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Egitto: tra Washington e Mosca Analisi di Zvi Mazel (Traduzione di Angelo Pezzana) http://www.jpost.com/Middle-East/Egypt-Caught-between-Washington-and-Moscow-504023 L’ultima mossa della Amministrazione Americana – cancellare una parte dell’assistenza all’Egitto e sospenderne altre a causa del mancato progresso del rispetto dei diritti umani, ha lasciato il Cairo duramente colpito e irato. L’elezione di Trump sembrava annunciare una nuova era. Il Presidente Sisi venne invitato a Washington tre mesi dopo il cambio di guardia alla Casa Bianca, ricevuto come un alleato strategico. Ma poi, il 22 agosto, il Dipartimento di Stato annunciava che sarebbero stati tagliati 95 milioni di dollari dal bilancio annuale degli aiuti, con l’annuncio di un altro taglio di 195 milioni. La vicenda che ha lasciato dietro di sè parecchie domande. L’Egitto non è stato avvisato e ha saputo della decisione solo quando è diventata pubblica, non potendo così predisporre subito una replica. Il Dipartimento di Stato disse di avere informato in tempo il ministro degli esteri Sameh Shukry, che però ha negato, affermando di avere ricevuto soltanto una telefonata dal Segretario Tillerson dopo che la decisione era già stata presa. Per disinnescare la tensione, un porta parola del Dipartimento di Stato disse in conferenza stampa che l’Egitto era un alleato strategico e che avrebbe ricevuto più di un miliardo di dollari nel corrente anno; l’importo non concesso era giustificato dalla recente decisione del parlamento egiziano- malgrado l’opposizione americana - di ridurre il sostegno alle attività delle Ong sui temi civili. Nello stesso tempo, gli stretti legami tra Egitto e Corea del Nord sono un fattore di eguale preoccupazione, visti i rapporti diplomatici tra i due paesi che durano da decenni: Washington lo richiama regolarmente, ma senza risultati. Cosa potrebbe allora giustificare questo cambiamento? Una decisione decisa ai piani bassi da qualcuno del Dipartimento di Stato senza alcuna capacità di prevederne le conseguenze strategiche? La Casa Bianca è stata informata di questo cambiamento contrario alla politica del Presidente? È vero che la legge del 2008 ordina la sospensione di ogni aiuto militare americano a paesi colpevoli di “seri” abusi in merito ai diritti umani. Ma spetta alla Segreteria di Stato decidere quando ricorrere alla legge, avvenuto finora raramente. L’Egitto è lo stato arabo più imortante e influente della regione, con l’esercito più grande. Ha un trattato di pace con Israele da circa 40 anni, è il leader della coalizione sunnita contro l’Iran e il terrorismo islamico e il più fedele alleato dell’America. Eppure non riuscì a impedire a Obama di delegittimare il Cairo per cercare una alleanza con Teheran, che ha condotto a un accordo sul nucleare, giudicato una pugnalata nella schiena da parte degli stati arabi moderati della regione. Il Presidente Trump ha cercato di riparare il danno, ma finora con scarso successo. Ciò che è chiaro a tutti è che il presidente egiziano, coinvolto in una difficile guerra contro il terrorismo islamico e la rivolta nel Sinai – che minaccia anche Israele- ha bisogno dell’assistenza americana più che mai. Ha iniziato grandi riforme economiche, più che mai necessarie ma impopolari, che possono indebolire il regime. In più sta cercando di cancellare le interpretazioni estremiste nell’insegnamento dell’islam. Questi aspetti avrebbero dovuto essere stati presi in considerazione dal Dipartimento di Stato. L’Egitto si sente tradito e offeso ancora una volta, come si evince dalle proteste dei partiti, dai membri del parlamento e dai commenti della pubblica opinione. A queste proteste non si è unito il presidente Al Sisi, che ha scritto a Trump di considerare l’America un partner strategico; ha poi ricevuto con tutti gli onori la delegazione americana guidata da Jared Kushner, ignorando le richieste di chi ne voleva la cancellazione. Eppure c’è un sentimento che, malgrado le proteste, crede che il nuovo presidente americano non meriti fiducia e che i legami con la Russia vadano perseguiti. In questo frangente la nuova Amministrazione americana sembra non sapere ciò che vuole, come si evince dagli ultimi avvenimenti. Non sono buone notizie per la Coalizione sunnita – e per Israele, sempre più preoccupata per la mancata risposta americana all’invasione iraniana.
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