Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 06/10/2017, a pag.17, con il titolo 'I nostri ragazzi hanno sbagliato ma non punite noi mamme' l'intervista di Francesca Caferri a Saliha Ben Ali, madre di un terrorista islamico.
Se un giovane sceglie di andare a combattere con lo Stato islamico in Siria oppure di compiere attentati in Europa, una parte della responsabilità è dei genitori, che non possono non sapere quello che il figlio sta facendo. La difesa della madre di un terrorista è perciò fuori posto: dovrebbe, al contrario, spiegare il modello di educazione che ha offerto al figlio, morto come "martire", cioè terrorista, in nome del jihad.
Ecco l'intervista:
Saliha Ben Ali comprende bene i dubbi, i dolori e i rimorsi delle donne i cui figli hanno seguito la sirena della jihad. Perché sono stati anche i suoi. Suo figlio Sabri aveva 19 anni quando lasciò la casa di famiglia, in Belgio, per andare a combattere in Siria: tre mesi dopo, una telefonata le annunciò la sua morte “da martire”. In mezzo, c’erano stati messaggi, chiamate e richieste di soldi cui la donna e il marito avevano deciso di rispondere “no”.
Terroristi dell'Isis
Una madre che manda i soldi al figlio jihadista può essere considerata complice? «No. Conosco molte persone che hanno mandato i soldi ai figli in Siria: perché avevano bisogno di mangiare o di assistenza medica. E non c’era nulla di tutto questo. Non sono complici, sono genitori: non smetti di essere madre se tuo figlio sbaglia».
Lei a Sabri disse no… «E da allora non mi parlò più. Fino alla sua morte. L’ultimo ricordo è quello della sua voce triste e furiosa contro di noi. Ci disse ‘Non sono un bambino, sono un uomo: vi chiedo aiuto e voi me lo negate'. Furono le sue ultime parole ».
Ma parliamo di mandare soldi a chi si batte con lo Stato islamico. «Parliamo di centinaia, poche migliaia di euro al massimo. E’ questo il finanziamento di cui vive il terrorismo? Direi di no. Chi vuole colpire i finanziatori dovrebbe guardare ai Paesi del Golfo, non alle famiglie che hanno già perso i figli a causa di un’ideologia malata».
Che soluzione vede? «Una legge che metta dei tetti. Non si può processare una madre per poche centinaia di euro, è troppo facile dire che ha sbagliato a non accorgersi di quello che accadeva al figlio. Allora lo Stato? Non hanno sbagliato gli Stati come la Francia e il Belgio che hanno lasciato partire centinaia di questi ragazzi pur sapendo dove stavano andando e perché?».
Ma una legge per fermare i finanziamenti in Belgio già c’è. «E prevede il sequestro dei conti correnti di quelli che sono nelle liste: conti che spesso contengono solo pochi soldi. Queste misure servono solo a dire all’opinione pubblica che si sta facendo qualcosa, a farla stare tranquilla. Quando è chiaro che non è così, che non si sta andando alle radici di un fenomeno, quello dei foreign fighters, che è fatto di rifiuto, disagio e allontanamento dalle società di provenienza. E’ una farsa, come i processi contro queste madri».
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