lunedi` 25 novembre 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


Clicca qui






Informazione Corretta Rassegna Stampa
10.10.2017 La Palestina nel mondo del dopoguerra, come prefigurata da Ben Gurion nel 1942
Un documento storico di grande interesse- prima parte

Testata: Informazione Corretta
Data: 10 ottobre 2017
Pagina: 1
Autore: David Ben Gurion
Titolo: «La Palestina nel mondo del dopoguerra»

La Palestina nel mondo del dopo guerra
Discorso tenuto a David Ben Gurion, capo dell’Esecutivo della Agenzia Ebraica al Congresso straordinario Sionista in New York il 9-5-1942

Un documento storico poco conosciuto, anche se di grande interesse, che riprendiamo per i nostri lettori.

A cura di Giorgio Pavoncello

Prima parte (domani la seconda e ultima)

Immagine correlata
David Ben Gurion

Questa guerra, che è una guerra civile e coinvolge tutta la razza umana, mette di fronte con una spietata legge di sopravvivenza, tutti i popoli, le diverse civiltà, le istituzioni politiche, le varie aspirazioni. Il nostro popolo è stato scelto dal nemico nazista per una completa distruzione, ma noi speriamo di poterci risollevare da questa lotta conservando intatta la nostra integrità. Il Sionismo si troverà allora di fronte alla più ardua e dura di tutte le prove : l’adempimento della sua missione. In due aspetti vitali la posizione del Sionismo sarà del tutto differente da quella in cui si trovò nel passato dopoguerra. Infatti la situazione sia del popolo ebraico che della terra d’Israele è completamente cambiata. Dopo l’ultima guerra quando l’Inghilterra, l’America e le altre due democrazie occidentali quali erano allora l’Italia e la Francia risolsero di cancellare una storica ingiustizia e riconobbero il diritto del popolo ebraico a ristabilirsi nella sua antica terra, la posizione degli Ebrei, anche nei paesi dove avevano maggiormente sofferto, non era così disperata e tragica come essa sarà alla fine di questa guerra. Sembrava allora che il nostro compito di ricostruire la Palestina, per assorbire nuovi coloni, potesse procedere senza eccessiva fretta. Dopo questa guerra le misure e l’urgenza di una emigrazione ebraica sarà tanto impellente da non trovare riscontro in nessun altro periodo storico. La vecchia questione, se il Sionismo è un movimento spirituale o politico, è ormai tramontata; o il Sionismo troverà una soluzione radicale e rapida per l’urgente bisogno degli Ebrei sradicati ed erranti e, con l’immigrazione di masse e la colonizzazione getterà le basi di una Palestina ebraica libera e autonoma, o esso avrà fallito il suo scopo. Nell’ultima guerra nè la Palestina, nè la Siria, nè l’Iraq esistevano come entità politiche poiché, come gran parte dell’Arabia, esse erano comprese nell’Impero Ottomano. Sotto il governo turco per 400 anni la Palestina non ha avuto nè popolazione turca, nè una cultura turca. Era praticamente un paese di cui tutti si disinteressavano eccetto gli Ebrei, che non cessarono mai, durante tutti questi secoli, di considerarla come terra d’Israele. Ora ci troviamo di fronte ad una differente situazione perchè alcuni fra i paesi limitrofi sono diventati regni arabi indipendenti e la Palestina è contesa come parte di un impero arabo. La riorganizzazione del dopo-guerra dovrà dare alla Palestina un assetto in un modo o nell’altro. Il successo del Sionismo si basa su due problemi, uno economico e l’altro politico. Comincerò con quello economico : il cosiddetto problema della capacità di assorbimento.

Immagine correlata
Pionieri ebrei in un kibbutz

Quanti Ebrei può ospitare la Palestina?
Fin dall'ultima guerra la Palestina ha accolto molti più Ebrei profughi di qualsiasi altro paese e in certi periodi durante i quali era rallentata l’arbitraria limitazione per l’immigrazione, ne accolse ancora più di tutti gli altri paesi riuniti. Data però la vastità del problema dei profughi ebrei sorgerà naturalmente dopo questa guerra la domanda : Quanti Ebrei si potranno sistemare in Palestina su una sana base economica ? Nessuno può seriamente dare una risposta in termini matematicamente precisi, poiché la scienza non ha ancora scoperto e credo non potrà mai scoprire un metodo sicuro che preveda quante persone possano stabilirsi in una data area di un paese. Quella che si chiama capacità di assorbimento non è una quantità fissa e stabile, ma una quantità fluttuante e dinamica che dipende dal fattore umano più che dalla natura e dall’estensione del terreno. Tra gli elementi umani niente è più decisivo del bisogno e il nostro disperato bisogno è un fattore molto forte per la creazione della capacità di assorbimento. Un secondo elemento è la nostra abilità creativa, la nostra iniziativa e il nostro coraggio di pionieri; importante è anche il nostro profondo amore e devozione verso la nostra terra. Un fattore decisivo è poi il regime del paese, le condizioni politiche sociali ed amministrative che agiscono sull’immigrazione e sulla colonizzazione ebraica. Il problema economico può essere discusso per tre punti : agricoltura, industria e mare.

