Un bombardamento che tutela la pace
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli
A destra: i terroristi di Hezbollah preparano la guerra contro Israele
Cari amici,
giovedì scorso, come vi ricorderete, Israele ha distrutto una fabbrica di armi chimiche in Siria. E’ un evento su cui pian piano emergono nuovi dettagli e che vale la pena di considerare con attenzione. E’ nella guerra strisciante al Nord, non nei pettegolezzi sulle cene della moglie di Netanyahu o sui post su Facebook di suo figlio che cerca di spacciarci una sinistra ebraica sempre più squallida e irresponsabile, che è in gioco il destino di Israele.
Il bombardamento è avvenuto molto in profondità nel territorio siriano, nella zona di influenza primaria della minoranza alauita cui appartiene la famiglia Assad, a meno da cinquanta chilometri da una base militare russa, ai confini del Libano, sul percorso del collegamento diretto che l’Iran sta cercando di realizzare con i suoi satelliti di Hezbollah attraverso l’Iraq e la Siria. E’ questo percorso l’obiettivo vero della guerra civile siriana, rispetto a cui la sopravvivenza di Assad è solo strumentale. Tutte queste caratteristiche fanno dell’episodio militare un passaggio fondamentale. Esso è stato condotto con armi nuove e molto sofisticate, che hanno messo fuori gioco la difesa antiaerea russa, recentemente estesa alle istallazioni militari siriane, come vi ho raccontato in passato. L’aviazione israeliana ha usato razzi che si potevano sparare da molto distante (gli oltre 40 chilometri che separano la fabbrica dallo spazio aereo libanese dove stavano gli aerei israeliani, che erano capaci di portare abbastanza peso esplosivo da distruggere completamente la fabbrica di veleni chimici, come hanno mostrato le foto aeree pubblicate, e capaci anche di bombardarla verticalmente dall’alto, restando dunque pochissimo visibili ai radar russi (per i dettagli militari potete leggere questo articolo molto preciso: http://www.jewishpress.com/indepth/analysis/j-e-dyer/israels-not-routine-strike-on-syrian-special-weapons-facility-confirmed-by-imagery/2017/09/11/). E’ una dimostrazione di superiorità militare impressionante che non ha avuto neanche bisogno dell’uso dei nuovi F35 che stanno entrando in servizio, e che costituisce un messaggio molto forte per la Russia.
Sembra che Putin abbia detto a Netanyahu, durante il loro ultimo incontro sollecitato dal primo ministro israeliano per chiedergli di fermare la presa della Siria da parte dell’Iran, che capiva le ragioni di Israele e però non poteva farci niente perché l’alleanza con l’Iran è il caposaldo strategico della politica russa in Medio Oriente. Israele dunque doveva difendersi da sé. Questa azione, paragonabile al bombardamento di dieci anni fa del reattore nucleare con cui la Siria intendeva ottenere l'arma atomica, è la risposta: Israele è in grado di difendersi e ha la volontà di farlo e ne devono tener conto gli altri attori sul territorio siriano (http://www.jewishpress.com/news/us-news/israels-message-to-russia-iran-hezbollah-us-we-are-players-in-syria/2017/09/08/). Fra gli altri che deve rifare i propri atti c’è il Dipartimento di Stato, che sotto la direzione di Tillerson conduce una politica sostanzialmente ancora obamiana in dissenso da Trump, che ha firmato gli accordi che ammettono gli iraniani a meno di dieci chilometri dal confine israeliano sul Golan (https://www.timesofisrael.com/us-to-let-iranian-backed-militias-within-10-km-of-golan-heights-report/) e, a quanto pare, ha chiesto di recente allo stato ebraico di restituire i finanziamenti concessi dal Congresso al di là dei limiti stabiliti da Obama (http://www.israelnationalnews.com/News/News.aspx/235320), una notizia poi smentita in maniera poco convincente (http://www.israelnationalnews.com/News/News.aspx/235375).
F-15 israeliani
Quel che è interessante in questa storia è la non reazione della Russia, che si è trovato uno stormo da combattimento israeliano a distanza di tiro da una sua base e l’ha visto sparare, senza spedirgli contro razzi antiaerei né contrastarlo con la sua aviazione e non ha reagito neppure dopo. E’ possibile che Netanyahu abbia anticipato a Putin l’azione o la notizia sia stata data coi canali di consultazione urgente che esistono fra i comandi militari dei due stati. O è possibile che al contrario sia stato preso di sorpresa dallo schermo della superiore elettronica israeliana: non lo sapremo mai. Fatto sta che la reazione non c’è stata neppure dopo (http://fr.timesofisrael.com/pourquoi-la-russie-pourrait-ne-pas-repondre-a-la-frappe-presumee-en-syrie/) e questo è molto significativo, quasi il riconoscimento di una mano libera.
Patetiche sono state invece le reazioni dello schieramento iraniano. La Siria domenica ha sparato dei razzi contro aerei israeliani al largo del Libano, senza colpirli, in una maniera che ricorda l’analoga azione di marzo scorso, dopo un altro bombardamento israeliano (https://www.almasdarnews.com/article/syrian-military-fires-anti-aircraft-missile-israeli-warplane/), ma ancora più in ritardo. E Hamas ha iniziato a costruire una base in Libano con l’aiuto dell’Iran (https://www.timesofisrael.com/shin-bet-chief-hamas-setting-up-in-lebanon-with-irans-support/), il che significa in pratica di Hezbollah, naturalmente sotto gli occhi della forza Onu che dovrebbe impedire il riarmo del Libano meridionale.
In conclusione: Israele si è assunto il compito su cui il resto del mondo ha molto chiacchierato, ma senza potere o volere praticarlo, cioè togliere al regime assassino di Assad l’uso delle armi chimiche. Ha segnalato a Russia, America e soprattutto Iran che non intende sopportare una contiguità territoriale con l’esercito iraniano e le sue milizie né la costruzione di un collegamento continuo fra Iran e Libano. Ha stabilito le proprie “linee rosse” e ha mostrato di volerle difendere con le armi. La Russia ha abbozzato, Trump si è mostrato soddisfatto, anche se il suo Dipartimento di Stato non lo è. La palla è ora nel campo iraniano. Vorranno gli ayatollah lo scontro subito, nei prossimi mesi, magari per via di Hezbollah? O aspetteranno? La soluzione più probabile è la seconda, quella di un confronto molto duro, ma da lontano. Perché anche in questo caso la dimostrazione di forza e di decisione allontana la guerra, non la promuove: una lezione che i pacifisti sono incapaci di apprendere.
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