Riprendiamo dal SOLE24ORE-DOMENICA di oggi, 08/10/2017, a pag.32 con il titolo " Yiddish in Padania " la recensione di Giulio Busi al libro "L'ultimo traduttore, Jacob Alpron tra yiddish e italiano",Il Prato ed. Saonara (PD) euro 18.
Giulio Busi
La letteratura e le arti figurative del Novecento ci hanno abituato a considerare l'yiddish una lingua della distanza, parlata da spiritati maestri chasidici, in sperduti villaggi dell'Europa orientale. Suoni frammisti di tedesco ed ebraico, esotici, remoti e imprendibili come i rabbi che volano a mezz'aria nei dipinti di Chagall. Ma in ogni storia di diaspora che si rispetti, vicino e lontano, spaesamento e quotidianità si sovrappongono e s'accavallano, e così anche lo yiddish-colloquiale, letterario, stampato - è capace di arrivare sin davanti alla porta di casa nostra. Tra Quattro e Cinquecento, questo dialetto proteiforme, adattabile, per lo più povero e solo raramente opulento, attecchisce tra le comunità ebraiche dell'Italia settentrionale. Crepitano, le voci giudeo-tedesche, come legni d'un fuoco furtivo, brillano e si spengono nel giro di qualche generazione. Il XVI secolo è l'epoca d'oro della tipografia ebraica nella Penisola, e sotto i torchi s'infilano, oltre alle austere e venerate opere nella lingua santa, anche più modeste e bonarie operette yiddish.
È una produzione minore e popolareggiante, rivolta innanzitutto alle donne, che non sono in grado, per mancanza d'istruzione, di affrontare i grandi tomi rabbinici. Venezia, Padova, Mantova, Cremona, la geografia dell'yiddish si concentra nel vasto bacino padano, tra gli immigrati scesi dalle terre tedesche in cerca di un po' di quiete e umanità e di migliori occasioni economiche. Pia Settimi approfondisce la figura di uno dei protagonisti di questa epopea minore dell'yiddish"nostrano". Jacob Alpron, nato a metà Cinquecento a Cremona, da una famiglia ashkenazita giunta probabilmente da Praga, è stato, per tutta la vita, uomo di libri. Correttore, pedagogo, tipografo e, soprattutto, traduttore in yiddish e in volgare, Alpron ha speso molti anni alla ricerca di benefattori e di protezione. Un simile girovagare di comunità in comunità era il destino di parecchi intellettuali ebrei dei secoli passati, che sbarcavano per lo più il lunario come precettori in case facoltose. A sponsorizzare Alpron furono spesso matrone ebree, donne energiche e di discreta cultura, cui spettava un ruolo da protagoniste nella gestione della vita domestica.A una di queste"donne valenti", Bona, figlia di Emanuele Cuzzeri,Alpron dedica l'editio princeps, apparsa nel 1616, della propria versione, dall'yiddish in italiano, dei Precetti per le donne ebree, un manuale scritto da rabbi Binyamin Slonik per guidare le lettrici nei loro compiti familiari e nella vita di coppia. Nella seconda metà del Cinquecento, Alpron aveva spesso tradottodall'ebraico in yiddish. Ai primi del Seicento, il nostro erudito girovago passa invece dallo yiddish al volgare, in risposta alle mutate condizioni linguistiche. La breve fioritura del giudeo-tedesco nell'Italia settentrionale si è ormai spenta. I discendenti dei nuclei ebraici venuti d'Oltralpe si sono assimilati e hanno abbandonato il loro dialetto d'origine. Così, anche le istruzioni religiose per le ragazze e le madri vengono ora riformulate in un italiano, per la verità, piuttosto faticoso. Alpron è un personaggio abituato a restare sullo sfondo, senza clamori e, proprio per questo, ci pare testimone di prima mano del mondo appartato ma non inerte degli ebrei d'origine tedesca, sparsi per tutta la pianura padana. «Non sappiamo noi quante donne eccelse e sublimi per virtù si sono trovate in ogni tempo?» È la domanda retorica, con cui Alpron inaugura la propria versione dei Precetti. Il numero non lo conosciamo con precisione, ma possiamo immaginare che siano state molte, queste donne fuori dal comune.
E a loro rende omaggio lo yiddish al femminile, che trascolora nell'italiano.
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