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Il Manifesto Rassegna Stampa
15.09.2017 Osannare i terroristi assassini: succede sul Manifesto
Odio senza fine di Stefania Limiti, propaganda di Michele Giorgio

Testata: Il Manifesto
Data: 15 settembre 2017
Pagina: 8
Autore: Stefania Limiti - Michele Giorgio
Titolo: «16-18 settembre, per non dimenticare Sabra e Shatila - In lraq Netanyahu appoggia l'indipendenza del Kurdistan»
Riprendiamo dal MANIFESTO di oggi, 15/09/2017, a pag. 8, con il titolo "16-18 settembre, per non dimenticare Sabra e Shatila", il commento di Stefania Limiti; con il titolo "In lraq Netanyahu appoggia l'indipendenza del Kurdistan", il commento di Michele Giorgio.

Entrambi i pezzi del Manifesto sono di disinformazione a 360 gradi contro Israele. Il peggiore è il commento di Stefania Limiti, che osanna o fedayin e i terroristi palestinesi in genere, definiti "i giovani combattenti", che nonostante "l'oppressione" e "l'occupazione" "hanno continuano a lottare". Un pezzo che acclama la violenza e la morte, chi lo ha scritto evidentemente non fa che acclamare la realizzazione di una nuova Shoah contro gli ebrei di Israele, e attacca anche la comunità ebraica romana e italiana, considerata una "quinta colonna dell' "Entità sionista".

Alla disinformazione di Michele Giorgio i lettori di IC sono invece abituati. Giorgio presenta ogni aspetto che riguarda Israele in luce negativa. Per esempio oggi, a proposito del viaggio di Benjamin Netanyahu in Sud America, Giorgio scrive di "diplomazia sfrenata". Si tratta di visite analoghe a quelle compiute da tutti i capi di Stato del mondo, ma nel caso di Israele persino questo è "sfrenato".

Ecco gli articoli:

Stefania Limiti: "16-18 settembre, per non dimenticare Sabra e Shatila"

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Mentre a Roma si litiga per la targa intestata alla grande figura di Yasser Arafat, in Libano oltre 500 mila profughi palestinesi, nei loro poveri campi, ospitano i rifugiati di altre guerre e di altre occupazioni militari. È' il paradigma tragico, diremmo grottesco, di un popolo dimenticato, che si ostina, tuttavia, contro forze enormi, a vivere e a rivendicare la propria appartenenza nazionale. Inascoltati, dimenticati, sempre scacciati: anche dalla toponomastica. Il vice sindaco di Roma Luca Bergamo, che ha avuto la delega dalla sindaca Raggi a gestire la spinosa (pazzesco!) faccenda della targa, riferisce che l'attuazione delle delibera (la n. 165 del 28 luglio, prevede che sia intitolato un parco ad Yasser Arafat, nella zona di Centocelle, e una piazza al Rabbino Capo Emerito Elio Toaff a Colle Oppio) è ferma e rimandata a data da destinarsi. Non si farà. Nonostante la richiesta di una ventina di associazioni e l'opportunità di aprire un dibattito pubblico destinato, invece, a morire qui. Troppe le pressioni della comunità ebraica per impedirlo, troppo forti per essere respinte dalla giunta Raggi. Piccole meschinità accanto a una grande tragedia dall'altra. Per capire la questione palestinese è molto importante andare in Libano e conoscere la realtà di quel pezzo di umanità scacciata dalle proprie case nel 1947 e poi venti anni dopo. Uomini e donne che non sono tornati indietro e che non possono guardare il futuro perché non hanno patria, cittadini di serie b in un paese ospitante. Il Comitato Per non dimenticare Sabra e Chatila, da quando è stato fondato nel 2001 da Stefano Chiarini e grazie all'impegno de il manifesto e del giornale indipendente libanese As Safyr, fa proprio questo: si reca lì ogni anno, in occasione dell'anniversario del massacro di Sabra e Chatila, due poverissimi campi profughi alla periferie di Beirut, dove i macellai falangisti sotto la regia dell'occupante israeliano e le direttive del falco Ariel Sharon fecero scempio dei corpi di duemila persone. Un orrore che si consumò dal 16 al 18 settembre del 1982 e che svegliò l'umanità dormiente: i palestinesi ancora massacrati! Anche la sinistra italiana, affascinata dal mito dei kibbutz e dalle esperienze ‘socialisteggianti' del neo-stato di Israele, dovette guardare in faccia la realtà dell'occupazione militare e dei suoi crimini. Quel massacro, più di tanti altri, fu odioso, realizzato con lo stratagemma di lasciar partire il contingente internazionale e di aver imposto l'esilio dei fedayin, i giovani combattenti guidata da Arafat, verso la Tunisia. Fu fatto per dare una lezione ai palestinesi: non esistete e noi vi schiacceremo. Ma i palestinesi da allora hanno continuano a lottare: tanti gli errori, tragiche le loro divisioni ma di certo hanno avuto la straordinaria forza di rivendicare la loro volontà di essere un popolo e di non permettere all' occupante di annientarli. Si conosce da vicino tutto questo andando in Libano, visitando i campi, parlando con le forze politiche sociali, ricordando che il Diritto al ritorno è sancito dalla Legge internazionale. Anche quest'anno in molti hanno scelto di andare insieme al Comitato Per Non dimenticare Sabra e Shatila dal 16 al 23 settembre. Dobbiamo tutto questo all'impegno e alla intelligenza di Stefano Chiarini e di Maurizio Musolino. Dicono i poeti che non si muore finché altri ti portano nel cuore: entrambi scomparsi prematuramente, sono nel nostro cuore e vivono tra noi con la loro passione per il Medio Oriente e la solidarietà, l'amore, verso il popolo palestinese.

