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Il Giornale-La Stampa Rassegna Stampa
14.10.2017 Trump accusa l'Iran: 'i vostri missili violano l'accordo sul nucleare'
Fiamma Nirenstein,Giordano Stabile, Paolo Mastrolilli per disintossicarsi dai trombettieri

Testata:Il Giornale-La Stampa
Autore: Fiamma Nirenstein-Paolo Mastrolilli-Giordano Stabile
Titolo: «E' una scelta coraggiosa:non è con il pacifismo che si batte il terrorismo-Trump: Nuove snazioni all'Iran.Ma non cancella l'accordo sul nucleare-I pasdaran pronti alla guerra 'possiamo colpire le basi Usa'»

Per capire la posizione americana, dopo aver letto i trombettieri Gianni Riotta e Roberto Toscano in altra pagina di IC, per informarsi senza musicisti, riprendiamo i commenti e le cronache di Fiamma Nirenstein, Paolo mastrolilli, Giordano Stabile, rispettivamente dal GIORNALE, a pag.13, dalla STAMPA, a pag.10/11.

Il Giornale-Fiamma Nirenstein: "E' una scelta coraggiosa:non è con il pacifismo che si batte il terrorismo"

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Grande Fiamma !

La «decertificazione» del trattato del 2015 fra l'Iran e i P5 più uno è una mossa audace e strategica, dalle conseguenze di lunga durata e con un forte significato di rottura, anche se Trump dalla cancellazione dell'accordo è passato a proporre di cambiarlo profondamente. Ma il tono è molto deciso: nel passare la sua decisione al Congresso, ha promesso che se esso non si deciderà a rivederlo, sarà lui stesso a cancellarlo. Insomma: Trump cerca un approccio che non irriti troppo il mondo che tiene per l'accordo, anche perchè cancellarlo cessa il flusso di affari e pub spingere l'Iran a una corsa veloce al nucleare, ma avverte la comunità internazionale e il suo Congresso: se non vi decidete a intervenire, passerò alla cancellazione. Non sembra impressionato dalla reazione preventiva dell'Iran: «Se Trump insiste saremo noi a cancellare l'accordo», nè dall'Ue che come sempre invita alla prudenza. L'accordo contiene di fatto degli errori impensabili, dettati dal timore di Obama di arrivare alla rottura: l'impossibilità dell'agenzia atomica I'Aeia di verificare lo stato dell'arricchimento dell'uranio perché è esclusa dalla visita agli impianti militari; la previsione che l'accordo si esaurirà fra meno di tredici anni restituendo all'Iran la corsa alla bomba; non comprendendo nell'accordo i missili balistici destinati al trasporto di testate atomiche. L'accordo quindi, ha avuto la caratteristiche di ringalluzzire le ambizioni degli ayatollah e della Guardia Rivoluzionaria (segnata da Trump a dito per sanzioni), un insieme violento, antidemocratico, persecutorio nei confronti dell'Occidente che vuole schiacciare secondo i dettami islamici più estremi. Obama temette di chiedere a Teheran qualsiasi rinuncia seria (è mai possibile ritenere 15 anni un tempo ragionevole per cessare dalla costruzione dell'atomica?), rispondendo al fanatismo con il pacifismo. Questo ha impedito di vedere quello che Trump ha denunciato ieri: l'Iran è un paese terrorista che ha interesse a restare tale, e agisce contro gli interessi americani e di tutto il mondo. In Siria, in Libano, in Iraq, in Yemen, in Iraq, l'Iran suscita guerre come quella che gli consente ora dalla Siria di minacciare la vita di Israele. Le minaccia di morte a Israele e all'America è l'inno di guerra delle piazze di Teheran. I Paesi Sunniti tutti, i più quieti e amici dell'Occidente, si sentono traditi e fuggono dal rapporto con gli Usa per approdare alla Russia e alla Cina. Trump vuole dunque cambiare gli accordi, anche per il danno economico procurato al suo paese dal flusso di danaro manipolato dall'Iran, speso in armi e guerra. Trump non cancella l'accordo, ma lo mette nelle mani del congresso perchè sia l'assemblea elettiva degli Usa a stabilire se le sanzioni debbano tornare a definire il rapporto con la gli ayatollah. E un'inversione a «U», un ritorno dell'America sulla scena mondiale, una posizione anche morale contro un Paese che perseguita i dissidenti, impicca gli omosessuali e prevede la lapidazione delle donne. Anche la fuoriuscita dall'Unesco è una dichiarazione di guerra all'unilateralismo delle istituzioni internazionali. Le critiche sono molto serie, e altrettanto possono essere le conseguenze. L'Iran si può mettere di nuovo ventre a terra a costruire la bomba; l'Europa, almeno in queste settimane, sarà il difensore d'ufficio dell'accordo, e anche Putin è contro gli Usa. Ma questo è il prezzo dei cambiamenti in corso. L'accordo è pericolosissimo, mezzo mondo lo sa: l'altra metà, lo nega, come accadde col Nord Corea.

