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La Stampa-La Repubblica Rassegna Stampa
14.10.2017 Due trombettieri in difesa dell'Iran nucleare. Contro Trump, ovviamente
Gianni Riotta e Roberto Toscano

Testata:La Stampa-La Repubblica
Autore: Gianni Riotta-Roberto Toscano
Titolo: «Si riapre il dilemma persiano-Iran, perchè trattare»

Riprendiamo oggi, 14/10/2017, due commenti al discorso di Donald Trump di Gianni Riotta sulla STAMPA a pag.1/27 e Roberto Toscano sulla REPUBBLICA a pag.35, preceduti entrambi dai nostri commenti.

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Davvero, è per uso pacifico...

La Stampa-Gianni Riotta:" Si riapre il dilemma persiano"

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Gianni Riotta

Gianni Riotta, dimenticando di scrivere per la Stampa, ha fatto un tuffo nel passato, quando iniziò la professione di giornalista al MANIFESTO. Una carriera portentosa, che l'ha portato a collaborare sui maggiori quotidiani italiani, alcuni anche a dirigerli. A parte l'insopportabile tono da maestrina che rimprovera l'allievo ignorante che non ha imparato la lezione - ma questo è l'atteggiamento verso Trump della maggior parte dei media, non solo italiani - è l'analisi che fa dell'Iran, iniziando addirittura con la difesa del comunista sostenuto dall'URSS  Mossadeq, che la Cia cooperò con lo Scià per farlo dimettere. Elogia persino Eisenhower, buonista della prim'ora. Per il resto è fiducia totale verso l'Iran, ignorando da chi provengono le minacce nucleari.  Concludendo con un omaggio alla Mogherini, mettendo in ridicolo chi la critica.
C'è da rimanere allibiti.

Nel marzo del 1953, mentre fervevano i preparativi per il colpo di stato Cia che avrebbe abbattuto in Iran il governo nazionalista di Mohammed Mossadegh, il presidente Eisenhower si lamentò al Consiglio per la Sicurezza Nazionale «E se facessimo qualcosa che ci faccia amare, non odiare, da questi paesi oppressi?». 64 anni dopo la saga Teheran-Washington continua, senza amore, forse con meno odio del 1979, quando gli studenti islamici sequestrarono i diplomatici Usa, ma con profonda, crescente, diffidenza. Ieri il presidente Donald Trump, con toni più duri di quelli concordati con il segretario di Stato Tillerson, ha «decertificato» l’accordo 2015 sul nucleare iraniano, firmato con europei e russi, rimandandolo al Congresso. Trump s’è fermato a un passo dal cancellare il trattato, voluto da Barack Obama, vuole adesso che parlamentari Usa e alleati considerino non solo se l’Iran osserva la lettera delle intese, ma anche il suo comportamento aggressivo in Medio Oriente con i missili balistici. E ancora, il sostegno ad Assad in Siria, la mobilitazione degli Hezbollah in Libano, l’offensiva in Yemen, le frizioni contro Arabia Saudita e Israele. Quello che l’ex agente Cia Kenneth Pollack chiama «Dilemma persiano», viene riaperto da Trump in ore delicatissime, mentre prova anche ad azzerare la riforma sanitaria di Obama, tra polemiche e risse in Parlamento. Trump non ha dichiarato «terroristi» le Guardie Rivoluzionarie iraniane, come voleva, né ha brandito sanzioni contro gli ayatollah, consegnando il «dilemma» al Congresso. Ha però cambiato perentoriamente il tono sull’Iran: per lui il regime sciita è un rischio per la pace e gli interessi Usa, e dunque poco conta se nel conteggio di centrifughe e acqua pesante, hardware per produrre armi nucleari, l’Iran è a posto. Mentre diplomatici europei e, da Mosca ospite di Putin, lo speaker del Parlamento iraniano Ali Larijani stimano le 20.000 centrifughe pre accordo – capaci di innescare nucleare militare –, ridotte ora a 6000, una dimensione da uso civile, Trump vuol mantenere fede alle promesse elettorali, via la riforma sanitaria, via il patto con Teheran. Inutile sperare, come Eisenhower di farsi amare dagli iraniani, inutile predicare, come John Kennedy allo Shah, di democrazia e diritti, meglio ritirarsi – sia pure, come per gli accordi sul clima di Parigi – più sulla carta che in realtà. Trump ha fatto precedere il discorso da telefonate a Macron e la May, ma la reazione europea della ministro Ue Federica Mogherini è gelida «Non è un accordo bilaterale, non appartiene a un solo paese e nessun paese da solo può bocciarlo. Il presidente americano ha molti poteri, non questo». A microfoni spenti, gli uomini della Casa Bianca più vicini a Trump sono altrettanto sprezzanti «Mogherini? Sa come l’ha definita Ray Takeyh del Council on Foreign Relations?: “Se si riaprono i negoziati, gli iraniani si porteranno il loro avvocato di fiducia, la Mogherini, rappresentante Ue”». Il clima è confuso, irto di risentimenti e rivalità. Il ministro degli Esteri iraniano Zarif, in privato, non si dice punto spaventato dall’idea di nuove trattative. Un diplomatico iraniano conferma «Trattare con gli Usa? Lo facciamo da generazioni. Trump mette in forse l’accordo del 2015, ma ricordiamo gli accordi Saadabad del 2003, gli accordi di Parigi del 2004, noi trattiamo con pazienza, Washington dopo un po’ cambia umore, si distrae». Lo studioso Philip Gordon concorda «Il presidente Rohani ha pazienza, gli iraniani scommettono che gli occidentali vadano dietro alla novità più luccicante». Per davvero stracciare gli accordi, Trump deve mettere insieme una maggioranza di 60 voti al Senato, tanti con i democratici sul piede di guerra per la sanità. E il capo della commissione Esteri, il repubblicano Corker, ha appena dichiarato di temere «la III guerra mondiale sotto Trump», per finire insultato a sua volta via twitter. Sarà lui a negoziare gli accordi, vedremo in che spirito. Trump voleva che l’ultimo atto dell’eterno duello con l’Iran, avesse come retroscena, ieri, il monumento alla battaglia di Iwo Jima, ma è in restauro. Allora ha scelto l’ex ambasciata di Teheran, mezzo rovinata. Solo a fatica, il capo di gabinetto Kelly lo ha persuaso a un palcoscenico ortodosso, conoscendo, da ex generale, la vecchia massima del leader supremo Ali Khamenei: «La Cia sa bene come far fuori i progressisti, Allende in Cile, Mossadegh da noi. Noi però, non siamo liberali…».