L’ Agricoltura
Il potenziale sviluppo dell’agricoltura è certamente determinato dalla estensione del paese e dalla quantità del terreno capace di assorbire una quantità crescente di coloni: ma anche la terra non è una quantità fìssa e immutabile dal punto di vista della colonizzazione, perchè, sebbene ci siano due dimensioni che non possono essere aumentate, la lunghezza e la larghezza, c’è anche una terza dimensione, la fertilità di produzione, che può essere intensificata, come è stato dimostrato in Palestina. Alla conferenza palestinese di Londra nel 1939, la delegazione araba rese pubblica una relazione che dimostrava come in tutta la Palestina occidentale vi fossero soltanto 7 milioni di dunams (1) di terra coltivabile. L’intera superficie del paese è di 26 milioni e mezzo di dunams e quindi secondo gli Arabi 19 milioni di dunams sono inutilizzabili e certamente non sfruttati dagli Arabi. La pratica ha dimostrato che ciò che non è coltivato e considerato incoltivabile dagli Arabi è invece coltivabile e coltivato dagli Ebrei. Infatti una larga parte della zona sistemata dagli Ebrei appartiene a un territorio considerato una volta incoltivabile : le sabbie di Rishon le Zion, le paludi di Hedera, le rocce di Motza, le colline pietrose di Hanita, esempio ancora più evidente, la più estesa zona malarica della Palestina, il bacino di Hulech, che è stato classificato non soltanto dagli Arabi, ma anche dal Governo come zona incoltivabile, si sta ora tramutando per opera dei nostri pionieri nella zona più prospera e produttiva della Palestina. Gli Ebrei dovettero non solo acquistare terreno, ma prosciugare, seccare, rimboscare, fertilizzare e ovunque fu possibile, trovare acqua, irrigare. In questo modo, con l’introduzione di metodi moderni di coltivazione intensiva, macchinari moderni, razze nuove di bestiame e pollame, nuove piantagioni e sementi, rotazione di colture e utilizzando l’acqua sia in superficie che nel sottosuolo nel modo più vantaggioso, valorizzarono la terra per la colonia e ne aumentarono i proventi a tal punto da poter saldamente accrescere il livello della vita e ridurre gradatamente nello stesso tempo la quantità di superficie necessaria per vivere per una famiglia dai 250 dunams dello stadio iniziale a 100 in zone di pianura non irrigate, 50 nelle zone montagnose dove furono piantati alberi da frutteto, 20 e 25 dunams in zone irrigate. Nei distretti essenzialmente arabi la popolazione araba rimase presso a poco stazionaria, laddove nella zona della colonizzazione ebraica essa aumentò considerevolmente. Il livello economico degli Arabi crebbe ed essi utilizzarono i migliori metodi di coltivazione dei loro vicini Ebrei. Per gli scopi della colonizzazione agricola, la Palestina occidentale può essere convenientemente divisa in quattro zone: la pianura comprendente 4.602.900 dunams: le colline 8.088-000; il Neghev {Palestina del Sud) 12.577.000; il deserto di Giudea 1.050.900. Nella pianura circa 3.560.000 dunams sono irrigabili (presentemente solo 350.000 sono irrigati). Un dunam irrigato produce infine più di 10 dunams non irrigati; ogni milione di dunams se compieta- mente irrigato, può accogliere dai 25.000 ai 30.000 nuovi coloni, lasciando così posto sufficiente ai primi abitanti sia Ebrei che Arabi. Nella zona collinosa circa 450.000 dunams tuttora incolti sono considerati ufficialrnente non coltivabili ; fino a questo momento gli Ebrei hanno acquistato circa 350 000 dunams di tale « incoltivabile » terra e stabilito fiorenti villaggi sulle colline di Gerusalemme, Samaria, Galilea. Ancora altri 2.500.000 dunams di colline desolate possono essere valorizzati dagli Ebrei e dar posto ad altre 5.000 famiglie. Per quanto riguarda il Neghev, Sir John Hope Simpson, inviato dal Governo inglese nel 1930 per un estimo delle possibilità agricole della Palestina, riferì : « Date le possibilità di irrigazione c’è praticamente un’inesauribile provvista di terra coltivabile nella zona di Beersheba... » Fino ad ora non è sfato organizzato nessun saggio per accertare se c’è o no alcun pozzo artesiano. La Reale Commissione Palestinese del 1937 riferì che «fino alla data di questo rapporto risulta ohe pochissimo è stato fatto dal Governo per scoprire l’acqua in Palestina ». L’acqua fu scoperta dagli Ebrei in molte parti della Palestina dove non si credeva potesse trovarsi e l’opinione degli esperti della colonizzazione ebraica è che l’acqua per il Neghev può utilmente essere ricavata: 1) scavando pozzi artesiani; 2) costruendo dighe; 3) portando acqua dai fiumi del Nord (Yarkon, Giordano, Yarmouk, Litani). Ottenuta l’autorità necessaria e i mezzi per provvedere il Neghev di acqua sarà possibile a centinaia di migliaia di nuovi coloni di stabilirsi in questa contrada. Oggi il Neghev, che rappresenta metà della Palestina occidentale, è completamente deserto e vi vivono solo pochi Beduini girovaghi. L’esperimento della colonizzazione ebraica in Palestina ha dimostrato che per ogni famiglia di agricoltori almeno altre tre famiglie possono essere sistemate in industrie, commerci, e libere professioni.

