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Libero Rassegna Stampa
05.09.2017 Comunismo e terrorismo islamico
Commento di Francesco Carella

Testata: Libero
Data: 05 settembre 2017
Pagina: 11
Autore: Francesco Carella
Titolo: «I padri del jihad sono i comunisti»

Riprendiamo da LIBERO di oggi, 05/09/2017, a pag. 11, con il titolo "I padri del jihad sono i comunisti", il commento di Francesco Carella.

Che l'ideologia comunista sia strettamente legata ai gruppi terroristi è un fatto innegabile, che viene poco e male ricordato, l'URSS combattè il nazismo con gli Alleati, quindi le potenze che sconfissero al Germania. Il pericolo islamista non è da meno. Giusto ricordarlo.

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Tutto lascia pensare che la mano assassina di stampo islamista si stia preparando per colpire ancora una volta e, secondo voci sempre più insistenti, anche in Italia. Mentre nelle nostre città si cerca di mettere in sicurezza - per quanto ciò possa essere possibile - i centri storici considerati un possibile bersaglio, la sinistra italiana - ossessionata dal politicamente corretto e legittimata da un esercito di maître à penser - si ostina a non riconoscere che ci troviamo in piena guerra di civiltà e che gli jihadisti non sono un gruppo di terroristi senza bussola, ma agiscono razionalmente e perseguono con pervicacia un obiettivo: mandare all'altro mondo il maggior numero possibile di cittadini occidentali inermi, seminare il terrore nelle nostre vite e, infine, costringerci a rinunciare al bene più prezioso: la liberta di pensiero e di movimento. Diciamolo brutalmente: tutto ciò accade perché la sinistra nel nostro Paese è, in gran parte, erede storico del bolscevismo e il bolscevismo è un parente stretto del fondamentalismo islamico. L'Urss è stata per oltre 70 anni una micidiale corazzata con le armi puntate contro l'Occidente e in guerra perenne contro la democrazia liberale e i suoi valori. Si trattava anche in questo caso di conflitto di civiltà: Lenin ha prima teorizzato e poi reso concreto, una volta raggiunto il potere, il rifiuto dello Stato di diritto, dell'individualismo e dei principi della civiltà borghese.

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Forse, non tutti ricordano uno dei primi documenti, prodotti in Iran dopo la rivoluzione islamica del 1979, in cui l'Ayatollah Khomeini scrive «che è giunto il momento per l'Islam di mettersi alla guida del proletariato esterno, sostituendo, in tale ruolo rivoluzionario, il comunismo sovietico». La stessa guida suprema della Repubblica islamica iraniana, nel gennaio 1989 scrive una lettera all'allora numero uno del Cremlino, Michail Gorbaciov, in cui chiede di riconoscere pubblicamente «che il comunismo aveva fallito nel suo tentativo di distruggere la materialistica civiltà capitalistica e che, pertanto, sulla scena mondiale non restava che una sola forza spirituale in grado di perseguire l'obiettivo di liberare i popoli che si trovavano nella prigione realizzata dal brutale mondo occidentale». Per comprendere una tale carica di odio, vale la pena di ricordare che già lo storico inglese Arnold Toynbee - nella sua opera monumentale, A Study of History - nell'illustrare la teoria «sull'aggressione culturale», chiarisce in modo netto le ragioni per le quali la civiltà occidentale esercita una grande forza attrattiva ed è temuta da altre forme di civiltà.

Una «potenza» che spaventa il mondo islamico, al punto che lo stesso Khomeini la definisce strumento al servizio di Satana e raccomanda, in diverse occasioni, ai Paesi islamici d'impedire ogni forma di contaminazione con le proprie popolazioni. Il jihad fa un passo in avanti, assumendo nel proprio disegno strategico la possibilità di distruggere quel mondo satanico direttamente nei luoghi in cui si è sviluppato: l'Occidente con i suoi diritti umani, la sua fondamentale distinzione fra potere politico e potere religioso, con le sue città corrotte e il suo stile di vita peccaminoso. Il sociologo Luciano Pellicani qualche anno fa, rifacendosi agli studi di Toynbee, in un libro breve ma di grande efficacia, Jihad: le radici, spiega che l'Islam risponde all'attrazione della cultura occidentale organizzandosi in due partiti, quello «erodiano», favorevole all'integrazione e al dialogo (ma minoritario) e quello degli «zelòti», fondamentalista e violento (ma nettamente in maggioranza).

Distinzione che ci obbliga a fare i conti con la realtà: il terrorista islamico può seminare il panico nelle nostre città grazie anche all'esistenza di un'ampia «zona grigia», fatta di simpatie o di colpevole silenzio da parte del mondo musulmano cosiddetto moderato. Ma occorre essere altrettanto chiari nel dire che l'eredità politico-culturale della sinistra italiana impedisce di capire e di chiamare ciò che sta accadendo con il suo vero nome: una guerra fra due civiltà. Intanto, le tesi contenute in un libro - scritto più di vent'anni or sono da un intellettuale comunista quale Alberto Asor Rosa - in cui si sostiene che l'obiettivo dell'élite colta progressista debba essere quello di aiutare l'Occidente a dissolversi continuano a essere apprezzate ancora oggi. Va da sé che per vincere la guerra contro il terrorismo jihadista, occorre, prima di ogni altra cosa, riuscire a mandare definitivamente in soffitta un tale modo di pensare. In caso contrario, rassegniamoci al fatto che gli allarmi lanciati da Oriana Fallaci, fra non molto, potrebbero diventare realtà. L'Eurabia è dietro l'angolo che ci attende.

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