La Repubblica-Roberto Toscano: "Iran, perchè trattare"

Se per Riotta c'è stato stupore per l'inaspettato giro di valzer pro-Iran, con Roberto Toscano non ci sono sorprese. L'ex ambasciatore a Teheran, nostalgico del bel tempo passato, è uno dei più solerti trombettieri pro-ajatollah, un titolo che gli viene conteso soltanto dalla Mogherini, purtroppo alla guida della politica estera europea. Ci auguriamo che il presidente Usa interpreti i poteri che la costituzione gli garantisce e continui la battaglia contro uno dei due massimi stati canaglia - l'altro è il Qatar - promotori delle organizzazioni terroristiche che minacciano le democrazie occidentali.
Abbiamo letto oggi con sommo piacere i titoli di prima pagina dei due quotidiani "spesso gemelli", il comunista e quello vescovile:
IL MANIFESTO: " La Casa bianca boccia l'Iran deal"
AVVENIRE: " Trump mina alla base l'accordo con l'Iran"

Ecco il commento di Toscano:

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SENZA aspettare la scadenza del 15 ottobre, Donald Trump ha preannunciato la “de-certificazione” dell’accordo sul nucleare raggiunto nel 2014, il Joint Comprehensive Plan of Action — Jcpoa. Come più volte dichiarato dall’Aiea, e mai seriamente smentito da Washington (Trump ha infatti parlato di violazione dello “spirito” dell’accordo) l’Iran lo ha integralmente rispettato. È la stessa posizione degli altri paesi che hanno raggiunto l’intesa dopo anni di difficile trattativa con l’Iran: i Cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza e la Germania. Con questo annuncio risulta confermato che, come gli iraniani hanno sempre sostenuto, Washington usava la questione nucleare come strumento per conseguire altre finalità, in sintesi mantenere l’Iran isolato politicamente e debole economicamente. È anche vero, d’altra parte, che in fondo lo stesso valeva per gli iraniani, nel senso che la minaccia di potersi dotare dell’atomica era l’unico modo per essere accettati a un tavolo delle trattative, e con questo riconosciuti come avversario ma anche come potenziale partner economico. Rimane comunque vero che l’accordo ha un importante valore in sé sia in quanto allontana la prospettiva di una militarizzazione del programma nucleare civile iraniano — con la conseguenza di scatenare una corsa alla nuclearizzazione dell’intera regione — oltre a scongiurare la prospettiva di un nuovo conflitto nel Medio Oriente. Trump aveva ripetutamente definito l’accordo come disastroso per gli Stati Uniti, anzi, vergognoso. Ma per il Presidente americano la coerenza, come noto, è tutt’altro che un limite o un freno ai suoi sempre più incontrollati impulsi, sempre più tali, e nemmeno possiamo attribuirgli grandi disegni geopolitici. Per Trump si tratta soprattutto di immagine, un’immagine che ci tiene a far emergere per contrasto rispetto al suo predecessore. Il suo desiderio di sabotare l’accordo sul nucleare iraniano, in questo senso, sta sullo stesso piano dell’attacco alla riforma sanitaria — il secondo sostanziale successo di Obama. L’attacco all’Obamacare è sostanzialmente fallito. Si può prevedere lo stesso per quanto riguarda il Jcpoa? Lo stesso Trump sembra rendersi conto del fatto che, visto l’atteggiamento non solo dei 5+1, ma della comunità internazionale nel suo complesso, l’America non può pensare di svolgere con successo un’azione da killer solitario. A questo riguardo