Lo sviluppo industriale
Sebbene la Palestina manchi di alcune importanti materie prime, ha il vantaggio di una buona posizione geografica dato che può essere considerata come un ponte tra i tre continenti del vecchio mondo: Asia, Europa, Africa. Si può accedere facilmente al mare o attraverso il Mediterraneo e attraverso il Mar Rosso: ha l’inesauribile ricchezza mineraria del Mar Morto e possiede anche una propria energia elettrica. Possiede anche un vasto retroterra, 1 intera zona tra il vicino e medio Oriente fino all’India come mercato e quale sbocco sicuro per i suoi prodotti. Con 1 indiscussa capacità ebraica nell’avviare commerci in tutti i paesi non c’è ragione perchè la Palestina non diventi il centro industriale del Medio Oriente. Nel 1937 la Reale Commissione ammise: « Dodici anni fa la Sede Nazionale era solo un esperimento, oggi rappresenta qualche cosa di molto importante. Il numero degli abitanti è ora quadruplicato, il processo di colonizzazione agricola è continuato con fermezza, e anche più soddisfacente è stato lo sviluppo delle città. Tel Aviv, ancora oggi città del tutto ebraica, ha preso il primo posto tra le città della Palestina; la sua popolazione sorpassa ora probabilmente i 150.000 abitanti. Sorta così rapidamente da una sterile striscia di sabbia è proprio stupefacente... Lo stesso accade a Gerusalemme, la popolazione di Gerusalemme è aumentata fino a 125.000 abitanti dei quali 75.000 Ebrei. Lo sviluppo di Haifa, che ha ora una popolazione di circa 100.000 abitanti, è di poco inferiore a quello di Tel Aviv, circa una metà dei suoi abitanti sono ora Ebrei, molto del traffico del suo porto è traffico ebraico... Parlando chiaramente, lo straordinario sviluppo urbano in Palestina è stato ebraico. Il rapporto tra aree rurali e urbane, tra industriali e agricole, è rimasto completamente costante fin dal principio... Dal 1919 ad oggi più di 14 milioni di Lst. sono state investite in Palestina per mezzo del" Fondo Nazionale ” e 63 milioni di Lst. da industriali privati. L’investimento totale ammonta quindi a 77 milioni di Lst, e di questo un quinto rappresenta il contributo degli Ebrei di America. Ultimamente la somma dei depositi ebraici nelle banche palestinesi ammontava a 16 milioni e mezzo di Lst. Queste sono tutte cifre stupefacenti e sono quasi una prova della straordinaria misura dell’espansione economica ». Dopo di allora c’è stata un’ulteriore espansione : nuove industrie si sono sviluppate tessile, chimica, legno, metalli, elettricità, costruzioni, abbigliamento che forniscono il mercato nazionale e il vicino Oriente fino all’India. Solo nel 1941 più di 200 nuove imprese industriali sono state fondate.

