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La Stampa - Corriere della Sera - La Repubblica Rassegna Stampa
06.10.2017 Iran: Trump, promessa mantenuta
Cronache contraddittorie di Paolo Mastrolilli, Giuseppe Sarcina, Federico Rampini

Testata:La Stampa - Corriere della Sera - La Repubblica
Autore: Paolo Mastrolilli - Giuseppe Sarcina - Federico Rampini
Titolo: «Nucleare iraniano: Trump verso lo stop all'accordo - Trump pronto a rompere l’intesa con l’Iran - Trump sceglie una strada rischiosa sui patti con l'Iran»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 06/10/2017, a pag. 12, con il titolo "Nucleare iraniano: Trump verso lo stop all'accordo", la cronaca di Paolo Mastrolilli; dal CORRIERE della SERA, a pag. 14, con il titolo "Trump pronto a rompere l’intesa con l’Iran", la breve di Giuseppe Sarcina; dalla REPUBBLICA, a pag. 16, con il titolo "Trump sceglie una strada rischiosa sui patti con l'Iran" la breve di  Federico Rampini.

Le tre cronache che riprendiamo hanno accenti diversi. Mentre Paolo Mastrolilli e Giuseppe Sarcina riferiscono correttamente le posizioni di Donald Trump, Federico Rampini si dichiara preoccupato per la revisione dell'accordo sul nucleare voluto da Obama, in campagna elettorale definito da Trump "il peggiore possibile".

Ecco gli articoli:


Trump contro l'accordo di Obama con l'Iran durante la campagna elettorale

LA STAMPA - Paolo Mastrolilli: "Nucleare iraniano: Trump verso lo stop all'accordo"

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Paolo Mastrolilli

Il presidente Trump ha deciso di denunciare l’accordo nucleare con l’Iran, avviando il processo per l’uscita degli Usa, a meno che le parti non accettino di rinegoziarlo. Lo scrive il Washington Post, anticipando la nuova linea che il capo della Casa Bianca dovrà stabilire entro il prossimo 15 ottobre.

Durante la campagna elettorale Trump aveva detto che l’accordo nucleare con Teheran era il peggiore che avesse mai visto, perché consentiva alla Repubblica islamica di uscire dall’isolamento politico ed economico delle sanzioni, senza garantire la fine della corsa alle armi atomiche, e senza imporre un cambiamento generale della politica iraniana che appoggia il terrorismo e fomenta l’instabilità in Medio Oriente e nel mondo. Una posizione condivisa dal governo israeliano, che aveva suggerito al capo della Casa Bianca la strategia del «fix it or nix it», cioè aggiustalo o buttalo. Entro il 15 ottobre il presidente deve comunicare al Congresso se l’Iran sta applicando la lettera dell’accordo, oppure se la sta violando. Secondo il Washington Post Trump ha scelto la seconda ipotesi, contro il consiglio del suo stesso segretario alla Difesa Mattis, e la annuncerà con un discorso il 12 ottobre, in cui definirà la nuova politica Usa verso Teheran. A quel punto scatterà un periodo di 60 giorni in cui il Parlamento dovrà decidere se reimporre le sanzioni economiche eliminate con l’intesa, una mossa che determinerebbe la sua fine, almeno da parte Usa. Siccome l’accordo è stato negoziato anche da Russia, Cina, Francia, Gran Bretagna, Germania e Unione europea, ed è stato ratificato con una risoluzione approvata all’unanimità dal Consiglio di Sicurezza Onu, gli altri Paesi firmatari possono continuare ad applicarlo. Senza gli Stati Uniti, però, difficilmente potrà restare in piedi, anche perché a quel punto sarebbe l’Iran a non avere più interesse a rispettarlo.

Durante la scorsa Assemblea Generale dell’Onu si è tenuta una riunione tra i firmatari dell’intesa, e il segretario di Stato Tillerson ha detto che Washington riconosce la sua applicazione da parte di Teheran. Gli Usa però vogliono valutare il comportamento della Repubblica islamica nel suo insieme, e lo giudicano inaccettabile perché fomenta il terrorismo, e promuove l’instabilità come ha fatto in Siria. L’accordo poi è insufficiente perché non vieta i test missilistici, e contiene una «sunset clause» che lo farebbe scadere tra dieci anni. Inoltre non è stato ratificato dal Congresso, e quindi la sua legalità è discutibile. Tillerson quindi aveva chiesto agli altri firmatari di dargli dei motivi per sostenere in Parlamento che l’intesa è nell’interesse nazionale degli Usa. La risposta era stata che l’accordo è utile perché ha fermato il programma nucleare iraniano, e non è rinegoziabile, mentre le questioni sollevate da Washington possono essere discusse in un altro ambito.
Il capo del Pentagono Mattis, parlando pochi giorni fa in Congresso, ha detto che l’intesa «è nell’interesse nazionale degli Stati Uniti», ma le sue parole non hanno convinto Trump, che ha deciso di denunciarla. Nel discorso del 12 ottobre, però, il presidente non dovrebbe chiedere al Congresso di avviare subito il procedimento per reimporre le sanzioni, lasciando aperta la porta per una rinegoziazione. In sostanza metterà la minaccia della fine dell’accordo sul tavolo, usando il Parlamento come scusa, nella speranza che questo spinga i firmatari a rivedere il testo secondo i suoi desideri. Il presidente francese Macron si è detto favorevole a parlarne, a certe condizioni. Se l’Iran rifiuterà, e riprenderà il programma nucleare, a quella della Corea del Nord si aggiungerà un’alta crisi che potrebbe sfociare nella guerra.