merita di essere guardata l’intervista che l’Alta rappresentante per la politica estera della Unione Europea, Federica Mogherini, ha concesso in data 11 ottobre alla televisione indipendente americana Pbs. Un’intervista di una totale ed articolata chiarezza e di una fermezza critica che, se percorriamo le vicende dei rapporti euro-americani, è emersa soltanto in poche occasioni. Trump ha sostanzialmente rinviato la palla al Congresso contando suoi radicati e bi-partisan sentimenti anti-iraniani per un rilancio delle sanzioni che potrebbe portare a una denuncia dell’accordo da parte iraniana. Soprattutto, ha cambiato discorso, presentando una strategia globale nei confronti di un regime che ha definito come fanatico e impegnato nel sostegno al terrorismo. Accuse che rinviano al Medio Oriente nel suo complesso, e soprattutto ai conflitti in Siria e Yemen e all’appoggio iraniano ad Assad e ai ribelli Houthi. Temi non solo reali, ma drammaticamente seri nella misura in cui sono fattori che contribuiscono al confronto politico-militare in corso nella regione. Temi su cui l’Iran andrebbe coinvolto in un discorso fatto certo di deterrenza e capacità di contrasto, ma anche con la ricerca di compromessi e possibilità di sbocchi diversi dal conflitto. Il progetto dell’attuale Presidente iraniano, Rouhani, era proprio questo. Sia lui che il suo ministro degli esteri, Zarif, non hanno mai nascosto che consideravano l’accordo sul nucleare non un punto di arrivo, ma un punto di partenza per un processo negoziale che avrebbe dovuto portare a una graduale normalizzazione dei rapporti fra Iran e Stati Uniti. Fra l’altro si tratta di un disegno che ha sempre caratterizzato la componente riformista del regime iraniano. Nel 2003 il governo Khatami propose agli Stati Uniti, con l’invio di un documento informale ma autorizzato ai più alti livelli della Repubblica islamica, un percorso di trattativa che andava ben oltre la questione nucleare, ma avrebbe dovuto estendersi a temi come il terrorismo e il Medio Oriente, con l’esplicita disponibilità iraniana di discutere su obiettivi americani come «la cessazione dell’appoggio iraniano a organizzazioni combattenti palestinesi come Hamas e Jihad»; «la trasformazione di Hezbollah in una semplice organizzazione politica libanese»; «l’accettazione della dichiarazione di Beirut della Lega Araba (iniziativa saudita, approccio dei due stati)». Gli americani — con George Bush alla Casa Bianca — non si degnarono nemmeno di accusare ricevuta della proposta, e due anni dopo alla presidenza dell’Iran giunse Ahmadinejad. Ma se non si tratta con l’Iran, se non si trova un equilibrio fra il contrasto alle sue ambizioni contrarie agli interessi dei suoi vicini e di Stati Uniti ed Europa e il riconoscimento dei suoi legittimi interessi di sicurezza, come si pensa a Washington che sia possibile conseguire l’obiettivo di maggiore stabilità e minore conflitto nell’intera regione? O si sconfigge il nemico o si tratta con lui. Ma davvero gli americani, dopo una serie di fallimenti — dal disastro afghano (sedici anni di guerra senza che si intraveda uno sbocco) all’incapacità di sconfiggere militarmente il cosiddetto Stato Islamico — pensano che qualcuno possa considerare seria l’opzione di una guerra americana contro l’Iran? No, tutte le opzioni non sono sul tavolo.

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