Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 05/09/2017, a pag. 17, con il titolo "Regeni, l’Italia in pressing: 'Ora Cambridge collabori' ", la cronaca di Francesca Schianchi.
Finalmente, dopo mesi di attese, qualcuno pensa sia opportuno chiedere all'Università di Cambridge il motivo per cui ha inviato in Egitto Giulio Regeni, mettendo di fatto a rischio la sua vita. L'ateneo inglese per ora non ha voluto collaborare nelle indagini, una scelta di cui deve rendere conto.
Ecco l'articolo:
Giulio Regeni
Il primo a evocare l’Università di Cambridge è il governo, per bocca del ministro degli Esteri Angelino Alfano: «Cercheremo la verità in tutte le sedi, compresa l’istituzione britannica per la quale Giulio Regeni stava compiendo la sua ricerca». Dopo di lui, è gran parte del Parlamento ad accendere i riflettori sul prestigioso ateneo inglese per il quale lavorava il ricercatore friulano torturato e ucciso al Cairo più di un anno e mezzo fa. Per lamentare il silenzio opposto fino a oggi e chiedere una maggiore collaborazione: il nostro ambasciatore al Cairo dovrà instaurare un dialogo su questo argomento con l’omologo inglese.
Dopo l’annuncio nel pieno della pausa estiva del rientro del nostro rappresentante diplomatico in Egitto – previsto per il 14 settembre – che segna una normalizzazione dei rapporti dopo sedici mesi di congelamento, con le polemiche politiche conseguenti, ieri l’audizione di Alfano alle commissioni Esteri di Camera e Senato è stata la prima occasione per discutere del tema. Con critiche per lo scarso tempismo («è una vergogna che ne parliamo solo oggi», sbotta il grillino Di Battista) e dibattito infuocato sulle parole del ministro, che suonano a molti come una resa: «L’Egitto è un partner ineludibile dell’Italia, è impossibile non avere una interlocuzione politico-diplomatica di alto livello».
E, soprattutto, con l’attenzione puntata da più parti su Cambridge: «Perché i professori si sono rifiutati di rispondere alla Procura di Roma?», chiede dall’opposizione il forzista Maurizio Gasparri, mentre, dal governo, è il capogruppo dem in Senato Luigi Zanda a ricordare le «difficoltà nei rapporti delle autorità inglese, accademiche e non, con la magistratura italiana», mentre «solo una piena collaborazione della Gran Bretagna ci può aiutare concretamente a trovare la verità». Si spinge anche più in là il presidente della Commissione Esteri di Montecitorio, Fabrizio Cicchitto, che avanza chiaramente un sospetto: «Tra Cambridge e Oxford c’era storicamente un rapporto coi servizi inglesi: l’interrogativo è perché sia stata commissionata quella ricerca a Regeni e che uso se ne faceva». Un interrogativo che, chiarisce, non investe lo studente italiano - «non creiamo equivoci: Regeni era un ricercatore, se fosse stato una vera spia non lo ammazzavano: lo restituivano» - ma l’istituzione che «lo ha mandato allo sbaraglio». In un intervento accalorato, accusa anche in «un’analisi», senza prove, forze «che manovrano contro l’Italia»: facendo riferimento al pezzo del New York Times sul caso Regeni uscito proprio all’indomani della decisione di rinviare il nostro ambasciatore al Cairo, lo definisce «commissionato chiaramente da un pezzo dei servizi americani», quasi «che ci siano forze molto significative, forse anche nel sistema petrolifero, che non gradiscono affatto che l’Italia ristabilisca un rapporto a tutela anche dei suoi interessi complessivi». Parole che fanno sobbalzare Di Battista: «Fatti gravissimi: chiediamo la convocazione del premier Gentiloni».
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