II mare
La più recente impresa ebraica in Palestina è il mare. L’idea degli Ebrei come popolo marinaro può sembrare fantastica a quelli che li hanno conosciuti in Europa o in America. Anche 40 anni fa sembrava impossibile l’idea degli Ebrei coltivatori della terra : pure è avvenuto. Sei anni fa non c’era un solo Ebreo marinaio nei mari della Palestina quantunque i principali traffici e trasporti marittimi fossero ebraici. Il 15 maggio 1936 l’Alto Commissario della Palestina telefonò personalmente alla Agenzia Ebraica per dire che riconosceva la giustizia ed il nostro diritto a richiedere, poiché il Mufti aveva chiuso il porto di Giaffa, che noi dovessimo avere il permesso di scaricare a Tel-Aviv. Così, in una sola notte tu stabilito il principio di un porto ebraico. Migliaia di Ebrei divennero scaricatori di porto a Haifa e Tel- Aviv, e navi ebraiche governate da capitani e marinai ebrei traversarono i sette mari. Una tribù di lingua ebraica era stata la prima ad insegnare al mondo il commercio marittimo e la navigazione : il popolo di Tiro e di Sidone che fondò il grande impero di Cartagine. Vi furono poi anche corsari ebrei che combatterono con i Romani in una sanguinosa battaglia navale a Giaffa prima della caduta di Gerusalemme. Il popolo marinaio di Sidone e Tiro perì ma i discendenti di quegli Ebrei, che combatterono contro i Romani, sono tuttora viventi. Nulla impedisce che il trasporto delle navi e dei passeggeri per la Palestina sia fatto da bastimenti battenti bandiera ebraica. La Palestina è un piccolo paese, ma i suoi mari, il Mediterraneo e il Mar Rosso sono grandi e i marinai e pescatori ebrei li renderanno ancora più grandi, ed anche il popolo ebraico farà parte delle nazioni marinare del mondo. È bene anche aggiungere che gli Ebrei in Palestina hanno cominciato ad arruolarsi nell’aviazione civile ed ultimamente anche nell’aviazione militare.