La Stampa-Paolo Mastrolilli: " Trump: Nuove sanzioni all'Iran. Ma non cancella l'accordo sul nucleare"

Vero, l'accordo non è ancora cancellato, ma messo in crisi sì. Le parole di Trump rispecchiano la realtà, bene ha fatto Mastrolilli a citarle, attitudine accuratamente evitata sui nostri media.
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Paolo Mastrolilli

 «L’Iran è il più grande sponsor mondiale del terrorismo», e la comunità internazionale dovrebbe unirsi agli Usa per costringerlo a cambiare. Così il presidente Trump ha giustificato la nuova politica verso Teheran annunciata ieri, che include il primo passo per decertificare l’accordo nucleare, ma si estende anche ad altre iniziative finalizzate a contrastare la Repubblica islamica, come le nuove sanzioni contro la Guardia rivoluzionaria. Il capo della Casa Bianca ha detto che l’Iran è governato da un «regime fanatico», elencando tutti i torti commessi, dall’attacco all’ambasciata americana durante la rivoluzione, fino all’appoggio di Assad oggi. Le sanzioni internazionali avevano portato Teheran sull’orlo del collasso, ma Obama le ha tolte, firmando «uno dei peggiori accordi di sempre». L’Agenzia internazionale per l’energia atomica ha certificato in più occasioni che la Repubblica islamica lo sta rispettando, ma secondo Trump «ha commesso violazioni multiple», ad esempio sulla produzione di acqua pesante, le centrifughe, le intimidazioni agli ispettori. Poi «molte persone credono che l’Iran stia collaborando con la Corea del Nord. Chiederò all’intelligence di fare un’analisi approfondita e riportarmi i risultati». Un proposito che ricorda la caccia alle armi di distruzione di massa di Saddam da parte di Bush, e apre la porta a scenari più gravi delle sanzioni. Per tutte queste ragioni Trump ha annunciato «una nuova strategia per affrontare le azioni distruttive dell’Iran». I punti sono quattro: contrastare il suo supporto al terrorismo, imporre nuove sanzioni, fermare la proliferazione missilistica che viola lo spirito dell’intesa di Vienna, e negare ogni accesso alle armi nucleari. Il primo passo concreto sono le nuove misure contro la Guardia rivoluzionaria, che però è stata inserita nella lista delle organizzazioni terroristiche solo dal dipartimento al Tesoro, non da quello di Stato, per non compromettere eventuali collaborazioni nella lotta a nemici comuni tipo l’Isis. Il secondo passo è la decertificazione dell’accordo nucleare, senza però abbandonarlo. Qui è necessario un chiarimento: Trump non ha liquidato il Jcpoa, cioè il piano di implementazione firmato con Iran, Russia, Cina, Francia, Germania, Gran Bretagna e Unione Europea, ma ha agito sulla legislazione interna americana varata per applicarlo. Dopo la firma dell’accordo il Congresso, escluso dalla ratifica, aveva approvato l’Iran Nuclear Agreement Review Act (Inara), che obbliga il presidente a certificare ogni tre mesi se Teheran sta rispettando i suoi impegni. Il capo della Casa Bianca ieri ha deciso di non dare questa certificazione, ma non ha chiesto al Parlamento di reimporre le sanzioni, perché ciò farebbe saltare il Jcpoa. Il capo del Pentagono Mattis e il segretario di Stato Tillerson lo hanno convinto ad evitare questa accelerazione, perché non è nell’interesse nazionale, soprattutto ora che devono già gestire la crisi nordcoreana. Lui ha sollecitato invece il Congresso a rivedere l’Inara per renderlo più stringente, inserendo dei «trigger», grilletti che farebbero scattare le sanzioni se l’Iran li violasse. In particolare Trump chiede che la nuova legge sia a tempo indeterminato, scavalcando quindi la clausola «sunset» che fa scadere il Jcpoa in 15 anni, e imponga nuove misure se Teheran continua i test missilistici, o arriva in condizione di costruire l’atomica entro un anno. In questo modo il presidente può sostenere di aver mantenuto la promessa elettorale di cancellare l’accordo, senza però cancellarlo davvero. Il problema è che per far passare la nuova legge gli servono 60 voti al Senato, e quindi ha bisogno dei democratici, che ha minacciato così: «Se non sarà possibile approvarla, terminerò immediatamente l’intesa nucleare». Giovedì sera però Tillerson aveva detto che «se il Congresso non passerà le nuove misure, resteremo dentro il Jcpoa». La Russia ha criticato l’annuncio di Trump, mentre l’Arabia lo ha condiviso. La cancelliera tedesca Merkel, il presidente francese Macron e la premier britannica May, firmatari europei dell’intesa, hanno risposto con una bocciatura congiunta: secondo loro l’Iran sta applicando l’accordo, e restano impegnati a rispettarlo. E l’Alto rappresentante per la politica estera della Ue Mogherini ha aggiunto che il presidente Usa non può cancellare una risoluzione del Consiglio di sicurezza Onu.

