con rigore storico anche il tema della Shoah mescolando con perizia fantasia e vicende familiari.
Ottima la caratterizzazione dei protagonisti, l’uno nella difficoltà di accettare la propria condizione di ebreo, l’altro nella ribellione ad una situazione imposta dagli adulti. A entrambi la magia appare come l’unico modo per sfuggire ad una realtà opprimente che non si può cambiare, l’unica alternativa ad una condizione che non si riesce ad accettare. Intensa e commovente è la figura di Rosl Cohn, la nonna del piccolo Max: un’anziana dal temperamento coriaceo che racchiude nel cuore un segreto doloroso che la lega indissolubilmente al Grande Zabattini e che solo nelle ultime pagine si svelerà al lettore. Non bisogna rassegnarsi alle difficoltà della vita, né rinunciare alla realizzazione dei propri sogni senza prima aver tentato ogni possibile strada: questo è il messaggio di speranza che ci consegna il romanzo di Emanuel Bergmann, un esordio folgorante, capace di commuovere senza enfasi o retorica e di lasciare intatto il piacere della lettura dalla prima all’ultima pagina.
Giorgia Greco