CORRIERE della SERA - Giuseppe Sarcina: "Trump pronto a rompere l’intesa con l’Iran"

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Giuseppe Sarcina

Donald Trump si prepara a ripudiare l’accordo nucleare con l’Iran, aprendo un altro fronte di crisi. L’intesa prevede verifiche periodiche e la prossima scadenza è fissata per metà ottobre. Il 19 settembre scorso, davanti all’Assemblea dell’Onu, il presidente attaccò a fondo il governo di Teheran, definendolo «una dittatura mascherata da democrazia». Il 21 settembre, poi, annunciava: «Ho preso una decisione, ma non la rivelo ora». Il momento starebbe arrivando, secondo quanto scrive il Washington Post . Trump ufficializzerà questa posizione in un discorso previsto intorno al 12 ottobre. Spiegherà che il protocollo è contrario «agli interessi degli Stati Uniti». Il leader americano accusa il governo iraniano di aver violato non tanto le clausole tecniche, quanto «lo spirito» del patto, appoggiando «organizzazioni terroristiche» e «destabilizzando» il Medio Oriente. Toccherà al Congresso stabilire se imporre nuove sanzioni. La mossa della Casa Bianca era in qualche modo attesa dagli altri cinque firmatari dell’intesa: Russia, Cina, Regno Unito, Francia e Germania. Ma è chiaro che le tensioni internazionali sono destinate ad aumentare.

LA REPUBBLICA - Federico Rampini: "Trump sceglie una strada rischiosa sui patti con l'Iran"

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Federico Rampini

La macchina della disdetta è in marcia. Donald Trump si prepara a smontare l'accordo con l'Iran che era stato faticosamente negoziato da Barack Obama. Il primo passo sarà compiuto il 12 ottobre con la "desertificazione" di fronte al Congresso: un atto formale dell'esecutivo, che dichiarerà Teheran inadempiente. Trump non chiederà subito il ripristino di sanzioni e lascerà aperta la strada a un rinegoziato, ma la sostanza non cambia, si metterà in moto la macchina della disdetta. È un altro passo nella demolizione sistematica di tutto ciò che fece Obama. È un'altra promessa mantenuta: in campagna elettorale Trump disse più volte che quell' accordo era disastroso. Infine, è un altro favore ai due alleati-chiave di Trump, Israele e Arabia saudita, da sempre contrari al disgelo con Teheran. Ha prevalso dunque la coerenza, ma a che prezzo? La decisione è stata sofferta e combattuta all'interno dell'Amministrazione. Perfino un falco come il generale Mattis, segretario alla Difesa, pur dando un giudizio molto duro sul ruolo del regime iraniano in Medio Oriente, ha difeso l'accordo sul nucleare come il male minore. Tanto più alla luce della tensione in Corea. Per quanto criticabile agli occhi del Pentagono, l'intesa raggiunta da Obama con il presidente Rohani è molto meglio dello scenario alternativo: un Iran che segue il modello nordcoreano e si lancia nella costruzione di un arsenale atomico (i missili per "trasportarlo" ce li ha già ). Riluttante, obtorto collo, Mattis aveva finito per abbracciare lo status quo con l'Iran che dovrebbe garantire almeno un decennio di tregua su quel fronte. Adesso invece l'America rischia di dover gestire due tensioni nucleari su due fronti diversi, in Estremo Oriente e in Medio Oriente. L' alternativa che Trump indica come una terza via, il ri-negoziato dell'accordo stesso, sembra improbabile. Da una parte perché bisognerebbe convincere tutti i firmatari tra cui figurano Russia e Cina - oltre a Germania Inghilterra Francia - che su quel testo hanno negoziato lungamente e infine messo le proprie firme e la propria faccia. E bisognerebbe convincere gli iraniani, trai quali il gesto di Trump rafforza l'ala più antioccidentale.

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