La Stampa-Giordano Stabile: "I pasdaran pronti alla guerra 'possiamo colpire le basi Usa' "

L'accordo con l'Iran dovrebbe garantire la pace?  Certo, come il Trattato di Monaco, che poi portò alla 2a guerra mondiale. Il pezzo di Stabile ci ricorda invece il vero Iran, quello della minaccia nucleare, non solo verso Israele ma contro il mondo intero. Trump non è Eisenhower, nè gli altri eletti dopo. Se escludiamo Reagan, che contribuì a far implodere il comunismo sovietico, Trump è il solo fra i capi di stato occidentali a parlar chiaro. Non è con il buonismo che si combatte il terrorismo, come scrive oggi Fiamma Niresntein. Il nemico va sconfitto, soltanto dopo la pace è possibile.

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Giordano Stabile

Ecco il pezzo:

Qassem Suleimani, leader delle forze d’élite dei pasdaran, gli Al-Quds, è l’uomo che ha scompaginato i piani degli americani in Medio Oriente. Nel 2008, durante la guerriglia contro le forze statunitensi in Iraq, condotta dai sunniti quanto dagli sciiti, si è guadagnato il soprannome di «viceré dell’Iraq». Ora il titolo andrebbe esteso alla Siria e al Libano, dove la sua influenza è cresciuta in modo esponenziale negli ultimi sei anni. Il comandante «è come l’acqua», spiega un ufficiale di Hezbollah, «si infila appena vede un fessura strategica». La grande fessura, una voragine, l’ha scavata per lui l’Isis nel 2014. Uno degli obiettivi del califfo Abu Bakr al-Baghdadi era cancellare i confini di Sykes-Picot e creare un impero sunnita. Adesso, con lo Stato islamico ormai quasi sconfitto, le frontiere fra Libano, Siria, Iraq sono destinate a rimanere, sulla carta. Ma sul terreno si è creato un grande spazio libero, dove operano senza ostacoli, dal Mediterraneo all’Iran, le forze paramilitari costruite da Suleimani. È questa forza, flessibile e poco controllabile, a dare sicurezza (a volte supponenza) ai pasdaran. Se il presidente iraniano Hassan Rohani ha usato il fioretto nella sua replica a Donald Trump, accusato di ignorare «storia, geografia e diritto internazionale», e di aver dimenticato «il golpe della Cia» contro il premier Mohammad Mossadegh nel 1953 e l’appoggio americano a Saddam Hussein nella guerra Iran-Iraq. Il presidente ha poi aggiunto che Teheran continuerà «a rafforzare le nostre capacità di difesa». Mentre il leader del «Corpo delle guardie della rivoluzione islamica» (pasdaran significa «guardie»), Mohammed Ali Jafari, ha minacciato rappresaglie con i missili «sulle basi americane» e di considerare l’esercito statunitense «un’organizzazione terroristica». Ma dietro alle sparate propagandistiche c’è l’azione di Suleimani. Già lo scorso luglio il comandante ha chiamato il premier iracheno Haider al-Abadi. «Dì ai tuoi amici