Il problema arabo
Fra tutti i complicati problemi del Sionismo, che sono molti, quello nel quale esiste maggior confusione e malinteso è certamente quello che viene comunemente chiamato il problema arabo. Il primo punto da chiarire è che non esiste un problema arabo nello stesso senso in cui esiste un problema ebraico. Non c’è popolo arabo privo di territorio, nè necessità di migrazione araba. Anzi il contrario : gli Arabi sono una delle poche razze che, salvo minime eccezioni, sono concentrate nei loro propri territori. Sono in possesso di vaste contrade e, se soffrono per qualcosa, è di povertà piuttosto che di sovrabbondanza di popolazione. In una relazione presentata nel 1923 per la Reale Società Centrale Asiatica, Ja’far Pasha al Askari, allora Primo Ministro dell’Iraq, sosteneva: “L’estensione del paese è di 150 mila miglia quadrate, circa tre volte quella dell’Inghilterra e del Gallefe mentre la popolazione è soltanto di tre milioni... Ciò di cui l’Iraq abbisogna soprattutto è di maggior popolazione ». Lo stesso per la Siria. Tutti gli economisti siriani convengono che il numero limitato e gli inadeguati mezzi della popolazione siriana impediscono lo sviluppo in pieno del patrimonio produttivo del paese. La Transgiordania, grande quaisì quattro volte la Palestina occidentale, ha soltanto un quinto della sua popolazione. La scarsità di popolazione nei paesi arabi costituisce non soltanto un impedimento economico ma anche un grave pericolo politico come lo prova il caso di Alessandretta. Un secondo punto deve essere chiarito : l’immigrazione e la colonizzazione degli Ebrei nella Palestina non è stata fatta a spese degli Arabi. Questo è evidente nello sviluppo industriale e marittimo perchè non esiste in pratica industria araba ed il mare è completamente libero. Ma anche nell’agricoltura- o ci stabilimmo su terre ritenute incoltivabili, o, nel caso di terre coltivabili, noi ne aumentammo i prodotti a tal punto che la stessa superficie non soltanto può provvedere per una maggior quantità di coloni, ma rende possibile agli antichi coloni di godere un miglior livello di vita. Un’immigrazione in massa e una colonizzazione su più larga scala come possiamo aspettarci dopo . questa guerra, può essere effettuata senza necessità di rimuovere la popolazione presente. In alcuni ambienti l’idea del trasferimento degli arabi è avanzata come la soluzione ideale del problema palestinese. Per rendere però la Palestina capace di assorbire tutti gli Ebrei che si ritiene necessitino di una nuova casa nel dopo-guerra, non c’è alcuna necessità economica di questo trasferimento. Nell’Europa del dopo-guerra un riassestamento della popolazione può diventare necessario ed inevitabile. Nel periodo tra l’ultima guerra e questa avemmo un cospicuo esempio di trasferimento di popolazioni, come tra la Grecia e la Turchia. Di fatto vi fu un trasferimento di tutti i Greci dell’Asia Minore nella Grecia europea. La Siria e l’Iraq possono avere un interesse tanto economico che politico di potenziare la loro posizione nei riguardi dei loro vicini Turchi e Persiani trasferendo nuovi coloni arabi nelle loro campagne, e considerando la Palestina come ottimo materiale umano per il loro scopo. Questo è però soltanto un problema interno arabo nel quale noi possiamo, se richiesti dagli Arabi, portare il nostro aiuto, ma nel quale non possiamo nè dobbiamo prendere alcuna iniziativa. Non è questa una condizione per la colonizzazione ebraica su larga scala, ed è necessario ed opportuno che noi formuliamo tutti i nostri piani futuri per la ricostruzione palestinese presumendo che dobbiamo tenere conto della presenza di circa 1 milione di Arabi, dei loro diritti, e delle loro necessità. Non esiste alcun conflitto tra gli interessi economici della popolazione presente nel paese, ed i nuovi arrivati. Il fatto che il Muftì e i suoi seguaci e il Governo Chamberlain-Macdonald che cercò di portare pace, insistettero nell’affermare che il principio della capacità economica di assorbimento del paese non poteva e non doveva essere l’unica unità di misura per l’immigrazione ebraica, implica che gli Arabi, così come i redigenti del Libro Bianco (1), ammisero chiaramente che solo su di un piano economico c’è posto per una larga immigrazione ebraica per poter fare della Palestina ima terra Ebraica. Ciò che è comunemente chiamato il « Problema Arabo » significa nella realtà la Dichiarazione del Governo Britannico nel 1939, con la quale l’immigrazione ebraica veniva limitata fino all'anno 1944, e la questione dello statuto politico di Erez Israel rimandata al 1954. l’opposizione politica degli Arabi al l’immigrazione ebraica, in Palestina. Molti ignorando questa semplice seppur sgradevole verità, cercano di risolvere il « Problema Arabo » laddove non esiste. Una soluzione possibile sarebbe la creazione di uno stato a carattere binazionale. Se questo significasse soltanto che tutti gli abitanti della Palestina, Ebrei ed Arabi egualmente, debbano godere completa parità di diritti, non soltanto come individui ma anche come entità nazionali, ciò che significa il diritto al libero sviluppo della propria lingua, coltura, religione, allora nessun Ebreo e tanto meno un Sionista, potrà fare a meno di difendere questa causa: personalmente non sono però convinto che i capi Arabi sarebbero d’accordo su questa eguaglianza se fosse in loro potere di stabilire la costituzione. Quando il 12 gennaio 1937 la Reale Commissione chiese all’ex-Mufti come avrebbero trattato gli Ebrei, che già erano nel paese, se avessero avuto il controllo della Palestina, egli disse : « Sarà lasciato alla discrezione del Governo che deciderà del trattamento, secondo le condizioni più imparziali e benefiche per il Paese ». Quando gli fu richiesto se il Paese avrebbe potuto accogliere e assimilare i 400.000 Ebrei allora in Palestina egli rispose « No ». Il presidente fece allora notare : « Come dovrebbero essere allora allontanati, secondo il caso, pacificamente o con la forza?» L’ex-Mufti rispose: «A questo si penserà in futuro ». Sino ad ora nessun capo Arabo ha pubblicamente differito dall’ex-Mufti. Dobbiamo anche ricordare la dolorosa esperienza degli Assiri in Iraq la cui protezione era garantita dal trattato Anglo-Siriaco come dalla Lega delle Nazioni. Il trattato ancora esiste ed a quei tempi esisteva ancora la Lega delle Nazioni, ma gli Assiri furono massacrati. C’è chi trova la soluzione nella parità, o interpreta lo Stato binazionale come un organismo nel quale, senza tener conto della forza numerica degli Ebrei e degli Arabi, questi due popoli debbano essere rappresentati nelle principali istituzioni dello Stato, legislative ed esecutive, sulla stessa base. Sono stato uno di quegli che hanno sostenuto energicamente la parità tra Arabi ed Ebrei sotto il Mandato inglese. Ma non credo fattibile un regime di eguaglianza senza un mandato, nè che uno stato, che si governi da se, possa agire con un tale sistema che può significare un imbroglio senza fine. Fino ad ora nessun .capo Arabo ha acconsentito ad un principio di parità, con o senza mandato. Anche ammettendo che la parità e; lo Stato binazionale siano possibili, supponendo che acconsentano tanto Arabi che Ebrei, tutto ciò non risolverebbe in nessun modo il lato più importante del problema : l’immigrazione ebraica. L’esempio della Svizzera dove la difficoltà tra popoli di diverse nazionalità è stata soddisfacentemente risolta, non è applicabile in Palestina perchè il problema cruciale e l’origine di tutti gli attriti fra Arabi ed Ebrei non è tanto il problema degli Ebrei e degli Arabi che sono già in Palestina, ma quasi esclusivamente il problema di un’ulteriore immigrazione ebraica.

