Riprendiamo oggi, 28/09/2017, dal FOGLIO a pag.1, con il titolo "Mettere le saudite al volante è più visionario, scaltro o remunerativo?", l'analisi di Daniele Raineri; da LA REPUBBLICA, a pag. 13, con il titolo "Sono stata in carcere per far guidare le saudite e ora abbiamo vinto", l'intervista di Francesca Caferri alla donna saudita Manal al Sharif, che vive in esilio in Australia.
Si veda IC di ieri: http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=6&sez=120&id=67748
Ecco gli articoli:
gli articoli:
IL FOGLIO - Daniele Raineri: "Mettere le saudite al volante è più visionario, scaltro o remunerativo?"
Daniele Raineri
Mohammed bin Salman
Roma. Il giorno dopo l’annuncio molto atteso a proposito delle donne alla guida in Arabia Saudita c’è da capire se si tratta di una mossa scaltra di public relations, dell’inizia - tiva di un principe ereditario – Mohamed bin Salman – che ha una visione del futuro del paese diversa e molto più innovativa rispetto al resto della Casa regnante oppure di un passo inevitabile dettato dalle condizioni economiche in peggioramento. La risposta breve è un po’tutte e tre queste cose. Vediamo cosa sta succedendo. L’Arabia Saudita ha appena cominciato un programma molto ambizioso di promozione dell’immagine perché si è resa conto di essere messa malissimo nella conversazione globale – basta farsi un giro su Twitter per constatarlo. Secondo un articolo del Financial Times uscito due settimane fa, il regno aprirà in queste settimane alcuni centri per le public relations a Londra, Berlino, Parigi e Mosca “per promuovere la faccia che sta cambiando dell’Arabia Saudita e per migliorare la percezione internazionale del regno”. L’anno prossimo centri identici potrebbero essere aperti a Pechino, Tokyo, Mumbai e altre capitali influenti, secondo un documento visto dal quotidiano inglese. A Washington, i sauditi hanno profuso ogni genere di risorsa per migliorare la propria immagine e hanno appena nominato una portavoce donna all’ambasciata, in modo che i giornalisti passeranno da lei per ogni richiesta. E presto ci saranno altri annunci. Se il quadro è questo, allora concedere alle donne la libertà di guidare era la mossa d’apertura imprescindibile per la campagna.
C’è anche la questione Bin Salman. Il principe ereditario di 33 anni – che aggirerà una linea di successione che prima di lui galleggiava sopra la linea dei settant’anni – ha una visione per il paese, cosa che non succedeva da tempo. Il principio guida di questa visione sembra essere: tutte le aree di ambiguità che fanno parte del tradizionale modo di funzionare del regno, che è sempre stato molto opaco, ora devono essere risolte. Le conseguenze di questa visione sono sia buone sia disastrose. L’irrilevanza militare? Salman ha deciso che l’Arabia Saudita doveva prendere parte in prima persona al contenimento militare contro l’Iran invece che nascondersi sotto la gonna degli alleati, America prima di tutti, e quindi ha deciso per la campagna in Yemen – che mette a rischio la vita di milioni di persone, ora esposte a bombe, fame e colera. La rivalità con il Qatar? Salman ha spinto per un embargo contro il piccolo emirato, scatenando una crisi diplomatica che è senza soluzioni. I predicatori sauditi dicono cose che potrebbero stare in un comunicato di al Qaida? Due settimane fa quindici sono finiti in carcere. Le donne che non possono guidare rendono l’Arabia un’eccezione negativa in tutto il mondo? Da metà 2018 potranno e il Consiglio degli Ulama, che si pronuncia sulla legittimità religiosa di ogni cambiamento, ha annuito all’unisono: “Se lo decide il principe, allora è per il bene del popolo”. La visione del principe Salman non è soltanto ispirata dalla necessità di svecchiare il regno, ma dalla crisi economica che incombe.
L’economia del greggio non durerà ancora a lungo, gli esperti suggeriscono una diversificazione più rapida possibile, e anche un po’ disperata in un paese che non è abituato a immaginare un’alternativa. Tenere metà della forza lavoro, le donne, chiuse in casa perché non possono guidare equivale a immobilizzare degli asset preziosi. Il principe Salman pensa al turismo: il piano è aprire giganteschi resort, grandi come tutto il belgio, sulle coste del Mar Rosso, in faccia a quelli egiziani (che non vanno bene causa terrorismo) dove la sharia strettissima che vige nel resto del regno sarà sospesa: i turisti potranno bere e andare alla spiaggia in costume. Si tratta, come è evidente, di qualcosa che trascende la semplice campagna di pr e anche la mera costrizione economica. Il principe saudita stabilisce un precedente che farà rumore, la legge di Dio vale sempre e l’Arabia Saudita continua a essere la terra dei due luoghi sacri all’islam ma ci possono essere ampie e generose eccezioni persino alla legge di Dio. Un po’ come è successo con le donne, che non potevano guidare per una questione religiosa ma che ora possono, segno che tutto può essere interpretato con elasticità. Il principe Salman è ambizioso, c’è da chiedersi se non sta chiedendo troppo e troppo in fretta. Per ora, tutte le voci su una possibile abdicazione di re Salman, l’ottantunenne sul trono, sono state giudicate improbabili e premature.
LA REPUBBLICA - Francesca Caferri: 'Sono stata in carcere per far guidare le saudite e ora abbiamo vinto'
Francesca Caferri
Manal al Sharif
La notizia arriva che in Australia sono le 5.30 del mattino. «E per fortuna avevo tolto la suoneria al cellulare per non disturbare mio figlio piccolo », dice con una voce che trilla per l’emozione Manal al Sharif, dalla casa dove si è trasferita da pochi mesi. «Quando mi sono svegliata l’ho trovato pieno di messaggi di ogni tipo. Pensavo fosse uno scherzo: ho controllato sulla Bbc. Poi mi sono messa a piangere: io, e con me un’intera generazione di saudite, ho vissuto per vedere questo giorno. È la nostra liberazione». Non esagera Al Sharif: era il 2011 quando, a 32 anni e fresca di divorzio, si mise alla guida della sua auto per le strade di Damman, la città della Provincia orientale dell’Arabia Saudita dove viveva. Al suo fianco, un’amica la riprendeva con il cellulare e trasmetteva le immagini su Internet. Nel giro di poche ore, divenne una star del web. Il successo la convinse a provare di nuovo. Ma questa volta fu arrestata: rimase in isolamento per otto giorni e ne uscì solo firmando un foglio in cui si impegnava a non guidare, a non parlare con la stampa e a non sfidare più le autorità. Forse più duri dei giorni in cella furono i giorni che seguirono: perse il lavoro, fu minacciata, la sua famiglia insultata. La pressione era tale che nel giro di qualche mese fu costretta a lasciare il Paese, lasciandosi alle spalle un figlio su cui l’ex marito aveva ed ha tuttora il diritto di custodia. Il suo arresto è stata la molla che ha fatto ripartire #Saudiwomendrive, la campagna che negli ultimi sei anni ha tenuto sotto costante pressione la monarchia saudita, costringendola ad abolire, due giorni fa, una norma che era unica al mondo.
Manal, come si è sentita quando ha capito che il divieto di guida era davvero abolito? «Non potevo crederci. Per anni ci siamo dette che sarebbe stata l’ultima cosa su cui la monarchia avrebbe ceduto. Per anni abbiamo lottato, siamo state arrestate, minacciate, insultate. E oggi, eccoci qui».
Perché ora? «La monarchia vuole dimostrare che i tempi sono cambiati. Che il potere è cambiato. Che a decidere oggi è un giovane. Il principe ereditario Mohammed Bin Salman vuole essere popolare. E ci sta riuscendo: basta guardare i titoli in queste ore».
Le donne come strumento di propaganda? «Le donne a lungo sono state usate come strumento per compiacere gli estremisti. Ora vengono usate per mostrare al mondo che l’Arabia Saudita è un Paese moderno e liberale».
L’Arabia Saudita è un Paese moderno e liberale? «È un Paese che sta cambiando. Da mesi vedo i consiglieri della Corte reale seguirmi su Twitter, prestare attenzione a quello che dico o scrivo io e altre donne come me. Questo non è mai successo prima».
Ma il sistema del guardiano resta in vigore. E senza di quello Lei continuerà a non avere il passaporto senza il “sì” di suo fratello, a non poter chiedere la custodia del suo figlio maggiore. E molto altro… «La battaglia vera era la guida. Era la più simbolica delle riforme, la più imbarazzante delle leggi. La norma che impediva alle donne di accedere a posti di lavoro dove lo stipendio sarebbe finito tutto in tasca all’autista incaricato di accompagnarle a lavoro».
Festeggerete? «Sì. Il 6 novembre: l’anniversario del giorno in cui nel 1990 47 donne per la prima volta sfidarono le autorità guidando nelle strade di Riad. Questa vittoria è anche loro: hanno sacrificato le loro vite per questo».
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