Michele Giorgio: "In lraq Netanyahu appoggia l'indipendenza del Kurdistan"

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Michele Giorgio

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Benjamin Netanyahu

I riflessi del referendum per l'indipendenza del Kurdistan iracheno, previsto a fine mese, continuano ad infiammare il dibattito regionale e a tenere in fibrillazione gli Stati coinvolti direttamente, l'Iraq - ieri Baghdad ha «sospeso» il governatore di Kirkuk -, e indirettamente, Siria, Turchia e Iran. La consultazione però interessa anche gli Stati Uniti artefici della «piena autonomia curda» quando al potere in Iraq c'era il nemico Saddam Hussein - la Russia e diversi altri Paesi. Tra questi Israele, da sempre vicino alla causa dei curdi iracheni. Così mentre sono in corso intensi negoziati e movimenti dietro le quinte per affondare il referendum - l'alleanza che la Turchia di Erdogan sta provando a stringere con l'Iran ne è una dimostrazione - o per imporre il rinvio della consultazione, il premier israeliano Netanyahu è stato il primo leader «occidentale» a pronunciarsi apertamente a favore della proclamazione di uno Stato curdo. I palestinesi sotto occupazione israeliana invece dovranno aspettare, forse per sempre. L'uomo alla guida del governo più a destra della storia di Israele ha tuttavia precisato che per lui il Pkk di Abdallah Ocalan è un'organizzazione «terroristica», prendendo le distanze dalle affermazioni di senso opposto fatte di recente dall'ex vice capo di stato maggiore Yair Golan.

TANTA PASSIONE per i diritti dei curdi si spiega con la lettura israeliana dell'attuale quadro politico e strategico della regione. Il referendum curdo, se il voto come si prevede sarà a favore della separazione dall'Iraq, avrà un effetto domino a partire dalla Siria. Qui i curdi, con l'appoggio americano, di fatto già controllano e governano gran parte del nord del Paese, ed è opinione diffusa che subito dopo il Kurdistan iracheno sarà il Rojava a votare per l'indipendenza, forse la prossima primavera. Non sorprende che negli ultimi mesi Damasco abbia usato toni più duri nei confronti delle intenzioni dei curdi siriani, anche perché sono sostenute da Washington. La nascita di entità separate in Iraq e in Siria va nella direzione auspicata dal governo Netanyahu che punta all'indebolimento degli avversari di Israele, a cominciare dalla Siria.

SENZA SOTTOVALUTARE che l'in dipendenza curda in Iraq metterebbe in difficoltà anche il «nemico numero uno», l'Iran. Israele ha tutto da guadagnare dall'acuirsi della crisi tra curdi e arabi e il suo premier gioca sui tavoli della diplomazia tutte le carte che ha in mano. In questi giorni sta riallacciando buone relazioni in America latina dove, fino a qualche tempo fa, si tifava apertamente per i diritti dei palestinesi. Netanyahu è stato accolto con entusiasmo dal presidente argentino Mauricio Macri e ha rafforzato i legami (storici) tra Israele e Colombia.

L'ATTIVISMO diplomatico del premier israeliano punta molto anche sullo sport. Israele ora aspetta il Giro d'Italia 2018 che per la prima volta nella sua centenaria storia partirà al di fuori dell'Europa, grazie anche ai milioni di euro che gli sponsor israeliani hanno messo sul piatto. La corsa prevede tre tappe in Terra Santa e sarà presentata lunedì prossimo a Gerusalemme, alla presenza di due campioni del ciclismo: Ivan Basso e Alberto Contador. Obiettivo principale è fare in modo che il ciclismo internazionale celebri a Gerusalemme i 70 anni dalla nascita dello Stato di Israele.

NETANYAHU però non raccoglie solo successi. Ufficialmente è solo un rinvio eppure la decisione del presidente del Togo, Faure Gnassingbè, di rimandare a data da destinarsi il vertice Africa-Israele che si sarebbe dovuto tenere dal 23 al 27 ottobre prossimo a Lomè, rappresenta un duro colpo per il premier israeliano.

AL RINVIO ha contribuito in maniera decisiva l'opposizione al vertice da parte di alcuni Stati africani-arabi, in particolare l'Algeria, la Mauritania, il Marocco e la Tunisia (esplicitamente ringraziati dall'Olp). Netanyahu - che nel 2016 aveva visitato Ruanda, Kenya, Uganda, Etiopia - punta al riavvicinamento con diversi Paesi africani per sottrarli al sostegno alla causa palestinese, soprattutto in sede Onu. E per questo potrebbe organizzare il vertice in Israele nel 2018 con gli Stati africani che non fanno parte della Lega araba.

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