Il problema cruciale : l’immigrazione
Ci deve o non ci deve essere un’immigrazione ebraica? Questa è la questione. Nessuna soluzione, reale o immaginaria, per tutti gli altri problemi della Palestina ha importanza se non c’è una risposta chiara e precisa a questa semplice ma importantissima domanda. Hanno intenzione gli Arabi di acconsentire all’ immigrazione ebraica e a quali condizioni ? Non c’è niente di peggio che deludersi da se stessi. Dobbiamo guardare in faccia la realtà: se l’immigrazione ebraica in Palestina deve dipendere dal consenso arabo, difficilmente ci sarà un’immigrazione. È d’importanza vitale, sia politicamente che moralmente, che la nostra posizione in questa difficile questione sia chiara. L’immigrazione in Palestina non ha bisogno di alcun consenso. Torniamo perchè è nostro diritto: la storia, la legge internazionale, l’irresistibile necessità vitale del nostro popolo, queste tre cause hanno destinato la Palestina come la più giusta dimora per il popolo ebraico. Gli Ebrei non sono nè stranieri, nè intrusi, nè immigranti in Palestina: sono a casa loro. La storia, un ininterrotto attaccamento per migliaia di anni malgrado ogni vicissitudine, malgrado ripetute espulsioni, hanno fatto della Palestina la vera terra del popolo Ebraico. Ora come è un fatto storico che c’è in Palestina un milione di Arabi che a ragione si considerano figli di quel paese, ci faccia piacere o no. così pure è un fatto storico che la Palestina è stata ed è rimasta per più di 3000 anni Erez Israel per il popolo Ebraico. Questo è stato esplicitamente confermato dalla legge internazionale. Il Mandato per la Palestina stabilisce chiaramente che il riconoscimento fu concesso considerati i rapporti storici del popolo Ebraico con la Palestina e per i motivi che impongono di ricostruirvi la sede nazionale. Più. forte ancora che qualsiasi legge internazionale è la disperata vitale necessità di un popolo per il quale il ritorno in Palestina rappresenta l'unico mezzo di salvezza e di sopravvivenza tanto individualmente, per coloro che intendono stabilirsi in Palestina, quanto collettivamente per tutto il popolo Ebraico. Nessuna opposizione da parte degli Arabi, nessuno ostruzionismo, nessuna terroristica intimidazione, nessuna restrizione di Libro Bianco, nulla, sia legalmente che moralmente, impediranno agli Ebrei di tornare alla terra d’Israele: e se c’è ancora qualcuno che dubiti di ciò, la storia del « Patria » dello « Struma » e di altri bastimenti del genere lo comproveranno. Non c’è altra soluzione: Palestina o morte. Appena terminata questa guerra centinaia di 2 simili bastimenti salperanno per la Palestina. La nostra è una generazione pratica : le molte delusioni dell’ultima guerra e della pace successiva hanno reso il popolo, timoroso di troppe idealistiche illusioni, sobrio e pratico. Soltanto un visionario sognatore può chiudere gli occhi sulla . spaventosa, amara realtà dell’immigrazione ebraica dopo questa guerra, dell’incalzante bisogno per gli Ebrei della Palestina. Nessun’altra realtà in Palestina ha carattere di tanta urgenza e veemenza come quest’ondata irresistibile degli Ebrei verso la loro terra, ove si fondono armoniosamente le più profonde radici della nostra esistenza. Gli Arabi accetteranno l’immigrazione ebraica e si adatteranno alla realtà quando sarà in atto.

Il concordato arabo-ebraico del 1919
Quando dopo l’ultima guerra Inghilterra. America e le altre democrazie decretarono la ricostituzione della Sede Nazionale Ebraica in Palestina i rappresentanti degli Ara bi alla Conferenza della Pace furono d’accordo nell’accettare quella decisione. Essi inserirono la Palestina nel loro futuro schema dei paesi arabi. V’era Feisal, (in seguito re Feisal) figlio e rappresentante del re Hussein col quale l’Inghilterra negoziò durante la guerra. Egli firmò un accordo col Dr. Weizmann (3 gennaio 1919) nel quale era stabilito che :
1) L’instaurazione della Costituzione e Amministrazione della Palestina porta all’adozione di tutte quelle misure atte a garantire l’adempimento della Dichiarazione del Governo Inglese del 2 nov. 1917 (l).
2) Saranno prese tutte le misure necessarie per incoraggiare, stimolare su larga scala l’immigrazione degli Ebrei in Palestina e stabilire al più presto possibile gl’immigranti, favorendo la colonizzazione e la coltura intensiva del suolo». In una lettera inviata il 3 marzo 1919 a Felix Frankfurter a nome della Delegazione dell’Hegiaz è scritto: « Noi Arabi, specialmente gli intellettuali, consideriamo con la più profonda simpatia il movimento Sionista. Qui a Parigi la nostra deputazione ha piena conoscenza delle proposte che l’Organizzazione Sionista ha sottoposte ieri alla Conferenza della Pace e le consideriamo come giuste e ponderate. Faremo il nostro meglio, fin dove rientra nelle nostre possibilità, per portar loro il nostro aiuto: auguriamo di cuore agli Ebrei il ritorno a casa. Il movimento ebraico è nazionale e non imperialista. Il nostro movimento pure è nazionale e non imperialista. C’è posto in Siria per tutti e due. Crediamo infatti che l’uno non possa aver successo senza l’altro ». Ci fu anche una delegazione di Arabi della Siria che rappresentavano tutte le Comunità: i Musulmani, Cristiani, Ebrei fra questi c era Jamil Mardam più tardi Primo ministro della Siria. Nell’ultima parte della relazione davanti al Comando Supremo degli Alleati ;il 13 febbraio 1919 Chukri Ganem rappresentante in Capo del Comitato Centrale per la Siria disse : « Possiamo dire una parola sulla Palestina anche se il soggetto è scabroso. La Palestina è senza dubbio la parte meridionale del nostro paese e i Sionisti la reclamano. Noi abbiamo sopportato troppe sofferenze simili alle loro per non sentire il dovere di lasciar loro aperte le porte della Palestina. Tutti quelli che sono oppressi in qualche remoto paese siano i benvenuti. Lasciateli sistemare in Palestina, ma in una Palestina autonoma, unita alla Siria col legame della federazione. Una Palestina che goda un’ampia autonomia interna non è forse per loro sufficiente garanzia ? Se formeranno una maggioranza, potranno dettar legge ». E’ un fatto storico che quando la decisione fu presa non c era opposizione araba, ma ci fu perfino un esplicito consenso. Quando e perchè sorse questa opposizione ? Quando l’esecuzione fu affidata a gente che poco si curò del successo. L’amministrazione del Mandato in Palestina non aveva nè comprensione, nè giusta visione, nè simpatia, nè abilità per realizzare un compito così complesso e difficile, e cioè ricondurre in Patria gli Ebrei dispersi ovunque e sviluppare la Palestina per poterli accogliere. Alcuni dei capi Arabi in Palestina non tardarono ad accorgersi della riluttanza per dirla con un termine moderato — con la quale sia l’Ufficio coloniale che gli Addetti coloniali si facevano strumento di questa decisione. Essi immediatamente si valsero di queste esitazioni e pensarono che del resto questa decisione non doveva avere un significato realmente serio e poteva facilmente esser mutata.

