Riprendiamo dal BOLLETTINO della Comunità ebraica di Milano, settembre 2017, a pag. 24, con il titolo "Il boia di Lione in Corte d’Assise. E la Francia scoprì la Shoah" il commento di Sonia Schoonejans, Andrea Finzi.
Klaus Barbie
Trent’anni dopo il processo al nazista Klaus Barbie, soprannominato “il boia di Lione”, il Memoriale della Shoah ddi Parigi ha inaugurato una mostra che ripercorre le diverse fasi di questo processo, il primo in Francia per crimini contro l’umanità e il cui verdetto finale fu la reclusione a vita. Fra i numerosi capi d’imputazione contro Barbie, quello della deportazione dei 44 bambini ebrei di età compresa fra i 4 e i 17 anni, rifugiati in un pensionato di Izieu e soppressi nelle camere a gas al loro arrivo ad Auschwitz, fu sui titoli di testa dei giornali di tutto il mondo e sollevò un’ondata di indignazione. Militare germanico e ufficiale SS sotto il regime nazista, Klaus Barbie entrò nel novembre 1942 nel Kommando della SIPO-SD (Sicherheitpolizei-Sicherheit Dienst) di Lione ove instaurò il regno del terrore soprattutto per la caccia agli ebrei che fece arrestare, deportare o uccidere subito dopo la cattura. Rifugiato in Sudamerica dopo la guerra, è sospettato di aver collaborato al colpo di stato del dittatore boliviano Luis García Meza Tejada nel 1980.
A differenza di Eichmann, rapito dai servizi segreti israeliani nel 1960, Klaus Barbie fu estradato in Francia nel 1983 dopo una caccia durata 16 anni da parte della coppia di avvocati Serge e Beate Klarsfeld (nella foto a destra). L’estradizione, inutilmente reclamata per anni, ebbe successo grazie a un concorso di circostanze favorevoli: mentre in Bolivia la Sinistra arrivava al potere, in Francia Régis Debray, che aveva lui stesso tentato senza successo di rapire il criminale nazista, diveniva consigliere del Presidente Mitterand e seguiva personalmente il caso impegnandosi nelle pratiche di estradizione. Questo processo è esemplare per più di una ragione: si tratta infatti di un procedimento contro un assassino colpevole di crimini contro l’umanità giudicato secondo la legge in un processo ordinario in Corte d’Assise. È stato inoltre il primo processo d’Assise integralmente filmato. Infine, l’attenzione fu focalizzata non sugli uomini della Resistenza (come avveniva abitualmente negli anni ’80), ma questa volta sulle vittime ebree. Chiaramente, la contestazione di questa impostazione del processo da parte di negazionisti e antisemiti non si fece attendere, ma senza successo.
Barbie in divisa
Come quello di Eichmann, il processo Barbie fu estremamente mediatizzato: 800 giornalisti venuti da tutto il mondo, 107 testimoni, 42 avvocati, otto settimane di udienza e un solo accusato: l’ex capo della Gestapo di Lione. Il clamore che si scatenò attorno a questo avvenimento diede finalmente la possibilità alle vittime di far sentire la loro voce, troppo a lungo trattenuta e ignorata dall’opinione pubblica e dalle autorità francesi. Come quella della testimone, tredicenne all’epoca della deportazione, che riconobbe in Barbie il suo aguzzino per una particolare deformazione di un orecchio. Oltre a numerosi documenti inediti serviti alla cattura del criminale - le inchieste dei servizi segreti, gli archivi Klarsfeld - e agli atti del processo, la mostra presenta le immagini filmate integrali, quindici ore di registrazione che il Mémorial ha ottenuto il diritto di diffondere a titolo eccezionale dal Tribunal de Grande Istance di Parigi. Sono inoltre presentati numerosi estratti dei telegiornali e dei quotidiani dell’epoca, che fanno rivivere le grandi ripercussioni che questo processo ebbe, in Francia e nel mondo intero, contribuendo a mettere in luce il risveglio della memoria ebraica e della Resistenza su fatti troppo a lungo dimenticati e coperti dall’imbarazzo e dalla cattiva coscienza della società francese.
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