americani – è il succo della conversazione – che in Iraq ci sono 100 mila combattenti ai miei ordini e che se loro ci attaccano in Siria io posso trasformare l’Iraq di nuovo in un inferno». L’avvertimento è valido anche adesso. L’Iran ha uno stretto controllo su almeno metà delle milizie sciite irachene, al-Hashd al-Shaabi. Ai centomila uomini in Iraq, vanno sommati altri cinquantamila in Siria, fra siriani, iracheni, sciiti afghani e pachistani, e altrettanti di Hezbollah in Libano. In tutto quasi il doppio dei pasdaran iraniani, 125 mila, compresi i 25 mila che operano nei reparti missilistici e nel Golfo Persico. Secondo l’antiterrorismo americano le forze sciite fuori dall’Iran vanno considerate «parti integranti» dei pasdaran: siamo quindi di fronte a oltre 300 mila combattenti. Lo stretto controllo iraniano è vero per l’ala militare dei movimenti sciiti, ma non va dimenticato che Hezbollah, ma anche molte milizie degli al-Hashd al-Shaabi in Iraq, possiedono un’ala politica, sono radicati sul territorio, hanno rappresentanti in Parlamento e nei governi libanese e iracheno. Sono questi aspetti che rendono la «guerra ibrida» praticata da Suleimani molto efficace. Le milizie riescono a reclutare giovani anche perché in cambio danno servizi gratuiti, ospedali e scuole superiori. La leadership dei pasdaran non intende però andare allo scontro diretto con le forze militari americane in Medio Oriente. Ci potrebbero essere «scherzetti», soprattutto nella zona di Al-Tanf in Siria, un posto di frontiera con Iraq e Giordania controllato dalle forze speciali americane. Una pratica consolidata per i pasdaran, che provocano e «testano» spesso con i loro barchini veloci le unità della Marina americana nel Golfo Persico. L’altro punto dove le milizie sciite potrebbero alimentare le tensioni è il fronte di Kirkuk in Iraq. Qui la potente milizia Kataib Imam Ali è arrivata a contatto con i peshmerga curdi a Sud della città e ieri ha occupato alcuni check-point. Colpire i curdi, i più affidabili alleati degli Stati Uniti nella regione, è una possibile ritorsione. Ma la pressione più grande è sull’alleato strategico di Washington, Israele. L’ufficiale di Hezbollah fa notare che con gli sviluppi della guerra in Siria ora l’ampiezza del fronte fra la milizia libanese e le forze israeliane «non è più di cento chilometri ma di trecento». Come dire, possiamo infiltrarci più facilmente. Hezbollah è già finito nel mirino nella nuova strategia anti-Iran di Trump, e sulle teste di due comandanti, Talal Hamiyah, il capo delle «operazioni estere», e Fuad Shukr, sono state messe taglie di sette e cinque milioni di dollari. «Come mettere una taglia su due fantasmi», è la replica.

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