La potenza mandataria fallisce: succedono gli Ebrei
Una Commissione Reale Britannica fu quella che biasimò i mezzi adoperati per realizzare la garanzia di una Sede Nazionale Ebraica e coniò la frase: ineseguibilità del Mandato. D’accordo o no con le argomentazioni di quella Commissione una cosa tuttavia può essere strenuamente di sputata: l’amministrazione inviata per eseguire il Mandato si dimostrò incapace a porlo in atto. Quantunque noi avemmo ed abbiamo ancora molte e 'frequenti controversie con la Potenza mandataria, alcune delle quali veramente tragiche ed amare, specialmente dopo la pubblicazione del Libro Bianco culminata nella controversia sull’esercito Ebraico in Palestina e lo « Struma », non possiamo dire che il fallimento nell’esercizio del mandato da parte dell’Amministrazione Britannica negli ultimi 20 anni sia dovuto al fatto che essi sono britannici. Ciò che la Peel Royal Commission chiamava « ineseguibilità del mandato » era inerente alla situazione del tutto unica, creatasi in Palestina : incompatibilità tra la natura del compito, e la natura dello strumento. L’amministrazione era composta di una burocrazia coloniale abituata a reggere paesi retrogradi, a trattare con popoli primitivi e il cui compito principale era di preservare l’ordine preesistente il più a lungo possibile. In Palestina si trovarono di fronte una organizzazione evoluta e progressiva, e in tutto ciò che riguardava gli Ebrei con una situazione dinamica che richiedeva costante iniziativa, energia creativa ed una tensione continua : è più che umano che questi incaricati si sentissero più disposti a trattare con gli Arabi e amministrare questi con, i quali potevano continuare a mantenere lo status-quo delle loro abitudini coloniali. Dopo questa guerra per venire incontro alla necessità delle migrazioni ebraiche sarà necessaria una totale migrazione. Ciò richiederà un largo sborso di capitali da fonti governative. Per un compito di così vasta portata è indispensabile un nuovo regime politico, legale ed amministrativo, che cooperi al massimo sviluppo delle risorse del paese coordinandole coll’assorbimento degli emigranti nel più breve tempo. Le leggi fondamentali del paese, terra e distribuzione dell’acqua, legislazione del lavoro e contributi fiscali, norme di traffico, tutto deve essere totalmente cambiato per adeguarsi alle necessità di una colonizzazione intensiva, al rapido sorgere delle industrie, al pullulare di città e villaggi. Non le leggi soltanto, ma la loro quotidiana amministrazione deve essere guidata e ispirata dallo scopo saldo e incrollabile della ricostruzione del paese e dell’assorbimento degli emigranti su larga scala. Soltanto un’amministrazione ebraica può riuscire nell’intento; un’amministrazione che si identifichi totalmente con le necessità e gli scopi dei coloni ebrei ed interamente devota alla rinascita del Paese. L’emigrazione ebraica su larga scala porterà in futuro ad una sempre crescente maggioranza ebraica in Palestina e all’attuazione del Governo Autonomo Ebraico. Passando in rivista la storia di questi ultimi venti anni e tenendo conto degli obblighi che avremo nell’immediato dopo-guerra, la nostra prima conclusione è che il Mandato debba essere affidato al medesimo popolo Ebraico. Con ciò non intendo il primitivo Mandato di venti anni fa: l’intero sistema dei mandati è finito. Ma la responsabilità e la necessaria autorità governativa per ricostruire il Paese ed assicurare agli Ebrei il ritorno nella terra natia, deve essere affidato al popolo Ebraico. E prima di tutto l’immigrazione e la colonizzazione sarà gestita dalla Jewish Agency che agirà per il benessere dei coloni e degli emigranti.

