Lui era mio padre
Joann Sfar
Traduzione di Tania Spagnoli
Edizioni Clichy euro 15,00
La copertina (Clichy ed.)
“Papà, se scrivo un libro su di te, conta per la tua anima?” (J.S.)
Autore famoso di grafic novel, Joann Sfar si è fatto apprezzare con fumetti di enorme successo come “Piccolo vampiro” e “Il gatto del rabbino” cimentandosi anche con il romanzo “L’eterno” (Rizzoli 2014) e la regia cinematografica: ha diretto il film “Gainsbourg. Vie Héroique” che ha vinto il César. Comment parles de ton père tradotto in italiano in “Lui era mio padre” è un originale memoir, un percorso introspettivo nella memoria che restituisce con ironia e un pizzico di cinismo il ritratto del padre e dei decenni di storia francese che ha attraversato (“E’ morto due anni fa: per tributargli l’amore che meritava i fumetti non mi bastavano, ho dovuto scrivere solo parole”). Alternando passato e presente l’autore tratteggia con pennellate dai colori vivaci la figura del padre, un ebreo algerino, di professione avvocato, nato nel 1933 quando “lo zio Adolf è diventato cancelliere, il mostro di Lochness fu scoperto e al cinema uscì King Kong” , un uomo forte, galante, dai modi raffinati e amante delle donne che lascia in eredità al figlio una forte identità ebraica. Tuttavia nei continui riferimenti alla fede e alle imposizioni religiose ebraiche si percepisce la volontà di Sfar di non lasciarsi ingabbiare da ideologie predefinite privilegiando una continua ricerca della verità e del significato della vita. Sin dalle prime pagine, in cui i ricordi fluiscono a briglia sciolta, il lettore apprende del primo doloroso lutto affrontato da Sfar: la perdita della madre, cantante di origini ucraine, all’età di tre anni e mezzo e i successivi anni segnati, oltre che da questo vuoto incolmabile, anche dalle “bugie dei grandi” perché per volontà del padre al piccolo Joann si lascia credere che la donna sia partita per un lungo viaggio. Solo più tardi il nonno materno Arthur, stanco di sentirsi chiedere “Quando torna la mamma?” infrange il diktat paterno e rivela la verità al bimbo (“Quel giorno mi ha dato la parola, ho finalmente saputo chi ero. Ho smesso di essere un gatto domestico”). Il senso di confusione e smarrimento che occupa la mente di chi ha perso un genitore in età adulta è ben delineato nelle pagine di questo commosso memoir dedicato al padre André morto dopo anni trascorsi a combattere con il Parkinson e le immagini che lo ricordano si mescolano ai ricordi dell’infanzia di Joann, segnata dall’avvicendarsi delle molte amanti del padre. Se nei primi capitoli l’autore si concentra sulle “mancanze” del padre e sulla sua figura autoritaria e rigida in merito alle tradizioni religiose ebraiche (Joann capisce che è accaduto qualcosa di grave – la morte della mamma – quando il padre vedendolo mangiare del prosciutto non lo rimprovera), nella seconda parte del libro si assiste a un mutamento di passo nella narrazione, una sorta di snodo in cui Sfar addentrandosi sempre più a fondo nelle dinamiche di odio e amore per le figure genitoriali, tipiche dell’adolescenza, trova le parole giuste per far emergere la grande umanità del padre che lotta contro le ingiustizie e in difesa dei deboli e che lo sostiene nella sua decisione di diventare fumettista (“Devo molto a mio padre, ma il regalo più grande che mi ha fatto consiste nel non saper disegnare. Grazie papà di aver lasciato uno spazio vergine in cui ancora oggi mi sforzo di crescere”). Una figura ingombrante e invincibile quella di André Sfar, ma soprattutto un padre molto amato che gli ha insegnato il rispetto dei doveri e il culto dell’onore, la cui perdita, seppure annunciata, apre un abisso nel cuore del figlio che si trova a fare i conti con il venir meno di molte certezze e una mutata emotività. Nell’incontro/scontro con i propri genitori, nella presa di coscienza che è importante trovare un punto di contatto e identificazione con chi ci ha messo al mondo ma anche di netta distinzione e affermazione delle proprie abilità per poter diventare individui autonomi, sta il significato più profondo di questo libro. (“La mia singolarità è nata in montagna, quando è morta mia madre. Non credo che avrei disegnato se mia madre fosse rimasta in vita, sicuramente non avrei neanche consacrato la vita a raccontare storie”). Con una scrittura asciutta, spiazzante e uno stile narrativo che graffia, Sfar ci regala un libro intenso e di piacevole lettura in cui la parola scritta diventa una prova di coraggio e il tentativo, attraverso il fluire dei ricordi d’infanzia, di superare il dolore di una perdita incolmabile e trovare un appiglio per continuare a vivere con il sorriso sulle labbra, come raccomandava il nonno Arthur al piccolo Joann. “Non essere triste, bisogna ridere, bisogna amare”.
Giorgia Greco