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Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli A destra: la volpe a guardia del pollaio Cari amici, molti siti ebraici l’hanno notato: l’Autorità Palestinese è stata ammessa all’Interpol, il coordinamento delle polizie di tutto il mondo, con la solita maggioranza terzomondista/(ex)comunista di 75 su 133 stati membri, proprio il giorno dopo dell’ultimo attacco terrorista, in cui sono morti tre poliziotti israeliani (uno dei quali arabo) di guardia all’ingresso di un villaggio, dove l’assassino aveva lavorato per anni, con regolare permesso di soggiorno. La contraddizione forte in questa decisione non riguarda solo l’inesistenza pratica dello stato di Palestina che sarebbe il nuovo membro dell’Interpol, come ha notato Deborah Fait (http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=115&sez=120&id=67777), ma la solidarietà dell’Autorità Palestinese con gli attentati terroristi e anche con questo, festeggiato dai militanti palestinisti con la rituale offerta di dolcetti per strada (https://www.theyeshivaworld.com/news/israel-news/1370616/animals-palestinians-hand-out-sweets-celebrate-the-deadly-terror-attack-in-har-adar-videophotos.html) e celebrato anche da Fatah, il partito del dittatore Mahammud Abbas (http://www.jewishpress.com/indepth/analysis/fatah-glorifies-har-hadar-terrorist/2017/09/27/), il quale ha condannato l’attentato solo ieri, dopo forti pressioni americane (http://www.jpost.com/Arab-Israeli-Conflict/Spokesman-Abbas-condemns-all-violence-including-Har-Adar-attack-506277), ma come sempre pagherà lauti stipendi all’assassino e alla famiglia. In sostanza hanno fatto entrare i terroristi nell’organizzazione mondiale della polizia, come nominare la volpe nel comando dei difensori dei pollai. In realtà le conseguenze non saranno così gravi. Fra gli stati membri dell’Interpol (https://www.interpol.int/Member-countries/World) vi sono già la Siria, il Qatar, l’Iran, per cui i terroristi hanno già tutte le fonti di cui abbisognano. E sarà difficile per Abbas cercare di far arrestare i funzionari israeliani usando questa nuova adesione: non ci è riuscito anche facendo appello diretto ai tribunali inglesi, spagnoli, belgi. Semmai ci saranno conseguenze negative sul negoziato con Israele, che sarà segnato da un altro conflitto (http://www.jns.org/latest-articles/2017/9/28/palestinian-membership-in-interpol-could-mark-latest-arrest-for-the-peace-process#.WdEf92i0PIU=).
Voci insistenti dicono però che quel che interessava Abbas e gli ha fatto sfidare le sanzioni israeliane e americane fosse in realtà tutt’altro, cioè la possibilità di far arrestare, come membro dell’Interpol, il suo principale concorrente, il molto più giovane Dahlan, ex uomo forte di Gaza che si candida a succedergli (http://www.israelhayom.com/2017/10/01/palestinian-media-key-objective-of-joining-interpol-is-to-prosecute-dahlan/). Certo che se i palestinisti iniziano ad accusarsi a vicenda di corruzione, ne vedremo delle belle, perché tutti avrebbero ragione nell’accusa e tutti gli accusatori sarebbero giustamente accusati: Abbas, Dahlan, la nomenklatura di Fatah e quella di Hamas. E’ chiaro comunque che la politica del fronte palestinista è soprattutto interna: conta per loro tenere il potere, avere il confronto dei miliardi di euro di cui controllano il flusso, dirottandone buona parte nelle loro tasche. Prendete per esempio la notizia data in pompa magna una decina di giorni fa della riconciliazione fra Hamas e Fatah, in cui i primi dovevano sciogliere il governo di Gaza e cederlo all’Autorità Palestinese. Be’, è tutto bloccato, come per i dieci accordi precedenti (http://jewishweek.timesofisrael.com/not-so-fast-on-fatah-hamas-unity/), perché c’è troppo odio, troppo sangue, troppo conflitto di poteri e strategie perché ci si possa “riconciliare”, come fratellini che litigano (http://www.jns.org/latest-articles/2017/9/27/bad-blood-hovers-over-latest-attempt-at-palestinian-reconciliation#.WdESoGi0PIU=). O meglio, la riconciliazione era una messa in scena di Hamas, che pensava di poter fare come Hezbollah in Libano (http://www.israelhayom.com/opinions/hamas-masquerade/), cioè tenersi le armi e cedere l’apparenza del potere ad altri. Hamas dichiara tranquillamente di non aver mai pensato a mollare le armi che si è costruito con costi immensi (pagati dai gazawi, non certo dai dirigenti islamisti: https://www.timesofisrael.com/hamas-says-it-wont-even-discuss-giving-up-weapons-if-pa-takes-over-gaza/), che era invece l’ovvia condizione di Abbas per l’accordo (http://www.jewishpress.com/news/eye-on-palestine/palestinian-authority/report-abbas-conditioned-reconciliation-government-on-dismantling-hamas-military-wing/2017/10/01/): in un territorio dove dominano i gangster, è letteralmente vero quel che i sessantottini gridavano incoscienti nelle piazze: “il potere nasce dalla canna del fucile”. Insomma, non se ne fa nulla. La sceneggiata palestinista continua.
http://www.informazionecorretta.it/main.php?sez=90 |
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