Benjamin Netanyahu e la diplomazia nello scacchiere mediorientale Commento di Cosimo Risi
Testata: Panorama Data: 12 ottobre 2017 Pagina: 26 Autore: Cosimo Risi Titolo: «I giri di valzer di Benjamin Netanyahu»
Riprendiamo da PANORAMA di oggi, 12/10/2017, a pag. 26, con il titolo "I giri di valzer di Benjamin Netanyahu", il commento di Cosimo Risi, che sintetizza la complessa situazione sullo scacchiere mediorientale e le mosse diplomatiche di Benjamin Netanyahu. Dal titolo, con la frase 'giri di valzer' che viene usata abitualmente in senso negativo, si poteva presumere un testo altrettanto negativo. Invece la colpa è da attribuire al titolista, che forse non ha letto bene il testo.
Ecco l'articolo:
Benjamin Netanyahu ha maturato l'arte del guardarsi attorno per volgere le occasioni di crisi a favore d'Israele. E ciò senza che lo Stato si debba impegnare in conflitti tranne, probabilmente, quello a bassa intensità con Hezbollah in Libano. In Medio Oriente, la Russia prova a rinverdire i fasti della vecchia alleanza fra l'Urss e il nazionalismo panarabo del partito Baath (denunciata nel 1974 dal presidente egiziano Anwar al Sadat, quando si schierò con Washington). In Siria, invece, prima Hafez al Assad e poi il figlio Bashar al Assad si sono valsi della presenza russa per tener in piedi il regime alauita. Nel 2015 la Russia ha dislocato nella base siriana di Khmeimim le forze d'attacco ai ribelli contrari ad Assad, in funzione anti-Isis. Netanyahu s'è subito recato a Mosca per il primo di una serie di colloqui (cinque in due anni) con Vladimir Putin, a cui ha chiesto di bloccare la concessione all'Iran di basi in Siria e l'apertura del «corridoio sciita» dall’Iran al Libano. In subordine, il premier ha auspicato una fascia protettiva di 60 km dal confine, dove siano interdette le attività contro lo Stato ebraico.
Nell'immediato, ha attivato con Mosca una sorta di telefono rosso con cui i rispettivi stati maggiori si coordinano per evitare incidenti sul terreno. E la Israeli Air Force interviene in Siria contro obiettivi militari senza che scatti la reazione siriana o russa. L'asse sciita a guida iraniana si è consolidato grazie alle intese di Astana, sponsorizzate dalla Russia. All'asse si è associata la Turchia, che guarda a Mosca con qualche interesse. Come risposta, Israele ha contrapposto la convergenza con l'asse sunnita. La politica di buon vicinato con l'Arabia Saudita si è consolidata per la comune avversione verso l'Iran. Sentimento cresciuto in misura inversamente proporzionale alla normalizzazione dei rapporti fra Washington e Teheran dopo l'accordo sul nucleare e la fine delle sanzioni. La polemica di Donald Trump verso l'Iran conforta sunniti e israeliani, che considerano l'Iran una teocrazia volta all'egemonia regionale. Tanto che a settembre il principe ereditario del Regno saudita Mohammad bin Salman (nonché ministro della Difesa) si è recato in Israele. E il principe ereditario del Bahrein Nasser bin Hamad al Khalifa ha visitato il Centro Simon Wiesenthal di Los Angeles, esprimendo cordoglio per la Shoah.
Il Bahrein, Paese a maggioranza sciita retto da una famiglia reale sunnita, fiancheggia Riyad nella disputa con il Qatar per la sua vicinanza all'Iran. Sempre a settembre, Netanyahu ha incontrato per la prima volta a New York il presidente egiziano Abdal Fattah al Sisi. I due hanno deciso di rispedire i rispettivi ambasciatori nelle sedi da cui li avevano richiamati mesi addietro. Intanto, Hamas e al Fatah hanno riaperto il dialogo per restituire la Striscia al controllo dell'Autorità palestinese, il cui premier Rami Hamdallah ha convocato la riunione di gabinetto a Gaza, dove è stato accolto dai dirigenti di Hamas, per la prima volta da tre anni. Può essere il primo passo della riconciliazione che, se Gaza fosse ricondotta alla logica del compromesso, alla lunga favorirebbe Israele. Mentre incamera la decisione dell'Interpol di ammettere la Palestina come membro, Mahmud Abbas non pare escludere soluzioni diverse da quella di due popoli-due Stati, Netanyahu si inserisce nella dinamica diplomatica per ottenere risultati senza concedere granché alle controparti. Perché, in definitiva, può contare sul fatto che Donald Trump non è Barack Obama.
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