Tre principi
È prematuro ora formulare un piano dettagliato per la costituzione della Palestina dopo la guerra e cercare risposte a tutte le questioni che sorgeranno. Tuttavia è possibile e necessario stabilire i principi più essenziali che debbono guidarci, e per il compito politico che spetta al Sionismo per l’educazione degli Ebrei e la pubblica opinione in America, Inghilterra, Russia e. altri paesi riguardo una soluzione sionistica del problema ebraico, e per la soluzione sionistica del problema della Palestina. Questi principi sono tre :

I. Una chiara e inequivocabile riaffermazione dello scopo originale della Dichiarazione Balfour sul Mandato, nell’intento di ristabilire la Palestina come uno Stato Libero Ebraico come fu chiaramente detto dal Presidente degli Stati Uniti d’America il 3 marzo 1919.

II. L’Agenzia Ebraica per la Palestina come Commissaria per i probabili immigranti e coloni dovrà avere il controllo assoluto sull’immigrazione ebraica e deve essere rivestita dell’autorità necessaria per lo sviluppo e la ricostruzione del Paese, compreso lo sfruttamento delle terre non occupate e non coltivate.

III. Eguaglianza completa sia civile che politica e religiosa a tutti gli abitanti della Palestina: governo autonomo per gli affari municipali — autonomia per le differenti comunità, Ebraica ed Araba - per ciò che concerne il disbrigo di tutti i loro affari interni — educazione, religione. Che poi la Palestina rimanga separata o si associ ad una più vasta compagine politica — Federazione del Medio Oriente, Libero Stato di Nazioni Britanniche, Unione Anglo-Americana o qualsiasi altro più vasto raggruppamento — ciò dipenderà dalle circostanze e da uno sviluppo che non può essere determinato da noi nè previsto presentemente, ma ciò non costituisce un problema Ebraico o palestinese speciale. Faremo anche noi parte del mondo nuovo e del nuovo ordine che credo uscirà vittorioso da questa guerra. Quali che siano però i legami costituzionali della Palestina Ebraica cogli altri paesi, dovrà esserci pronta e continua buona volontà per una stretta collaborazione; con gli Arabi della Palestina come con tutte le altre vicine contrade. Tolta da un lato la spina di dover contenere con una regolata decisione internazionale L’immigrazione ebraica e assicurando dall’altra il controllo ebraico sulla propria immigrazione, non vi sarà più alcun serio motivo per rinunciare alla speranza di una cooperazione Ebraico-Araba. Il Sionismo in atto significa ricostruzione del paese e dello Stato. Molti erano coloro che pur ammettendo la bellezza e la giustizia degli ideali sionistici, il diritto del popolo Ebraico ad una propria libera esistenza nazionale in perfetta eguaglianza con gli altri popoli, non riconoscevano davvero agli Ebrei la capacità di diventare nuovamente; Nazione e ristabilirsi in Stato indipendente. Non potevano pensare che gli Ebrei che nel corso di tanti secoli si erano a poco a poco snazionalizzati, strappati al loro paese di origine, segregati in città, ristretti ad un numero molto limitato di occupazioni e commerci, che avevano perduto l’uso della lingua avita e rallentato ogni vincolo nazionale, che restavano Ebrei nella maggior parte perchè non avrebbero potuto diventare qualcosa di diverso — potessero di nuovo formare una nazione, ricostruire un Paese e plasmare di nuovo un’economia ed una cultura indipendenti. Non si poteva dire che fosse un argomento ozioso perchè colpiva proprio quelli che prevedevano la sua realizzazione. La idea e la visione del Sionismo potevano sembrare semplici, naturali e necessarie ma quando si trattava di tradurre in realtà c’era immediatamente da fronteggiare ostacoli innumerevoli e difficoltà quasi insormontabili, poiché imponeva non soltanto il trasferimento di un popolo ma la sua completa trasformazione — non solo il ritorno in un paese, ma la sua ricostruzione. Quale popolo poi ! Quale Paese ! Bisognava rifare gli Ebrei e rifare l
http://www.informazionecorretta.it/main.php?sez=90


Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT